2021-04-05
I Cristiani perseguitati nel mondo sono 340 milioni
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Il fenomeno delle persecuzioni anticristiane è ben lungi dal rivelarsi un'anticaglia da relegare al passato. Si tratta al contrario di una realtà tremendamente viva, che - nella sua gravità - colpisce numerosi Paesi, e che si articola in svariate modalità.Da quando il Nagorno Karabakh è sotto il controllo azero non si placano le preoccupazioni per il patrimonio culturale armeno con numerose denunce di episodi di vandalismo e cancellazione. L'architetto armeno Gaianè Casnati: «Si calcola che almeno 1.456 monumenti armeni tra cui 161 chiese siano passati sotto il controllo azero, oltre a 10 musei che si sono bruscamente trovati a cambiare direzione».Lo speciale contiene due articoli.Secondo il rapporto «World Watch List 2021» dell'agenzia missionaria cristiana, Open Doors, sarebbero oltre 340 milioni nel mondo i cristiani che sperimentano almeno un livello alto di persecuzione e discriminazione a causa della propria fede (un cristiano ogni otto). E i dati preoccupanti non si fermano qui. L'organizzazione ha infatti riportato che, tra i cento Paesi monitorati dalla sua ricerca, salgono a 74 quelli che mostrano un livello di persecuzione e discriminazione definibile alta, molto alta o estrema. In media, sono ben tredici i cristiani uccisi e quattro quelli rapiti ogni giorno. Inoltre, «i cristiani uccisi per ragioni legate alla fede crescono del 60%, con la Nigeria ancora terra di massacri, assieme ad altre nazioni dell'Africa Sub-Sahariana colpite dalla violenza anticristiana: nella top 10 dei paesi con più uccisioni di cristiani troviamo otto nazioni africane». Tutto questo, senza trascurare che la pandemia abbia reso ulteriormente vulnerabili le minoranze cristiane soggette a persecuzione e ostilità. «Per via del confinamento, la violenza domestica è cresciuta esponenzialmente. Molti convertiti alla fede cristiana hanno vissuto chiusi in casa con coloro che maggiormente osteggiavano la loro nuova fede (familiari)». In tutto questo, il rapporto evidenzia anche come «sono aumentati i rapimenti, le conversioni e i matrimoni forzati ai danni di donne e ragazze». Tra i Paesi maggiormente interessati dal fenomeno persecutorio anticristiano, si registrano: la Corea del Nord, l'Afghanistan, la Somalia, la Libia, il Pakistan, l'Eritrea, lo Yemen, l'Iran e la Nigeria. Gli effetti della pandemia hanno invece reso le minoranze cristiane più vulnerabili in aree come India, Myanmar, Nepal, Vietnam e Bangladesh. Tra le new entry in questa triste lista si notano: Messico, Repubblica democratica del Congo, Mozambico ed Isole Comore. Il rapporto di Open Doors ha tra l'altro messo in luce una crescita dell'ostilità da parte della Cina che attua «tra le altre cose una sempre più stringente sorveglianza (anche tecnologica) sulle attività cristiane e un numero di arresti difficilmente rintracciabile». «La sinicizzazionedel cristianesimo», secondo l'organizzazione, «è stata estesa a febbraio 2020 con nuove norme regolanti l'organizzazione dei culti, la selezione dei responsabili ecclesiali, l'assunzione del personale, fino alla reinterpretazione della Bibbia secondo i valori fondamentali del socialismo». Non solo: secondo Open Doors «i funzionari del Partito Comunista nello Shanxi, nell'Henan, nello Jiangxi, nello Shandong e in altre province, hanno minacciato di ritirare i sussidi sociali, comprese le pensioni, se i cristiani si rifiutano di sostituire le immagini cristiane (come le croci), con le immagini del presidente Xi Jinping». Aspetti inquietanti, a cui - forse - la comunità internazionale dovrebbe prestare maggiore attenzione: a partire proprio dagli Stati Uniti. Se Donald Trump aveva infatti considerato la tutela della libertà religiosa (in patria e all'estero) come uno dei capisaldi della propria agenda, Joe Biden è apparso - almeno finora - molto più tiepido sull'argomento. Il rapporto si occupa tuttavia di registrare anche casi in cui la situazione dei cristiani è (almeno parzialmente) migliorata. In Sudan, per esempio, la pena di morte per apostasia è stata abolita. Tutto questo, mentre «la sua nuova costituzione garantisce la libertà di religione, omette la sharia come sua principale fonte di legge e non specifica più l'islam come religione di stato». In particolare, la vita per il 6% dei cristiani presenti nel Paese starebbe migliorando. In Iraq invece un gruppo di giovani musulmani si sarebbe attivato per ripulire chiese e case distrutte e incoraggiare i cristiani sfollati, a causa dell'Isis, a tornare in quei luoghi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/cristiani-perseguitati-mondo-340-milioni-2651348206.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-patrimonio-culturale-del-nagorno-karabakh-e-a-gravissimo-rischio-di-distruzione" data-post-id="2651348206" data-published-at="1617458050" data-use-pagination="False"> «Il patrimonio culturale del Nagorno Karabakh è a gravissimo rischio di distruzione» Gaianè Casnati (YouTube) Non si placano le preoccupazioni per il patrimonio culturale armeno in Nagorno-Karabakh. La regione è finita sotto il controllo degli azeri pochi mesi fa. E, da allora, sono stati denunciati episodi di vandalismo e cancellazione ai danni del retaggio culturale armeno. Per cercare di comprendere maggiormente la situazione, La Verità ha deciso di intervistare l'architetto Gaianè Casnati, membro del Centro Studi e Documentazione della cultura armena.Gaiané Casnati, quali sono le principali problematicità oggi per il patrimonio culturale armeno in Nagorno-Karabakh?«Purtroppo il patrimonio culturale nella regione del Nagorno Karabakh si trova a gravissimo rischio di distruzione. Innanzitutto, occorre specificare che, a seguito di un drammatico conflitto svoltosi in pieno periodo di pandemia, tra il 27 settembre e il 9 novembre 2020, quello che, dal 1994 al 2020, era stato uno stato indipendente dotato di un governo democratico risulta ora diviso. Una grande parte dei territori che ne facevano parte è stata inglobata nell'Azerbaigian.Stiamo parlando di un'area geografica abitata fin dai primi albori della civiltà (nella grotta di Azykh sono state trovate tracce di alcuni dei primi gruppi di proto-umani in Eurasia) e che ha avuto una vita culturale ricchissima, animata dagli armeni che l'hanno abitata con continuità da tempi antichissimi.Non è facile dare in poche righe un'idea della consistenza di un patrimonio che si è venuto formando nel corso di molti secoli e che comprende centinaia di chiese e di fortezze costruite tra il IV e il XX secolo, siti archeologici, ponti, cimiteri antichi, quartieri storici e innumerevoli khachkar, splendide steli lapidee che riportano croci a bassorilievo finemente istoriate. Si calcola che almeno 1.456 monumenti armeni tra cui 161 chiese siano passati sotto il controllo azero, oltre a 10 musei che si sono bruscamente trovati a cambiare direzione.Nonostante siano già passati mesi dalla stipula del cessate il fuoco, ancora non è stato possibile per gli enti internazionali come Unesco e Blue Shield organizzare una missione di verifica della situazione del patrimonio culturale che permetta di stabilire i danni subiti e le azioni da mettere in atto per la sua salvaguardia. Sono diversi i rischi a cui è sottoposto questo ricchissimo patrimonio, alcuni sono comuni a tutti i monumenti: il rischio sismico, la mancanza di manutenzione, ecc. Quello che in questo caso preoccupa gli esperti e gli enti internazionali è il rischio aggiuntivo a cui questi monumenti sono sottoposti, connesso alla particolare situazione politica. Già da diversi anni in Azerbaigian è in atto una revisione della verità storica che purtroppo si concretizza anche in azioni di deliberata distruzione di tutte le evidenze della presenza armena sui territori. In Nakhichevan, tra il 1997 e il 2006, sono stati sistematicamente distrutti tutti i monumenti armeni, tra cui decine di chiese (non ne rimane nessuna delle 310 documentate negli anni Settanta), e l'intero antico cimitero di Julfa, che constava di molte migliaia di antiche pietre tombali decorate e di ben 7.000 khatchkar, sbriciolati dai militari azeri senza che nessuno potesse fermarli. Già durante il conflitto alcuni monumenti significativi, come la cattedrale di Shushi sono stati oggetto di deliberata distruzione, ma ciò che più preoccupa è quello che sta avvenendo in questi giorni, il 25 marzo la Bbc ha denunciato la sparizione della chiesa armena di Jabrayil, che è stata letteralmente rasa al suolo. Altre fonti segnalano la distruzione della chiesa Ganach Jam a Shushi e la profanazione della chiesa di St. Yeghishe a Mataghis.I timori degli esperti riguardano anche la sorte delle numerosissime e iscrizioni medievali e croci che sono scolpite sulle facciate di molte chiese, e che dimostrano la loro appartenenza culturale».Ci sono iniziative per cercare di coinvolgere la comunità internazionale nella questione? «Ci sono moltissime iniziative in corso, in linea con il carattere di un popolo come quello armeno che ha sempre posto la cultura al centro del proprio sistema valoriale. Moltissimi studi sono in corso per conoscere sempre più a fondo, valorizzare e far conoscere l'immensa cultura di quei territori e contrappore una verità storica scientificamente dimostrabile ad una narrativa basata sulla falsità e la manipolazione.Un'università americana (la Cornell University) sta portando avanti uno studio basato sulle immagini satellitari per monitorare la situazione dei monumenti più rilevanti. Questo permetterà di lanciare un allarme ma dovrebbe poi poter essere seguito da azioni concrete di difesa che ora sembrano difficili da immaginare.Purtroppo, da parte dell'Azerbaigian c'è un continuo impegno per diffondere informazioni false rivolgendo alla parte armena accuse completamente infondate che a volte vengono pubblicate senza una verifica della loro veridicità. Invitiamo tutti, soprattutto i giornalisti, a informarsi per cercare di farsi un'opinione basata su verità dimostrabili.Il ruolo degli Enti internazionali come Unesco e Consiglio d'Europa è molto importante, pur nella consapevolezza che la situazione è molto complessa e che quando non si può riuscire nemmeno a pretendere il rispetto delle convenzioni internazionali per il rilascio dei numerosi prigionieri di guerra armeni ancora detenuti come ostaggi in Azerbaigian, non possiamo immaginare che possa essere facile garantire la salvaguardia di un patrimonio prezioso che appartiene a tutti noi e dovrebbe essere trasmesso intatto alle generazioni future».Quali potrebbero essere le soluzioni a questo problema? «In questo momento non è facile proporre soluzioni, tutte al momento sembrano difficilmente percorribili. Il desiderio di salvaguardare un patrimonio culturale concentrandosi sui suoi valori artistici e sulle qualità estetiche nel rispetto dei valori storici dovrebbe poter fungere da virtuale luogo di incontro di esperti di tutte le nazionalità e in futuro auspico che sia proprio questa la via per aiutare a ripristinare la capacità di tornare a convivere pacificamente su territori così tormentati dalla storia. Ma questo non è pensabile senza che sia fermata l'aggressione ancora in atto».
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