«Il mondo ha cancellato il mistero e si illude di cavarsela con i diritti»

Il punto di vista di Susanna Tamaro sul tempo presente è sempre originale. Nell’ultimo saggio, intitolato La via del cuore. Per ritrovare senso nella vita (Solferino), sulla scorta dell’inventore dell’etologia, Konrad Lorenz, utilizza le osservazioni sulla natura e gli animali per studiare la società contemporanea. A ben guardare, però, questo memoir può essere letto anche come una lunga preghiera per lo stato del pianeta. «È così», ammette la scrittrice, «non condivido la tendenza all’angelicazione dell’uomo o a vederlo come frutto dell’evoluzione».
Qual è la via del cuore, parola che ricorre spesso nella sua letteratura?
«È la via per affrontare l’oscurità che è in noi. Erroneamente si pensa che riguardi qualcosa di frivolo, da signorine. Invece, è il segno che il mistero ci abita. Il cuore è il primo organo che si sviluppa nel ventre materno. Pulsa come tutto l’universo pulsa. Fin dal momento del concepimento noi vibriamo con l’universo».
E poi cosa succede?
«Che rimuoviamo questo cuore e diamo tutto il potere al cervello. Che, in realtà, è chiuso nella scatola cranica. Per compiere l’umano, l’intelligenza deve passare per il cuore».
Don Luigi Giussani diceva che il cuore è la sede delle «esigenze originali», il desiderio di bellezza, verità e giustizia che accomuna tutti gli uomini.
«Seguire le esigenze fondamentali è indispensabile per la realizzazione dell’uomo. Ma il mondo fa di tutto per cancellarle fin dall’infanzia. I bambini sono edotti a credere nella scienza che toglie loro lo stupore, fonte di ogni domanda».
Essere «serenamente pessimista», come si definisce, potrebbe portare alla rassegnazione?
«Oltre che sui testi di Konrad Lorenz mi sono formata con Arthur Schopenhauer, quindi un certo pessimismo mi è naturale. Vedo la realtà dell’uomo e la sua fragilità che viene annichilita dalla manipolazione di nuovi culti totemici come la scienza e la tecnologia. Questo mi fa molta paura. La scienza è importante ed è causa di enorme progresso per le nostre vite, ma non può essere oggetto di adorazione».
Lei propone la riscoperta dei Dieci comandamenti che chiama preferibilmente Decalogo.
«È la nostra via etologica alla felicità. Ogni specie ha la sua, il Decalogo è quella degli esseri umani. Stabilisce il principio della persona e la pratica delle virtù che sono fondamento della società civile. Per migliaia di anni siamo andati avanti con il Decalogo. Poi la fede è un meraviglioso dono in più. Ma la strada per arrivarci passa attraverso la consapevolezza dell’importanza della legge interiore».
E l’incarnazione con la quale Dio diventa uno di noi?
«La strada per la fede è questa, altrimenti il cristianesimo può restare una forma di sentimentalismo».
L’uomo contemporaneo, scrive, ha reciso il rapporto con il cielo. Possibile che davanti alle guerre, alla solitudine e al fallimento delle utopie, non realizzi che la sua costruzione debba avere altre basi?
«Ancora non ci siamo arrivati. Anche quello che accade in Palestina ci dimostra che restiamo fermi a modalità novecentesche. Una parte addossa tutte le colpe alla controparte e viceversa. Non c’è mai una nostra responsabilità, l’urgenza di un cambiamento personale. Questo mi rattrista».
Lo sviluppo massiccio della tecnologia ha rafforzato la nostra illusione di onnipotenza?
«Siamo diventati invincibili. Pensiamo alle forme di trattamento anticipato della morte e ai vari testamenti biologici. Una volta si sperava di morire in stato di grazia, adesso si compila un atto notarile. Questo ci dice che viviamo in una società che ha perso la consapevolezza che la vita non ci appartiene. L’idea del destino è stata cancellata, sostituita dall’affermazione dei diritti dell’individuo. Con il destino l’uomo ingaggia una lotta e quella lotta forma l’unicità della sua vita. Invece, l’individuo concentrato sui diritti richiede solo servizi».
La pervasività della tecnologia ha creato un uomo con nuove priorità e un ordine diverso nelle relazioni?
«Ha creato analfabetismo affettivo e primitività nell’elaborazione del sentimento. Molte forme di violenza nei confronti delle donne sono anche dovute all’incapacità di gestire le relazioni affettive. Di conseguenza, arcaicamente, è la forza a dominare».
Con la tecnologia ci disabituiamo a volgere gli occhi verso l’alto, a faticare per raggiungere un risultato, a capire che un rapporto va coltivato?
«Cultura deriva da coltivare. E la coltivazione comporta seminare, aver cura, saper raccogliere. Il consumo è nemico di questo lavoro e di questa pazienza».
Lo è anche la facilità di avere risposte immediate?
«In sé stesso, il cervello è stupido. Se non lo alleni e lo lasci al livello dello stimolo e della risposta immediata non riesce a elaborare forme complesse di intelligenza. Una volta, la scuola insegnava a ragionare. Da piccoli facevamo pensierini e non crocette. E i pensierini erano i germi dei pensieri. Ora tutto è immediatezza e superficialità di rapporti. L’uso sempre più diffuso di psicofarmaci tra bambini e adolescenti indica solitudine, ansia, disagio. E paura della vita».
I vantaggi della tecnologia sono irrinunciabili, ma ora ne stiamo scoprendo anche gli effetti collaterali?
«Sta esplodendo la bolla. Secondo i dati dell’Ospedale Bambin Gesù, dopo il Covid i disturbi psichiatrici infantili sono aumentati del 500%. Negli adolescenti si espande l’abuso di alcol e di droghe. Non c’è stata nessuna educazione all’uso dell’elettronica. Fin da subito pediatri e medici avrebbero dovuto mettere in guardia i genitori sui rischi della tecnologia senza controllo. La tecnologia è come un farmaco, nelle dosi giuste porta effetti positivi, ma l’abuso è straordinariamente tossico».
Conseguenze negative ha avuto anche il Sessantotto, che lei definisce «percolato tossico».
«È un’espressione che mi è venuta spontanea».
E che accentuerà il suo «esilio dalla mondanità culturale»?
«Certo. Sarebbe bello se si potesse ragionare su questi argomenti senza reazioni pavloviane».
Negli ultimi anni ha criticato anche le politiche di contrasto al Covid.
«E non ho cambiato idea. Anzi, è una delle cose di cui vado più orgogliosa. Nel nostro Paese c’è stata una guerra civile. Che poi è stata archiviata come non fosse successo nulla, deridendo chiunque osasse porre qualche domanda razionale. Mi chiedo se si arriverà a una pacificazione oppure no. Ma credo che rimarrà una ferita per sempre aperta».
In questo libro, però, concede alla pandemia il merito di aver riportato l’uomo sulla terra, svelandogli la sua fragilità. È una lezione appresa nella sua interezza?
«È una lezione già rimossa, sicuramente non appresa nella sua interezza. In quel periodo, mi colpiva il panico della morte, come se le persone non avessero mai pensato che siamo una fragilità vivente. L’uomo ha sempre saputo che si muore. Eppure, in quel momento imperversava lo stupore per la concreta possibilità di morire».
La pandemia ha creato il panico, ma non ha cambiato il modo di guardare a noi stessi?
«Né ci ha lasciato in eredità la capacità di interrogarci sulla morte. Così siamo al punto di prima».
Lei preferisce l’ironia al sarcasmo: non è accettabile nemmeno davanti alle manifestazioni di superiorità dei «buoni»?
«Per natura, sono molto ironica, ma salvo che in privato, non uso mai l’ironia perché in questo momento non siamo in grado di apprezzarla. O la confondiamo con il sarcasmo che ha in sé una certa pesantezza, mentre l’ironia è leggera, vola sulle cose. La tolleranza è la bontà lussuosa delle società che vivono in una condizione di benessere avanzato. In natura, la tolleranza non esiste, e nemmeno nel Vangelo. Gesù non insegna a essere tolleranti, ma a correggere i fratelli quando serve, e a essere pazienti. Parla di misericordia, cioè della compartecipazione della realtà del cuore».
Come può riconoscere la propria fragilità l’uomo tecnologico invincibile?
«Non può. Infatti, vuole decidere prima come e quando morire. Ma se poi una persona cara si ammala di Alzheimer, come la mettiamo? Riconoscere la fragilità ci aiuta ad affrontare la vita con le virtù dell’anima. Invece, vogliamo gestire le sofferenze e le scocciature con le carte bollate. La vita è fatta di scocciature. Le possiamo affrontare soltanto con la consapevolezza che, nelle difficoltà e nei pesi, si nasconde un senso più profondo».
Scrive che «la gestazione per altri è forse la più sofisticata e atroce forma di schiavismo inventata dalla modernità»: come mai la sinistra che sta dalla parte dei deboli non lo riconosce?
«A causa del famoso percolato tossico per cui è vietato vietare e la realizzazione dei desideri sentimentali è tutto. Dovremmo ricordare che l’uomo non è mai una cosa, altrimenti si può fare tutto, compresi i sacrifici umani dei bambini. A quel punto però si dovrebbe dire con chiarezza che viviamo nel paganesimo nichilista».
Che cos’hanno in comune l’utero in affitto, l’aborto e l’eutanasia?
«La certezza che l’uomo sia solo materia e che su di lui non si proietti l’ombra del mistero. Quel mistero che fino a tempi recenti suscitava, nella maggior parte di noi, il senso del timore».
Con l’aborto e l’utero in affitto l’uomo fa e disfa la vita perché si sostituisce a Dio?
«Grazie al percolato tossico del nichilismo che ha imbevuto ogni piega della società ci si attrezza per controllare, dominare ed eliminare la vita, ritenuta come un cancro in sé. Anche l’uomo stesso è visto come un cancro, il cancro della terra. Senza di noi, si pensa, la terra sarebbe un paradiso».
Lo propugnano le formazioni ecologiste estreme.
«Solo con la conversione del cuore la terra potrà tornare a essere un paradiso».
In un mondo che ha reciso il legame con il cielo come si può dire o testimoniare l’esistenza di un Dio amico dell’uomo?
«Soltanto con la testimonianza che esiste un’altra possibilità di vivere i rapporti e che questa possibilità è costantemente sotto la creatività donata dall’amore. Il cristianesimo ci regala una profonda libertà dalle leggi del mondo e solo questa dimensione ci permette di sfuggire alle sirene del nichilismo, aprendo le porte alla vera realtà dell’umano».
La Chiesa di oggi è consapevole della drammaticità del tempo presente?
«Non ne sono sicura. Dopo il Covid le chiese si sono quasi completamente svuotate, ci sono solo persone anziane. Ho l’impressione che la Chiesa abbia un po’ smarrito il centro di sé stessa e non riesca a trovare una vera strada di incontro con questi tempi così complessi».






