La Consulta frena la corsa della Toscana verso la liberalizzazione del suicidio assistito. Ieri, la Corte ha stabilito che la legge non è illegittima nella sua interezza, ma in diverse disposizioni viola competenze statali esclusive. E benché i rilievi non riguardino il merito - il collegio, che d’altronde aveva già indicato i principi generali in base ai quali bisognerebbe permettere l’accesso alla procedura, non si oppone certo al suicidio assistito in sé - essi, tuttavia, colpiscono alcuni aspetti essenziali della legge. Si tratta di dettagli con cui Eugenio Giani sperava di mettere il turbo all’agenda radicale e progressista sul fine vita. Un obiettivo che si allontana, anche se il governatore a caldo esulta.
Intanto, i giudici hanno dichiarato incostituzionale l’articolo 2 della norma toscana, giacché individua direttamente i requisiti per ottenere il suicidio assistito, facendo riferimento alle due precedenti sentenze della Consulta: quella del 2019 sul caso di dj Fabo e quella del 2024, che introduceva alcune precisazioni sul concetto di «trattamento di sostegno vitale». Alle Regioni, ha obiettato il collegio, è «precluso cristallizzare […] principi ordinamentali affermati da questa Corte in un determinato momento storico […] e oltretutto nella dichiarata attesa di un intervento del legislatore statale». Quei verdetti, insomma, non possono essere utilizzati dai governatori come un grimaldello contro il Parlamento. La Toscana ha violato «la competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile e penale».
Dell’articolo 4 è stata cassata solo la parte che prevede la possibilità di affidare a un «delegato» del malato il compito di presentare l’istanza: ciò, si legge nella sentenza, «deroga vistosamente al quadro normativo fissato dalla legge n. 219 del 2017», la quale «presuppone inequivocabilmente che la volontà di interrompere le cure (ovvero, in seguito alla sentenza n. 242 del 2019, di accedere al suicidio assistito) sia espressa personalmente». Sembra una minuzia, ma in effetti è stata blindata una garanzia ulteriore rispetto ai procedimenti più sbrigativi.
Incostituzionali anche gli articoli 5 e 6: entrambi prevedono, spiega il comunicato della Corte, «stringenti tempi per la verifica dei requisiti di accesso al suicidio medicalmente assistito e la definizione delle relative modalità di attuazione». Anche questo non è un particolare marginale: Marco Cappato e soci sono da anni impegnati in una campagna per il suicidio assistito «express». E continuano a lamentare la lentezza delle aziende sanitarie locali nell’esaminare i faldoni dei pazienti. La Corte ha obiettato che, ferma restando «la necessità di una sollecita presa in carico dell’istanza del richiedente», deve sempre essere consentita «la possibilità di svolgere tutti quegli approfondimenti clinici e diagnostici» che gli esperti ritengano «appropriati». Una valutazione scrupolosa mal si concilia con la fretta degli attivisti.
Dirimente pure la bocciatura dell’articolo 7, che impegna le Asl ad assicurare il supporto tecnico e farmacologico e l’assistenza sanitaria, in vista dell’autosomministrazione della dose letale. La Consulta, di nuovo, non si è espressa sulla liceità di coinvolgere il Servizio sanitario, terreno di scontro sulla proposta di legge che discuteranno le Camere. Ha però evidenziato l’illegittimità, per la Regione, di introdurre «un livello di assistenza sanitaria ulteriore». Fatto sta che proprio il tribunale di Firenze, in un’ordinanza poi ritenuta inammissibile, aveva sollevato il problema dell’obbligo, in capo alle aziende sanitarie, di reperire dispositivi azionabili con la voce o lo sguardo, qualora il malato fosse stato privo dell’uso degli arti per praticare l’iniezione fatale. Allora, la Consulta si era limitata a respingere le argomentazioni del magistrato, in quanto non adeguatamente motivate. Ma aveva sottolineato che, se quei macchinari fossero stati davvero reperibili in breve tempo, la persona che aveva invocato il suicidio assistito avrebbe avuto «diritto ad avvalersene». La questione, quindi, rimane aperta. E non sarà risolta dalla legge toscana, benché risultino «immuni da censure» le altre disposizioni della norma «federalista», che avrebbero mero carattere organizzativo e procedurale. Match quasi pari. Assist a chi caldeggia la legge nazionale.





