Il «selvaggio» piace solo in film e favole. Se scegli il vero bosco ti trattano da matto

Da quando è uscito, il 17 dicembre scorso, il terzo film della serie Avatar, intitolato Fuoco e cenere, è stato visto in Italia da diverse decine di migliaia di spettatori incassando oltre 15 milioni di euro. Ovviamente il successo è globale: negli Stati Uniti ha raggiunto i 218 milioni di dollari di incassi, che diventano 760 e passa milioni di dollari a livello mondiale. Non stupisce, dopo tutto Avatar è un franchise che si adatta perfettamente allo spirito del tempo, anzi si può dire che abbia largamente contribuito a plasmarlo. Non c’è dubbio che anche il nuovo capitolo sia godibile e visivamente straordinario: è un fantasy classico, in fondo, che mette in scena l’antica lotta fra le forze del bene e quelle del male, semplicemente con qualche sfumatura woke. Ci sono i colonizzatori bianchi occidentali, per lo più maschi, che invadono il pacifico mondo dei Na’vi, popolazione umanoide di colore blu molto simile ai nativi americani, insomma siamo a Balla coi lupi fra le stelle. Hollywood cerca ancora di fare i conti con il genocidio degli indiani risarcendoli tramite la produzione di immaginario: i buonissimi selvaggi si trovano per l’ennesima volta a fronteggiare gli spietati visi pallidi, una trama che dagli anni Settanta in poi abbiamo visto ripetersi con una certa frequenza.
Gli indigeni azzurri, come noto, sono devoti alla Grande Madre, cioè a una natura divinizzata a cui letteralmente si connettono tramite una sorta di spina naturale di cui sono dotati dalla nascita. Il sottofondo culturale di tutto ciò ha tinte new age nemmeno troppo vaghe: da una parte l’aggressività maschile (condivisa pure da alcune donne che hanno evidentemente introiettato il patriarcato); dall’altro la pacifica accoglienza del femminile. Praticamente tutto Fuoco e cenere è una riflessione sulla paternità che si conclude con la cancellazione del padre biologico, che è ovviamente autoritario e bellicoso. Trionfa invece un padre aperto e inclusivo, capace di gestire una famiglia allargata e per certi versi moderna. Insomma, anche da questo punto di vista si ripropongono alcuni vecchi stereotipi che ottengono sempre grande successo nel racconto progressista, a partire dal classico «maschile violento contro femminile pacifico».
Va senza dirlo che, nell’universo narrativo di Avatar, la natura personificata è sempre buona, disancorata dall’eterno ritorno terribile di nascita e morte. È una natura plastificata, spogliata della violenza che invece caratterizza profondamente la vita reale. È una natura in qualche modo «democratica», e per forza di cose sono «democratizzate» e patinate pure le comunità tradizionali dei Na’vi. L’elemento guerriero appare secondario, la gerarchia è edulcorata, il senso del sacro è reso tutto sommato marginale. Tutto è molto comodo, molto piacevole e luccicante. Tutto molto progressista, appunto. Il che è una robusta contraddizione in termini, dato che l’ideologia progressista da cui Avatar in larga parte scaturisce è in realtà rabbiosamente ostile a tutto ciò che è sacro, tradizionale e gerarchico. Semplificando un po’ si potrebbe dire che, con Avatar, Hollywood celebra il mondo che ha contribuito a distruggere. È facile supporre che molti spettatori, soprattutto di giovane età, usciranno dal cinema sognando di abitare nel dolce villaggio dei Na’vi, di stabilire connessioni con l’Anima del mondo e i saggi animali che popolano il pianeta Pandora. Qualcuno si troverà persino d’accordo con l’idea di soppiantare il maschile con il femminile, trascurando il fatto che a livello di dominio l’avvicendamento è già avvenuto, e da tempo. Il femminile, oggi, trionfa ovunque a livello simbolico, anche se è un femminile perverso che ha condotto una folle lotta contro il maschile e si mostra nel suo aspetto più oscuro e terrificante. Il potere invasivo e controllante dei nostri tempi ha, in effetti, fattezze femminili.
È interessante, a tale riguardo, ripensare a quanto sta accadendo alla cosiddetta famiglia del bosco (anzi, alle famiglie del bosco visto che ci sono almeno due casi analoghi in corso). Ed è ancora più suggestivo riesaminare la vicenda proprio alla luce del successo di Avatar. Padre e madre Trevallion hanno deciso di valorizzare nella realtà il legame con la natura, lo hanno esaltato e praticato nella vita vera: fanno i conti con la fatica, il freddo, le difficoltà e le mancanze che il rifiuto della modernità comporta. Il loro universo non è quello favoloso dei Na’vi: è più complicato, più duro. Anche i Trevallion, per certi versi, devono fronteggiare dei colonizzatori, qualcuno che vuole distruggere il loro stile di vita. Ma, guarda un po’, questi colonizzatori non sono maschi bianchi occidentali militaristi. Il controllo a cui è richiesto loro di sottoporsi, la sottomissione a cui devono piegarsi è quella di uno Stato madre apparentemente molto accogliente, che si mostra preoccupato per i figli e pretende di agire per il loro superiore interesse, per il loro bene. I Trevallion vanno rieducati in nome del progresso, c’è un Leviatano che pretende di accoglierli nel suo amorevole abbraccio (abbraccio stritolatore, in verità).
Nel mondo reale, i valori maschili oggi contano ben poco, eppure sono esattamente quelli che regolavano l’esistenza della grandissima parte delle civiltà tradizionali, comprese quelle che veneravano divinità femminili. L’ordine sacro, verticale e gerarchico dei guerrieri e dei cacciatori è quanto di più lontano dall’attuale ordine orizzontale e sedicente democratico, che schiaccia l’individuo in nome di un collettivo anonimo e slavato, e riduce il creato a caricatura buona per abbellire i salotti. Il rapporto con la terra, la tradizione e la natura, oggi, va bene soltanto finché è confinato al cinema, magari in 3d. La favola di Avatar è apprezzata in quanto favola, il selvaggio è buono solo quando è inoffensivo e addomesticato al cinema e in tv. La tecnica non tollera opposizione se non quella che essa stessa costruisce: il film di James Cameron è la tecnologia al suo apice che assume pose antitecnologiche, la modernità turbo che si finge antimoderna, l’ipocrisia che serve da consolazione.
Siamo davvero curiosi di sapere che cosa racconterà il quarto capitolo della saga. Ci permettiamo di dare una piccola idea per una trama possibile: i Na’vi devono affrontare una nuova minaccia. Dal pianeta Bibbia’no sono giunti invasori apparentemente molto gentili, ma temibili: vogliono portare via tutti i piccoli indigeni per farli vivere in case riscaldate e non più in capanne, e per farli andare a scuola come tutti gli altri minori del cosmo. Che ne dite? Più realistico no?






