2024-10-30
Malgrado l’auto, in Italia aumentano i salari
Nonostante la crisi dell’industria, negli ultimi tre mesi le retribuzioni sono cresciute del 2% più dell’inflazione e nei servizi hanno superato il +4%. Le politiche del governo funzionano. Serve un altro sprint con il rinnovo dei contratti scaduti a 7 milioni di addetti.Dopo Volkswagen altre case Ue rivedono le stime al ribasso. Margini giù pure per Ford.Lo speciale contiene due articoli.Premessa: che la crescita dei salari in Italia abbia ancora tanta da strada da fare prima di poter garantire un livello di potere d’acquisto dignitoso, soprattutto nelle grandi città, non è opinabile. Ma che si inizino a intravedere dei segnali di graduale ripresa, in controtendenza rispetto al passato, è un fatto. È con questa ottica che vanno presi gli ultimi dati Istat, quelli che evidenziano come «nel terzo trimestre del 2024, per il totale economia, la crescita delle retribuzioni contrattuali è risultata superiore a quella dei prezzi al consumo di poco più di due punti percentuali». Le retribuzioni crescono più dell’inflazione e questo è un fatto. Certo il carovita del 2024 (anche a settembre è rimasto di qualche decimale sotto il 2%) non è paragonabile ai prezzi che sono schizzati del 5,7% nel 2023 e dell’8,1% nel 2022, ma il rialzo delle buste paga non era per nulla scontato. Non era scontato per la situazione drammatica che sta vivendo l’industria europea e per le ripercussioni che hanno sul lavoro il crollo dell’automotive in Italia, certo, ma anche in Germania che per i distretti della componentistica di Lombardia, Piemonte e Veneto rappresenta una fetta importante della produzione. Spulciando tra i dati poi si vede come «nel corso degli ultimi mesi la dinamica salariale è stata più sostenuta per il comparto privato, con l’industria che, da luglio 2023, mostra variazioni tendenziali mensili superiori al 4% e il settore dei servizi che, in progressivo recupero dallo scorso aprile, a settembre, ha registrato anch’esso una variazione tendenziale superiore al 4%».I settori che danno più soddisfazione ai dipendenti sono quelli del credito e delle assicurazione, dove i rialzi raggiungono addirittura l’11%, poco sotto gas e acqua che si avvicinano al 7% e quindi i metalmeccanici fermi al 6,4%. Soffre, ma il dato era atteso, l’edilizia. Meno scontate invece le difficoltà e la linea piatta registrata in altri comparti come quelli delle farmacie private, delle telecomunicazioni, oppure dei ministeri, delle forze dell’ordine, delle forze armate e dei vigili del fuoco. Il punto è che la dinamica rialzista va avanti da diversi mesi. E premia anche la linea del governo che ha «spinto», con quelli che sono i mezzi a sua disposizione, sulle dinamiche contrattuali. Altro che salario minimo. I contratti appunto. Lì dove ci sono stati dei rinnovi il salario ovviamente va su, se invece le trattative si prolungano, come succede ancora troppo spesso, le retribuzioni restano ferme al palo e i lavoratori perdono drammaticamente potere d’acquisto. I numeri dicono che nel corso del terzo trimestre 2024 sono stati recepiti otto contratti: calzature, trasporti marittimi, alberghi, Rai, scuola privata laica, scuola privata religiosa, ceramiche e poste. Ma il problema, che poi rappresenta anche una grande opportunità di crescita media delle buste paga, è che a fine settembre 2024 aspettano un rinnovo ancora 29 sigle. Sono cioè in ballo circa 6,9 milioni di lavoratori dipendenti che rappresentano più del 50% del totale. Questo perché a giugno sono scaduti gli accordi delle costruzioni e della metalmeccanica.Le situazioni sono diverse e vanno prese singolarmente. Ma alcune sono più significative di altre. Passiamo dal privato al pubblico e prendiamo il contratto dei ministeri che da mesi vede contrapposte Aran (lo Stato quindi) e parti sociali. Sono le cosiddette Funzioni Centrali dello Stato che rappresentano circa 400.000 lavoratori. Poche ore fa è andato in scena l’ennesimo incontro a Roma, con l’ennesima fumata grigia. L’Aran su spinta del governo sta provando a chiudere destinando al personale in servizio nelle amministrazioni centrali un incremento della retribuzione pari al 5,78% (con una probabile integrazione dello 0,22% a decorrere dal 2025) che per certi versi rappresenta un incremento storico delle buste paga degli statali. Dall’altra parte c’è il muro, soprattutto della Cgil e della Uil, che evidenziano come si tratterebbe di una perdita di più di 10 punti percentuali del potere d’acquisto, visto che l’inflazione del periodo ha superato il 15%. Non si sta, infatti, parlando del rinnovo per il prossimo triennio, ma di quello 2021-2024, quando appunto l’inflazione era galoppante. A dire della Cisl, la proposta del governo è ragionevole, certo si può limare, ma è di tutta evidenza che per lo stato delle finanze pubbliche sia impossibile arrivare a recuperare tutto il 17% che reclamano Landini e compagni. Morale della favola, nelle more gli stipendi dei ministeriali restano congelati e le risorse già destinate in manovra al prossimo rinnovo sono bloccate. Alle volte basterebbe mettere da parte la politica e ritrovare il buon senso per avere dei salari un po’ più dignitosi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/crescita-salari-italia-2669543361.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mercedes-e-volvo-pronte-ai-tagli-audi-chiude-lelettrico-a-bruxelles" data-post-id="2669543361" data-published-at="1730297423" data-use-pagination="False"> Mercedes e Volvo pronte ai tagli. Audi chiude l’elettrico a Bruxelles Il caso Volkswagen, con l’annuncio della chiusura di tre stabilimenti e il taglio degli stipendi, è solo l’inizio. Il flop dell’auto elettrica, l’aumento dei costi e il calo delle vendite in Cina, mercato di sbocco importante per le case automobilistiche, sta mettendo a dura prova i bilanci dell’industria delle quattro ruote. Ieri la notizia che Audi chiuderà la sua fabbrica di e-car a Bruxelles, attiva nella produzione dei Suv Q8 e-tron, a febbraio 2025. La decisione sarebbe stata annunciata durante una riunione straordinaria del comitato aziendale. Il marchio tedesco, del gruppo Volkswagen, sarebbe in contatto con un potenziale investitore, attivo nei veicoli aziendali, che rileverebbe l'impianto belga travolto dalla crisi delle auto elettriche. Alcuni mesi fa Audi aveva annunciato l’intenzione di eliminare oltre 2.500 posti, minacciando di chiudere i battenti in Belgio a causa delle «difficili condizioni economiche». Anche altri gruppi sarebbero pronti a tagli pesanti per tappare i buchi nei bilanci. Mercedes-Benz venerdì scorso ha perso in Borsa oltre il 3% sulla scia della notizia che i margini operativi della divisione auto sono scesi al 4,7% nel terzo trimestre e che gli utili netti si sono più che dimezzati. Le vendite in Cina sono crollate del 17%, mentre quelle in Germania del 25%. Per capire la dipendenza dal Dragone, basta pensare che l’anno scorso il gruppo ha venduto circa un terzo delle sue auto oltre la Grande Muraglia. Porsche ha riportato un calo degli utili del 41%. Stessa situazione per Volvo Cars che ha dimezzato le sue previsioni di crescita delle vendite annuali dal 15% delle precedenti stime al 7-8% per il 2024. «Il mercato ha rallentato», ha detto il ceo Jim Rowan. Al momento Renault rimane l’unica casa automobilistica in Europa ad aver mantenuto gli obiettivi finanziari per l'intero anno. Da quando la Germania e altri Paesi europei hanno tagliato i sussidi all’elettrico, le vendite si sono sgonfiate. Solo l’ibrido vince. Nell’ultimo trimestre Mercedes-Benz ha registrato un calo del 31% su base annua i del full electric, mentre la domanda di ibridi plug-in è salita del 10%. Ma se in Europa si piange, negli Usa non mancano i problemi. Ford ha rivisto al ribasso le stime sugli utili 2024 a 10 miliardi contro una previsione di 12 miliardi, a causa, avverte l’azienda, dell’aumento dei costi e delle interruzioni nella catena di fornitura per i recenti uragani. Nel terzo trimestre l’utile è sceso del 26% influenzato dalla cancellazione del Suv elettrico che ha comportato un costo di 1 miliardo di dollari. Tra giugno e settembre Ford ha guadagnato 892 milioni contro 1,2 miliardi allo stesso periodo del 2023 e al di sotto delle stime degli analisti. Il gruppo ha individuato un divario di 7 miliardi nei costi rispetto ai suoi concorrenti e sebbene abbia tagliato già 2 miliardi quest’anno in spese per materiali, trasporto e manodopera, tali risparmi sono stati neutralizzati dai maggiori costi. Di qui la conferma di ulteriori tagli per 2 miliardi nel corso dell’anno anche per allinearsi con le altre Case che, hanno precisato i vertici dell’azienda, stanno riducendo i costi ad un ritmo più veloce. Intanto in Italia si scalda il dibattito sugli incentivi. Nella manovra economica è stata inserita una sforbiciata di 4,6 miliardi al fondo automotive, destinato all’adozione di misure a sostegno della riconversione della filiera, per la transizione green. Grande lo sconcerto delle associazioni Anfia e Unrae. Lo strumento è stato varato nel 2022 per rilanciare il comparto dell’auto grazie a una dotazione iniziale di 8,7 miliardi di euro, che quest’anno era stata già ridotta a circa 5,75 miliardi (750 milioni per il 2025 e un miliardo l’anno dal 2026 al 2030). Ora un taglio più pesante a vantaggio del comparto della difesa. Bisognerà vedere se saranno prese nel contempo misure di supporto al settore come compensazione anche se tutti i sussidi finora non hanno inciso nelle vendite se non nel periodo in cui erano attivi.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)