2024-02-06
Le imprese a conduzione familiare crescono più velocemente rispetto all’economia mondiale
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A dirlo è il report di EY che sottolinea come collettivamente le imprese familiari hanno generato ricavi, nel 2023, per 8 trilioni di dollari, facendo registrare un aumento del 10%, rispetto al 2021.Secondo il Fondo monetario internazionale nel 2023 la crescita dell’economia mondiale è stata del 3% e si prevede che sarà del 2,9% per quest’anno. Ciò significa che le imprese familiari sono cresciute molto di più rispetto alle economie avanzate.Le società che rientrano nell’indice esaminato da EY e l’università di San Gallo sono 500, impiegano 24,52 milioni di persone e sono distribuite in 47 diverse giurisdizioni. La loro forza è talmente rilevante che se fossero un’economia nazionale sarebbero la terza più grande potenza, dopo Usa e Cina. La geografia delle imprese familiariA livello geografico il paese che ha il maggior numero di imprese a conduzione familiare sono gli Usa con il 23,6%. A livello di ricavi si collocano sempre al primo posto con 2,72 trilioni di dollari nel solo 2023. Dati che non sorprendono se si pensa che sette delle più grandi imprese famigliari a livello globale si trovano proprio negli Usa. Al secondo posto troviamo l’Europa che ha da sempre una forte tradizione di imprese familiari. A guidare il Vecchio continente c’è la Germania con 78 aziende e ricavi pari a 1,13 trilioni di dollari. Numeri che le fanno guadagnare la seconda posizione a livello mondiale, dietro gli Usa. L’età media delle imprese tedesche è di circa 109 anni e ospita la più antica azienda europea dell’indice: la società scientifica e tecnologica Merck KGaA. Inoltre, il rivenditore al dettaglio Schwarz Group, è tra le prime 10 imprese familiari più grandi a livello globale. Ampliando lo sguardo EY sottolinea come la sola Europa contribuisce con 3.050 miliardi di dollari e, così facendo, supera per la prima volta la soglia dei 3.000 miliardi di dollari in termini di entrate combinate. Le uniche rappresentanti europee a rientrare nella Top10 sono la Germania e la Francia soprattutto in termini di fatturato complessivo. New entry assoluta, l’India. Per la prima volta è riuscita a rientrare tra le Top10 imprese familiari più grandi dell’indice. Questo grazie al conglomerato Reliance Industries, che è salito dal 12° al 10° posto. Inoltre, l’India è il quarto maggior contribuente all’Indice in termini di fatturato combinato delle sue società con 365 miliardi di dollari. Al terzo posto c’è la Francia con 503 miliardi. L’Italia e le sue realtà nazionaliL’Italia conta 20 imprese familiari di grandi dimensioni e come quantità a livello internazionale si potrebbe posizionare al 4° posto dopo la Francia. A livello di ricavi, siamo però nettamente indietro rispetto alle altre giurisdizioni dell’indice. Le nostre aziende migliori si collocano rispettivamente al 38° posto Exor Spa, al 120° Ferrero International SA, al 166° Edizione Srl, al 178° Gruppo Saras e al 182° Esselunga Spa. L’aspetto interessante è che nell’ultimo decennio, secondo l'Osservatorio Aub il numero delle aziende familiari con fatturato superiore a 50 milioni di euro è cresciuto di circa 350 unità (+8,1%). Resta inoltre l’evidenza che l’economia italiana è composta per la maggior parte da medie imprese. Le realtà familiari con un fatturato di 20 milioni di euro rappresentano il 65% del totale delle realtà italiane. Oltre al fatturato un’altra diversità delle nostre imprese a gestione familiare è la presenza di manager esterni alla famiglia. Il 66% delle società made in Italy ha tutto il management composto da componenti della famiglia, mentre in Francia questa realtà la si ritrova solo nel 26% delle aziende e nel Regno Unito solo nel 10%. Questo aspetto gioca a sfavore perché la difficoltà di fare entrare persone esterne alla famiglia (tendenzialmente con più competenze), può compromettere la crescita aziendale e l’integrità tra i vari passaggi generazionali. Non è infatti sempre detto che i figli vogliano subentrare al padre fondatore o che abbiamo le stesse capacità imprenditoriali. Questo rappresenta un ostacolo. In Francia e Germania si fa molta meno fatica a passare lo scettro del potere ad un manager esterno in caso di disinteresse o mancanza di capacità da parte degli eredi. E infine, un aspetto positivo: la longevità. Secondo Aidaf, tra le prime 100 aziende più antiche al mondo, 15 sono italiane e tra queste, 5 – Fonderie Pontificie Marinelli (anno di fondazione 1000), Barone Ricasoli (1141), Barovier & Toso (1295), Torrini (1369) e Marchesi Antinori (1385) – sono tra le dieci aziende familiari più antiche tuttora in esercizio.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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