2024-01-07
Fa troppo freddo: bus elettrici paralizzati
Oslo, ondata di gelo del gennaio 2024 (Ansa)
Richiamate 1 milione e 600.000 Tesla in Cina: l’azienda deve correggere difetti ai software per la guida assistita. Negli Usa la casa di Elon Musk si aggiudica il triste primato di 23,54 sinistri ogni 1.000 automobilisti.A Oslo con -20 gradi si blocca gran parte della flotta di bus elettrici. La soluzione: usare sui mezzi bruciatori a gasolio. Disfatta per la Norvegia che vuole l’addio ai motori a combustione dal 2030.Lo speciale contiene due articoli.Il 2024 è iniziato in salita per Elon Musk. Dopo la conferma del sorpasso nelle vendite dell’ultimo trimestre del vecchio anno da parte della cinese Byd, sempre dalla Grande Muraglia arriva un’altra doccia gelata. La Tesla è costretta a richiamare 1,6 milioni di auto per problemi tecnici che «mettono a rischio la sicurezza». Secondo quanto annunciato dall’autorità statale cinese per la regolamentazione del mercato Samr, l’azienda deve intervenire per correggere alcuni difetti, legati ai software per la guida assistita, l’Autopilot che, insieme alle funzioni connesse di sterzo automatico assistito, «aumenta il rischio di collisione con il veicolo e presenta rischi per la sicurezza», e per la chiusura delle porte della vettura che potrebbero sboccarsi e aprirsi in caso di collisione. È coinvolta l’intera gamma di vetture attualmente disponibile sul mercato, i Model S, X, Y e 3 prodotti tra il 2014 e il 2023.Per l’azienda statunitense è un duro colpo. Attualmente Tesla gestisce quattro siti produttivi in tutto il mondo, due negli Stati Uniti, uno in Cina e uno in Germania. I dati delle consegne dell’ultimo trimestre e dell’intero 2023 (484.507 auto elettriche negli ultimi 3 mesi dell’anno e 1.808.581 nell’intero scorso) dimostrano che la Gigafactory della Cina è un pilastro per l’azienda di Elon Musk. Nell’ultima parte del 2023, i veicoli fabbricati in Cina hanno contribuito per il 51,33% delle consegne globali di Tesla (248.686 veicoli). Considerando l’intero anno, l’azienda ha venduto 947.742 veicoli a batteria fabbricati in Cina (oltre il 50% del totale), una quantità quasi pari all’attuale capacità della fabbrica cinese, in aumento del 33,32% rispetto ai 710.865 del 2022. La Gigafactory di Shanghai, la più grande al di fuori degli Stati Uniti, ha una capacità produttiva di oltre 950.000 vetture. Di lì escono le Tesla Model Y e le Tesla Model 3. Questo stabilimento non serve solamente il mercato cinese ma è anche un importante hub per le esportazioni.Insieme a Volkswagen, Bmw e Mercedes, la casa di Musk è la più esposta alla domanda cinese. Sono marchi che come ha dimostrato l’ascesa di Byd, sono minacciati dal rapido sviluppo dei modelli elettrici cinesi. Esistono più di 170 brand locali, molti dei quali si rivolgono a segmenti simili a quello di Tesla. In questo contesto e a fronte degli importanti piani di sviluppo che ha in progetto Musk, un inciampo, come quello di un software difettoso, rischia di trasformarsi in una caduta rovinosa. Il meccanismo malfunzionante sarà aggiornato da remoto con l’uso di una tecnologia a distanza che risolve i problemi senza costringere i proprietari a recarsi presso i centri di assistenza, per evitare che i conducenti possano «abusare delle funzioni dell’Autopilot», aumentando potenzialmente il rischio di collisioni. Tesla inoltre dovrà caricare sul sistema una serie di controlli e avvisi per «incoraggiare gli automobilisti ad aumentare la propria responsabilità alla guida». Non è la prima volta che l’azienda incappa in un incidente del genere. A dicembre scorso, sempre per un rischio connesso al sistema di guida assistita, aveva richiamato 2 milioni di veicoli negli Stati Uniti.A gettare un’ombra sull’affidabilità delle elettriche di Musk, è anche una recente statistica ufficiale che ha preso in esame decine di milioni di casi avvenuti negli Usa, stilando un elenco di 30 produttori. Nel report pubblicato da LendingTree, sono stati presi in considerazione incidenti compresi in un arco di tempo che va dal 4 novembre 2022 al 14 novembre del 2023, ed è emerso che Tesla si aggiudica il triste primato con 23,54 incidenti ogni 1.000 automobilisti, seguita da Ram (22,76 incidenti per la stessa platea) e Subaru (20,90). Va precisato che il report non indaga sulle cause, quindi se all’origine vi siano difetti meccanici, tecnologici o delle semplici disattenzioni alla guida. Qualcuno ha però già puntato il dito contro Autopilot che indurrebbe ad una guida meno attenta proprio per il fatto che l’automobilista è confortato dalla presenza di un «aiutino». Un’altra indagine, questa volta del Washington Post, pubblicata a giugno scorso, ha riportato che dal 2019 ci sono stati 736 gli incidenti stradali negli Stati Uniti imputabili al pilota automatico della Tesla. Sul banco degli imputati ci sarebbe l’ampliamento dell’implementazione della tecnologia Full Self-Driving, che migliora la capacità dei veicoli di leggere quello che accade intorno a loro. Secondo alcuni dati, i conducenti che hanno scelto di adottare questa tecnologia sono passati da 12.000 ai 400.000 in poco più di un anno. A febbraio 2023 Tesla è stata costretta a richiamare ben 360.000 veicoli dotati di Full Self-Driving per timore che il software li spingesse a non rispettare i semafori, i segnali di stop e i limiti di velocità. Si era parlato di un problema denominato «frenata fantasma», che porta i conducenti a rallentare bruscamente per pericoli immaginari.Musk ha sempre sostenuto che guidare con il pilota automatico è più sicuro che senza. Ma lo scorso ottobre il Wall Street Journal ha riferito di un’indagine da parte di procuratori federali ed enti di regolamentazione sull’ipotesi che la casa automobilistica abbia ingannato clienti e investitori in merito al funzionamento della propria tecnologia.L’Autopilot pone anche il problema legale della responsabilità in caso di incidenti. Finora Tesla ha vinto alcune cause negli Stati Uniti ma il tema è tutt’altro che risolto.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/crisi-mezzi-elettrici-green-2666888352.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="a-oslo-fa-freddo-bus-elettrici-fermi" data-post-id="2666888352" data-published-at="1704616336" data-use-pagination="False"> A Oslo fa freddo: bus elettrici fermi Più che tanti studi di esperti, additati come nemici della transizione ecologica, ci pensa proprio il clima a inchiodare gli ambientalisti all’assurdità dei loro obiettivi. Il parlamento norvegese ha appena fatto in tempo ad approvare il nuovo piano per i trasporti con l’ambiziosa scadenza di porre fine all’era dei motori a combustione per i camion a partire dal 2030, ed ecco che un’ondata di gelo ha dimostrato l’impraticabilità del full electric. Per ridurre le emissioni inquinanti, l’amministrazione di Oslo ha adottato una politica di massiccio acquisto di bus elettrici per sostituire quelli a diesel. Da giorni però, questi campioni del futuro green, ben 130, gran parte della flotta cittadina, sono immobilizzati a causa delle temperature estremamente basse, oscillanti tra i -17 e i -20 gradi, che caratterizzano la Scandinavia in questo periodo. In Svezia sono stati registrati addirittura 43 gradi sotto zero. Sul web, con una punta di ironia, già si parla del «paradosso dei bus elettrici di Oslo». Il problema era noto e prevedibile. L’erogazione di energia da una batteria è direttamente proporzionale alla temperatura, e durante l’inverno sia gli utenti di automobili che di autobus elettrici devono fare i conti con un’autonomia ridotta rispetto ai mesi più caldi dell’anno. Il freddo rallenta le reazioni chimiche all’interno delle batterie che quindi perdono di efficienza e autonomia e richiedono tempi di ricarica più lunghi. Il sistema elettrico rende in modo ottimale intorno ai 20 gradi e via via scendendo verso lo 0 termico, va a peggiorare. «A -12 gradi un veicolo elettrico parcheggiato può perdere fino al 30-40% della sua autonomia prima ancora di iniziare a muoversi», spiega Anna Stefanopoulou, professoressa di ingegneria meccanica all’Università del Michigan, specializzata nella chimica dei sistemi elettrici. Gli esperti dicono anche che con l’abbassamento della temperatura, la densità dell’aria aumenta e di conseguenza cresce la resistenza al movimento. Questo significa che serve più energia. La situazione si complica a causa della necessità di riscaldare l’interno dei mezzi pubblici. Può significare fino al 30% del consumo complessivo, specie nei bus urbani affollati. L’azienda che gestisce i trasporti pubblici nella capitale norvegese, la Ruter, ha detto di aver affrontato il problema dell’autonomia dei veicoli in condizioni di freddo intenso, modificando i turni di ricarica e migliorando l’infrastruttura. Come dire: nemmeno la morsa del gelo ci fa ripensare sull’addio all’endotermico. Un modo per risparmiare l’energia da batterie indispensabile a riscaldare l’abitacolo, ci sarebbe: «L’uso di bruciatori a gasolio in inverno mantenendo gli autobus collegati alla rete anche durante l’avviamento», ha spiegato ancora la Stefanopoulou. Ma questo entra in conflitto con l’obiettivo di avere nuovi mezzi pubblici a emissioni zero entro il 2030. Come reagirebbero gli ambientalisti? L’agenzia norvegese per la protezione ambientale ha addirittura chiesto obiettivi più ambiziosi. Tant’è che il Parlamento ha già deciso di aumentare di 24,4 milioni di euro il budget per lo sviluppo dei camion a emissioni zero. Intanto le città spingono sui autobus elettrici. Oslo si è candidata a diventare il modello di città full electric con un maxi piano che punta a ridurre le emissioni del 95% entro il 2030. Dopo l’elettrificazione di numerosi traghetti che navigano sui fiordi, adesso tocca agli autobus. La sostituzione integrale della flotta a diesel con 450 elettrici, ha un costo iniziale importante, ovvero 48 milioni di euro. Tanti soldi per poi restare bloccati in inverno.
Jose Mourinho (Getty Images)