2023-12-11
Croccante o morbido, a Natale il torrone non può mai mancare (senza esagerare)
La sua origine è dubbia: gli antichi romani già lo conoscevano o lo introdussero in Italia gli arabi? In ogni caso, Cremona ne è diventata la «capitale», anche se durante le feste ogni regione presenta una sua versione. Ma occhio agli zuccheri: basta qualche morso.Se dovessimo comporre il paniere dei dolci di Natale, certamente non potrebbero mancare panettone e pandoro. Ma c’è un altro elemento immancabile, sebbene non sia oggetto dell’appassionata attenzione che, man mano che ci si avvicina a Natale, calamitano su sé in primo luogo il panettone, ma anche il pandoro: è il torrone. Il torrone classico ha una consistenza tra il croccante e il duro, c’è poi il torrone morbido. Entrambi sono ricoperti, sopra e sotto, da uno strato di ostia. Nell’epoca contemporanea, quel velo che ricorda, per esempio, il panforte, che si potrebbe considerare una torta di torrone ma contiene farina e quindi esula dalla famiglia dei torroni, è stato sostituito da una copertura in cioccolato. E non c’è solo il torrone ricoperto di cioccolato, c’è anche quello in cui la copertura si è appropriata anche dello spazio di ciò che doveva ricoprire: il torrone di cioccolato è una tavoletta di cioccolato delle stesse misure del torrone che di solito contiene nocciole. Abbiamo detto misure: il torrone è un parallelepipedo rettangolo, alto fino a 2 cm, largo fino a 10 cm e lungo 30, circa. Misure e volumi diversi da quelli della tavoletta di cioccolato, più larga, più corta e meno spessa, ed è questo a far la differenza tra il torrone di cioccolato e la tavoletta di cioccolato: il torrone di cioccolato ricorda una tavoletta di cioccolato, ma fornisce comunque un «effetto torrone», rispetto a un pezzo di cioccolata, proprio per le misure maggiori. Sulle origini del torrone ci sono due piste principali, le quali, a ben guardare, potrebbero non escludersi a vicenda. Quella anticoromanista e quella arabista. Andiamo per ordine. Secondo alcuni il torrone arriva in Sicilia tramite gli Arabi. Il torrone infatti somiglia ai dolci di cui parlano gli studiosi di medicina di Baghdad Ibn Butlan e Ibn Jazla e l’arabo andaluso Abenguefith Abdul Mutarrif nei loro manoscritti. Dalla Sicilia, il torrone sarebbe poi penetrato nel resto d’Italia, in principal modo a Cremona, dove ancora oggi è un prodotto fondamentale: la Festa del torrone di Cremona si svolge ogni anno a novembre. Vi arrivò, secondo alcuni, tramite la traduzione del libro di Mutarrif operata da Geraldo da Cremona. Secondo altri, cavallo di Troia sarebbe stata la traduzione dei testi di Baghdad ad opera di Giambonino da Cremona. Secondo altri ancora, il torrone sbarca al nord tramite l’imperatore Federico II di Svevia, che soggiornò spesso a Cremona nel corso delle sue campagne militari antinordiche. C’è anche la tesi secondo cui il torrone fece il suo esordio a Cremona il 25 ottobre del 1441 per il matrimonio di Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza, su idea dei cuochi di corte che vollero creare un dolce a forma della famosa torre campanaria locale, il Torrazzo di Cremona. C’è poi l’altra pista, che è quella antico-romana. Nella seconda guerra sannitica, 321 a.C., i Sanniti di Gaio Ponzio sconfissero i Romani con un inganno e poi li fecero anche passare sotto i gioghi: le lance incrociate a Caudium, oggi Montesarchio, teatro di quella umiliazione, hanno dato origine alla metafora delle forche caudine per indicare una pesante pubblica umiliazione. Questa è storia, la leggenda vuole che dopo la sujugatio i Romani non mangiassero più e che i Sanniti si adoperarono per far tornare loro l’appetito - li volevano umiliati, non morti - offrendo un dolce irresistibile. Il nome di quel dolce fatto di albume, miele e semi, il cuppedo attestato anche da Marco Terenzio Varrone, riecheggia in quello di preparazioni simili contemporanee che quindi ne potrebbero essere la derivazione (anche se i Romani non avessero imparato ad apprezzare e realizzare il cuppedo dai Sanniti). Sono tutti piccoli torroncini: c’è la cupeta valtellinese, morbida e sottile, fatta con due strati di ostia che racchiudono miele e nocciole in granella, c’è la cupeta leccese fatta con mandorle e zucchero, c’è la copeta del reatino, di forma romboidale, fatta con miele e noci tritate racchiuse in foglie di alloro, e quella abruzzese, la cupét, in cui l’albume con lo zucchero si mescola sia con le nocciole per fare il torroncino e poi glassa, immacolato, la superficie del torroncino stesso. Sono tutti tipici torroncini natalizi. Oggi siamo abituati ai torroncini industriali, incartati. Beh, questi antichi, dai nomi dialettali appena elencati, sono gli originali artigianali che si incartavano (e incartano) anch’essi, tanto che esistono proverbi che usano la metafora del torroncino incartato per rappresentare altro. Accade in Abruzzo: «ammuine assai e cupét poch» significa tanto fumo e poche copét, con riferimento a una confezione importante che poi cela coppette troppo piccole... E in Sicilia, dove c’è la cubbaita, si dice «scroscio di carta senza cubbaita» per indicare esordi e annunci senza seguito. Secondo molti, queste copette sono eredi dirette, sia dal punto di vista linguistico, sia da quello formale della ricetta, del cuppedo/cupedia antico-romano, dal verbo cupio, col senso di ghiottoneria e di cosa desiderata. Esiste una folta costellazione di questi torroncini cloni negli ingredienti e nei nomi, ma secondo alcuni il nome - e la cosa - da cui essi prenderebbero le mosse sarebbero sempre arabi, dall’arabo kubbeit. Va anche detto, però, che il kubbeit era fatto col mosto d’uva. Insomma, la questione resterà dibattuta e pare azzardato propendere per la pista arabista o per quella latinista senza se e senza ma. Anche perché c’è traccia scritta anche di un altro dolce latino che somiglia davvero molto al torrone: Apicio parla di nucatum fatto con noci, miele e albume. Che sia un croccante, cioè un torrone fatto di miele e frutta secca, o un torrone in senso stretto che accoglie nell’impasto di miele e frutta secca anche l’albume, che sia piccolo, monoporzione, o una dose per più persone da tagliare a tocchetti, il torrone ha delle caratteristiche fisse che riguardano la consistenza e la forma: è croccante, anche duro, oppure morbido e, in una massa zuccherina, ingloba frutta secca o anche semi oleosi (si pensi al croccante di sesamo o alla gobbaita siciliana) e questa è la sua funzione principale: conservare per l’inverno frutta secca e semi oleosi per dare energia nella stagione che, fredda e poco luminosa, richiede al corpo di incamerare più calorie perché il corpo ne brucia di più per riscaldarsi e per tenersi efficiente come quando c’è il sole caldo e persistente a lungo in primavera o estate. Per orientarsi, basterà ricordare la classificazione dei nougat, categoria di dolci con mandorle o nocciole tritate, e zucchero o miele, che si suddividono in nougat bianchi, con albumi e miele, e comprendono il torrone, il mandorlato (miele, zucchero, albume d’uovo e mandorle tipico di Cologna Veneta dove il giorno dell’Immacolata Concezione si celebra con una festa apposita), il nougat di Montélimar, il turrón spagnolo e il natif dell’Asia centrale; poi, i nougat marroni, senza uova e comprendenti il croccante e il nougat noir. Infine, c’è la categoria dei nougat neri viennesi e tedeschi con cioccolato e nocciole.Dal punto di vista della salute e del benessere, questo dolce natalizio va considerato, appunto, un dolce. Il fatto che il torrone sia più piccolo del panettone o del pandoro non vuol dire che se ne possa mangiare uno intero. Vero è che se ne consuma un tocchetto di un parallelepipedo da 100, 200, 250 g, un tocchetto che dunque corrisponde a 10 o 20 g e non i 100 g di una fetta di pandoro o panettone che pesano 1 kg. Ma se 100 g di panettone hanno circa 320 calorie e 100 di pandoro, invece, circa 360, 100 g di torrone possono avere dalle 400 alle 600 calorie. Non sono affatto poche. Quindi, un tocchetto di torrone da 10 g ha almeno 40 o 60 calorie, uno da 20 g 80 o 120 e così via. Perciò è importante restare sempre sul tocchetto di torrone, mangiarne pochi grammi, non centinaia. Durante le feste, non concedetevi quella ghiottonata del panino con due fette di panettone o di pandoro ripieno con mezzo torrone a far da companatico: lasciate questi azzardi a chi ha il metabolismo super efficiente (posto che sono eccessi che non fanno bene nemmeno a coloro che li mangerebbero senza ingrassare). Al limite, fate la «mini ghiottonata» con un tocchetto di torrone e due pezzetti di fette. Nonostante il fatto che il torrone non contenga tutti gli ingredienti di un panettone o pandoro, in primo luogo non ha farina e burro, le calorie del nostro derivano comunque da categorie cui quelli appartengono: mediamente, per il 50% da lipidi, per il 41% da carboidrati e per il 9% da proteine. Zuccheri e grassi la fanno da padrone, grassi cosiddetti buoni, certo, gli insaturi della frutta secca, per lo più, che proteggono da diabete, ipercolesterolemia ed obesità, ma non bisogna esagerare perché questa frutta secca è letteralmente annegata negli zuccheri, i grassi e le proteine dell’albume, nella cioccolata se il torrone è di cioccolato e anche nella cioccolata se è uno dei due tipi precedenti ricoperto di cioccolata. Il torrone dall’impatto più leggero sulla nostra linea e sulla nostra salute è quello tradizionale di albume, zuccheri (miele o zucchero) e frutta secca, se è il mandorlato contiene mandorle non pelate, quindi abbiamo anche un ulteriore pochino di fibre. Più ingredienti aggiungiamo, più aumentiamo calorie. Queste ultime derivano per una buona parte da zuccheri, perciò il diabetico deve evitare il torrone. Anche il celiaco deve evitare il torrone fatto con ostia normale, che contiene glutine. Esistono specifici torroni per celiaci con ostia fatta di fecola di patate o senza ostia e realizzati in cucine che non lavorano glutine. Chi ha problemi di colesterolo alto può pensare al via libera perché nel torrone non c’è tuorlo, ma va sempre ricordato che anche un eccesso di zuccheri non fa bene all’ipercolesterolemico, quindi il consiglio è di mangiare, eventualmente, davvero poco torrone. Possiamo trovare quello che chiamiamo croccante, fatto di miele (se industriale, sciroppo di glucosio) e frutta secca tutto l’anno, così accade con alcuni torroncini come le cupet abruzzesi o il torroncino degli sposi, noto anche come torroncino di Roccagloriosa, recuperato e prodotto dall’apicoltore e produttore agricolo Francescantonio Cavalieri che abbiamo intervistato qualche tempo fa a proposito del suo recupero anche del farro, ma il torrone vive principalmente a Natale. Nonostante questo, non si può considerare una preparazione che ci aiuta a contrastare il freddo, mangiandosi tipicamente freddo. Ma certamente scalda il nostro senso del gusto e fa Natale.
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