I francesi lo chiamano ratatouille, noi lo chiamiamo fricandò, nel Sud caponata. In realtà sono ricette un po’ diverse l’una dall’altra, ma la base è sempre quella di dare protagonismo ai frutti dell’orto. Noi abbiamo chiamato questa versione semplificata cacciucco. È facilissima da fare, ottima per chi segue regimi alimentari vegetariani, ed è versatile perché potete servirla con delle bruschette, tenerla da parte per condire la pasta, farla figurare come contorno caldo di una cena fredda.
I francesi lo chiamano ratatouille, noi lo chiamiamo fricandò, nel Sud caponata. In realtà sono ricette un po’ diverse l’una dall’altra, ma la base è sempre quella di dare protagonismo ai frutti dell’orto. Noi abbiamo chiamato questa versione semplificata cacciucco. È facilissima da fare, ottima per chi segue regimi alimentari vegetariani, ed è versatile perché potete servirla con delle bruschette, tenerla da parte per condire la pasta, farla figurare come contorno caldo di una cena fredda. Una ricetta fantasiosa che vi consente di riciclare le verdure che avete in frigo o comunque di “assaltare” l’orto. È un piatto toccasana. I francesi lo chiamano ratatouille, noi lo chiamiamo fricandò, nel Sud caponata. In realtà sono ricette un po’ diverse l’una dall’altra, ma la base è sempre quella di dare protagonismo ai frutti dell’orto. Noi abbiamo chiamato questa versione semplificata “cacciucco” (non ce ne vogliano i livornesi custodi di una delle ricette di mare più buone del mondo) perché come il cacciucco è un mix di pesci, questa è un mix di verdure che vanno cotte tutte insieme, ma con tempi diversi. È facilissima da fare, ottima per chi segue regimi alimentari vegetariani, ed è versatile perché potete servirla con delle bruschette, tenerla da parte per condire la pasta, farla figurare come contorno caldo di una cena fredda. Ingredienti - 4 pomodori da sugo ben maturi, una melanzana bianca e una viola, tre zucchine generose, due o tre cipolle di Tropea, tre peperoni noi usiamo quelli verdi, ma potete usare quelli che volete, un mazzetto composto da timo, maggiorana, origano freschissimi e volendo anche menta, un peperoncino fresco, tre spicchi d’aglio, olio extravergine d’oliva 100 centilitri, sale. Procedimento - Tagliate a dadini di circa mezzo centimetro le melanzane, mettetele con un po’ di sale a scolare l’acqua di vegetazione, fate a dadini le zucchine, i peperoni e affettate grossolanamente le cipolle e i pomodori conservando il sugo. Tritate finemente il peperoncino fresco. In una padella molto capiente fate dorare gli spicchi d’aglio con le erbe aromatiche (serbatene un po’ che triterete a fresco). Ritirate solo l’aglio quando è dorato lasciando le aromatiche e aggiungete le cipolle e il trito di peperoncino. Quando diventano trasparenti le cipolle mettete in padella le melanzane, fate andare sette otto minuti poi aggiungete i peperoni. Dopo ulteriori cinque minuti aggiungete le zucchine, fate insaporire un paio di minuti e aggiungete i pomodori con il loro sugo. Ora aggiustate di sale. Portate a cottura mescolando di quando in quando. Alla fine spolverizzate con il trito di aromatiche, se serve aggiustate ancora di sale e completate con un giro di extravergine a crudo. Come far divertire i bambini - Saranno loro ad aggiungere in padella volta per volta le verdure. Si sentiranno come “ratatouille”! Abbinamento - Abbiamo scelto un Grechetto dei Colli Martani dalle splendide vigne dell’Umbria, ma potete abbinare qualsiasi bianco profumato d’Italia: da un Cortese a un Soave, da una Ribona a un Furore.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Il 9 novembre 1971 si consumò il più grave incidente aereo per le forze armate italiane. Morirono 46 giovani parà della «Folgore». Oggi sono stati ricordati con una cerimonia indetta dall'Esercito.
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Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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Teresa Ribera (Ansa)
Il capo del Mef: «All’Ecofin faremo la guerra sulla tassazione del gas naturale». Appello congiunto di Confindustria con le omologhe di Francia e Germania.
Chiusa l’intesa al Consiglio europeo dell’Ambiente, resta il tempo per i bilanci. Il dato oggettivo è che la lentezza della macchina burocratica europea non riesce in alcun modo a stare al passo con i competitor mondiali.
Chiarissimo il concetto espresso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Vorrei chiarire il criterio ispiratore di questo tipo di politica, partendo dal presupposto che noi non siamo una grande potenza, e non abbiamo nemmeno la bacchetta magica per dire alla Ue cosa fare in termini di politica industriale. Ritengo, ad esempio, che sulla politica commerciale, se stiamo ad aspettare cosa accade nel globo, l’industria in Europa nel giro di cinque anni rischia di scomparire». L’intervento avviene in Aula, il contesto è la manovra di bilancio, ma il senso è chiaro. Le piccole conquiste ottenute nell’accordo sul clima non sono sufficienti e nei due anni che bisogna aspettare per la nuova revisione può succedere di tutto.
Maurizio Landini
Dopo i rinnovi da 140 euro lordi in media per 3,5 milioni di lavoratori della Pa, sono in partenza le trattative per il triennio 2025-27. Stanziate già le risorse: a inizio 2026 si può chiudere. Maurizio Landini è rimasto solo ad opporsi.
Sta per finire quella che tra il serio e il faceto nelle stanze di Palazzo Vidoni, ministero della Pa, è stata definita come la settimana delle firme. Lunedì è toccato ai 430.000 dipendenti di Comuni, Regioni e Province che grazie al rinnovo del contratto di categoria vedranno le buste paga gonfiarsi con più di 150 euro lordi al mese. Mercoledì è stata la volta dei lavoratori della scuola, 1 milione e 260.000 lavoratori (850.000 sono docenti) che oltre agli aumenti di cui sopra porteranno a casa arretrati da 1.640 euro per gli insegnanti e 1.400 euro per il personale Ata (amministrativi tecnici e ausiliari). E il giorno prima, in questo caso l’accordo era stato già siglato qualche mese fa, la Uil aveva deciso di sottoscrivere un altro contratto, quello delle funzioni centrali (chi presta opera nei ministeri o nell’Agenzia delle Entrate), circa 180.000 persone, per avere poi la possibilità di sedersi al tavolo dell’integrativo.











