2018-08-06
Criticare il Colle ora è un atto di terrorismo
In Italia ci si può fare beffe di tutti, basta non toccare Mattarella. Dopo lo scontro con Paolo Savona a chiedere l'impeachment sono stati i cittadini, eppure si insiste a cercare a tutti i costi account di Mosca. Senza dibattito politico, rischiamo la monarchia presidenziale.Allora, fateci capire: chiedere le dimissioni del capo dello Stato perché si ritiene, a torto o a ragione, che non rispetti il volere degli italiani è un atto da considerarsi eversivo? Dire che Mattarella non ha il potere costituzionale di impedire la nomina di un ministro indicato dalle forze che hanno vinto le elezioni, e che se si rifiuta di incaricarlo ha l'obbligo di dimettersi, è quindi un'opinione da equiparare a un atto terroristico? Cioè: chi critica il presidente della Repubblica commette il reato di lesa maestà e attenta alla stabilità delle istituzioni? Beh, se è questo che si vuole dimostrare con l'inchiesta aperta dalla Procura di Roma diciamo subito che la democrazia in questo Paese è morta e sepolta ed è stata sostituita dalla monarchia. Già risulta impossibile sopportare che nel codice penale ancora oggi esista un reato che in caso di polemica con il Quirinale faccia scattare l'ipotesi di vilipendio del Capo dello Stato. Ma se addirittura l'esercizio del diritto di critica e la richiesta di dimissioni di un'alta carica della Repubblica può sfociare in un'accusa di terrorismo, allora la situazione è assai più grave.Tutto comincia alla fine di maggio, quando Sergio Mattarella punta i piedi contro la nomina di Paolo Savona alla guida del ministero dell'Economia. Sul professore che ha un curriculum di tutto rispetto pende l'accusa di alto tradimento nei confronti di Bruxelles. Da docente, ex ministro e uomo d'affari si è permesso di manifestare alcune perplessità circa l'euro e l'architettura europea. Per questo motivo, cioè per aver messo in dubbio i trattati Ue, Savona è definito ministro non gradito dallo stesso Mattarella, il quale evidentemente, invece di giurare sulla Costituzione, ha promesso fedeltà all'Europa, al punto di dichiarare, nel discorso in cui liquida il primo tentativo di Giuseppe Conte di formare il nuovo governo, di rispondere ai mercati e alla Ue e non a chi è stato eletto dagli italiani. Quel giorno, mentre il capo dello Stato mette alla porta Matteo Salvini e Luigi Di Maio, affidando il mandato per il nuovo esecutivo a Carlo Cottarelli, il vicepremier pentastellato chiede l'impeachement, cioè la messa in stato d'accusa del presidente della Repubblica. È una mossa estrema, che difficilmente ha possibilità di essere raccolta, per di più dura lo spazio di una sera, perché il mattino dopo nessuno vuole sentir parlare di trascinare Mattarella sul banco degli imputati. Ma in quelle ore di muro contro muro tra il Quirinale e la maggioranza gialloblù alcuni account rilanciano nel web la richiesta di dimissioni e di impeachment. Sono alcune centinaia i tweet sparati in Rete che chiedono al capo dello Stato di far le valigie. E su quei messaggi si appuntano gli occhi della magistratura: chi si è permesso di spingersi a sollecitare il presidente della Repubblica a gettare la spugna? Vuoi vedere che contro la prima carica dello Stato è stata messa in atto un'oscura manovra? Risultato, i pm aprono un fascicolo per far luce sull'episodio, ipotizzando appunto l'attentato contro gli organi costituzionali, reato punibile con una decina d'anni di galera.Non è la prima volta che viene agitato questo spauracchio. In passato la stessa Procura minacciò di incriminare gli agenti del servizio segreto che insistevano a sostenere che Oscar Luigi Scalfaro ricevesse mensilmente dalle loro mani buste contenenti un centinaio di milioni di lire. Soldi in nero per operazioni in nero, tipo il pagamento dei riscatti: una storia che i magistrati si rifiutarono addirittura di ascoltare, avvisando gli 007 che se avessero confermato le loro accuse sarebbero incorsi nel reato di attentato agli organi dello Stato. Ovviamente, sulla faccenda calò il silenzio. Oggi invece l'accusa di terrorismo minaccia di tappare la bocca non a dei funzionari troppo loquaci nel raccontare i traffici loschi dello Stato, ma di mettere il silenziatore addirittura al diritto di critica che, da Costituzione, può avere per oggetto perfino il presidente della Repubblica.In principio, forse per giustificare l'inchiesta, si era ipotizzato che i messaggi contro il Quirinale fossero partiti da account moscoviti, facendo dunque balenare una specie di Russiagate in salsa italiana. Ma poi si è capito che i messaggi, pur essendo veicolati dall'estero, avevano cittadinanza italiana. Nessuna potenza straniera dunque attentava alla nostra stabilità. Semplicemente qualcuno in Italia si era permesso di criticare il noioso tira e molla in corso sul Colle, con il capo dello Stato a ergersi non a garante della Costituzione, ma a garante dei trattati europei. Una critica che ora rischia l'accusa di terrorismo. Perché in questo Paese ci si può fare beffe di tutti, in particolare degli italiani, ma se ci si azzarda a chiedere le dimissioni di Mattarella si rischia. Solo se si è di sinistra ci si può permettere di mettere alla berlina il capo dello Stato. Quando Francesco Cossiga era presidente della Repubblica, il Pds di Achille Occhetto arrivò a sostenere non soltanto la richiesta di impeachement, ma addirittura che fosse pazzo. Tuttavia a nessun pm venne in mente di mandare i carabinieri a Botteghe Oscure. Né la polizia bussò a casa di Enrico Berlinguer quando questi, a nome del suo partito, fece fuggire di notte Giovanni Leone, costringendolo alle dimissioni dopo una campagna tanto violenza quanto priva di fondamento. All'epoca i magistrati assistettero muti, senza ipotizzare alcun attentato agli organi costituzionali. Allora l'idea di procedere penalmente per fatti politici sarebbe stata giudicata, quella sì, un attentato alla democrazia. Ma forse erano altri tempi e la democrazia valeva ancora qualche cosa. Soprattutto valeva ancora l'articolo 21 della Costituzione, quello che garantisce la libertà di espressione. Anche se l'espressione riguarda la massima autorità dello Stato.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)