2024-08-25
La Cgia di Mestre evidenzia che ci sono 23,1 milioni buste paga e 22,8 milioni di assegni previdenziali. Il record a Sud.A breve più pensionati che lavoratori. Come può stare in piedi il Paese? Due righe che contengono il dramma dell’Occidente, la crisi demografica e l’interrogativo di fondo capace di plasmare e trasformare radicalmente una società. Il consueto studio statistico, che ogni sabato la Cgia di Mestre diffonde ai giornali, contiene i conti della serva sul saldo tra buste paga e assegni previdenziali regione per regione. Su 107 province monitorate in questa analisi, solo 47 presentano un saldo positivo: le uniche realtà territoriali del Mezzogiorno che registrano una differenza anticipata dal segno più sono Cagliari (+10.000) e Ragusa (+9.000). Nel resto del Sud il numero di assegni dell’Inps supera quello delle buste paga. La la provincia più squilibrata d’Italia è Lecce: la differenza è pari a -97.000. «Seguono Napoli con -92.000, Messina con -87.0000 e Palermo con -74,000. «Va segnalato che l’elevato numero di assegni erogati nel Sud e nelle Isole non è ascrivibile alla eccessiva presenza delle pensioni di vecchiaia, ma, invece, all’elevata diffusione», si legge nel documento, «dei trattamenti sociali o di inabilità. Un risultato preoccupante che dimostra con tutta la sua evidenza gli effetti provocati in questi ultimi decenni da quattro fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, il progressivo invecchiamento della popolazione, un tasso di occupazione molto inferiore alla media Ue e la presenza di troppi lavoratori irregolari». Tradotto in numeri. Alla fine del 2022 (ultimo dato consuntivo) il totale degli occupati che percepiscono stipendio è stato di 23,1 milioni di persone. Contro 22.8 milioni di pensioni. Di queste circa 5 milioni non sono supportate da contributi previdenziali, ma sono il frutto dell’assistenzialismo. Un atto dovuto da parte dello Stato, ma che evince ormai una sproporzione numerica rispetto a chi effettivamente ha pagato per ricevere l’assegno di vecchiaia. Se poi volessimo togliere dal novero dei lavoratori i dipendenti pubblici (3,6 milioni) il numero di coloro che con le tasse sostengono l’Italia scende a 19,5 milioni di unità. Poco. Anzi, molto poco. Vedremo se nel corso del 2023 l’aumento del numero degli occupati riuscirà a portare beneficio. Difficile, però, visto il trend demografico che secondo tutte le statistiche resterà discendente almeno fino al 2042. Nei prossimi anni la situazione è prevista, dunque, in netto peggioramento in tutto il Paese, anche nelle zone più avanzate economicamente. Già oggi ci sono 11 province settentrionali che al pari della quasi totalità di quelle meridionali registrano un numero di pensioni erogate superiore alle buste paga corrisposte dagli imprenditori ai collaboratori. Le 4 province della Liguria sono già tutte a saldo negativo. Il Piemonte è metà e metà. Mentre restano a trainare la baracca Milano, Roma, Brescia, Bergamo e Firenze. Grazie a queste zone di servizi e manifatturiero il saldo complessivo alla fine del 2022 è 327.000 unità. Entro la fine del 2028 usciranno dal mondo del lavoro 2,9 milioni di dipendenti di cui il 75% è occupato al Nord. A quel punto tutta l’Italia sarà vecchia. Più pensioni che buste paga senza distinzione di area o settore. Ovviamente come fa notare la Cgia, questo cambio di passo peserà sui consumi. Giovani sempre meno capaci di spendere soldi per case, mutui, vacanze e vestiti e sempre più anziani costretti alla spesa sanitaria, farmaceutica. A quel punto - e c’è da scommettere che l’input arriverà da Bruxelles - verrà messo pesantemente in discussione il sistema sanitario e il welfare in generale. Nel suo recente intervento al meeting di Rimini, il numero uno di Bankitalia, Fabio Panetta, si è soffermato sulla possibilità di utilizzare un numero maggiore di lavoratori extracomunitari regolari per bilanciare il calo degli italiani. La frase è stata ripresa da tutti i giornali, soprattutto quelli di sinistra. Ciò che la maggior parte dei media non ha sottolineato è stata però la seconda parte del ragionamento del governatore. Non basteranno nuovi lavoratori stranieri se non aumenta la produttività e con essa le buste paga. Il punto sta qui. Semplice a livello teorico. Complicatissimo da realizzare dal punto di vista pratico. Le nuove tecnologie aiuterebbero così come la formazione continua. Andrebbe però tutto detratto dalle imposte. Il circolo vizioso però spiega che se si tagliano troppo le tasse la baracca va in default. Vincerà chi troverà l’equilibrio giusto tra tagli, innovazione e welfare progressivo.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






