2020-01-01
Cresce il conto per salvare Popolare di Bari
Il Fondo interbancario ha deliberato un impegno complessivo di 700 milioni, 310 subito disponibili. Il piano di intervento sale a 1,4 miliardi (da 900 milioni). Resta la tagliola dell'Ue: le condizioni di mercato richieste mettono a rischio i risparmiatori.La vicenda della crisi della Banca Popolare di Bari si arricchisce di un nuovo tassello. Ieri sera il Fondo interbancario (Fitd) ha deliberato un impegno complessivo di 700 milioni, di cui 310 da erogarsi subito, in conto sul futuro aumento di capitale. Il piano prevede un rafforzamento patrimoniale complessivo di 1,4 miliardi - quindi superiore ai 900 milioni/miliardo preventivati nei giorni scorsi - a cui concorrerà la Banca del Mezzogiorno - Mcc, con i fondi ricevuti dal governo. Si rimanda comunque la determinazione del fabbisogno patrimoniale definitivo ad una «approfondita valutazione degli attivi e passivi della Banca».Si tratta del primo concreto segnale, dopo il disorientamento dovuto alle dichiarazioni del premier Giuseppe Conte a margine del Consiglio Europeo del 13 dicembre («non c'è necessità di intervenire, in questo momento, su nessuna banca»), seguito poche ore dopo dal commissariamento della banca barese e la successiva magra figura della convocazione di un cdm terminato con un nulla di fatto, per l'opposizione dei renziani che avevano da togliersi più di un sassolino dalla scarpa. La successiva ammissione del 14 dicembre di un «comportamento omissivo… perché i mercati erano aperti», forse dimenticando che la banca non è quotata e che, pur di medie dimensioni, non è affatto di importanza sistemica, si commenta da sé. I mercati erano forse stati rassicurati dal decreto legge varato la sera di domenica 15? Poco probabile. La scelta di far arrivare, tramite l'agenzia Invitalia controllata dal Tesoro, alla Bdm - Mcc, 900 milioni (ora forse scesi a 700) è stata pomposamente presentata dal Conte, anche nella conferenza stampa di fine anno, come una operazione di sistema finalizzata alla creazione di gruppo bancario controllato dallo Stato con il ruolo di sostenere finanziariamente le imprese del Mezzogiorno, secondo «logiche, criteri e condizioni di mercato». La genericità degli obiettivi ed il richiamo ai criteri di mercato suscitano invece più dubbi che certezze.Non è chiaro cosa sia accaduto in quelle ore convulse di venerdì 13 dicembre, quando circolavano bozze su carta intestata di Bankitalia relative alle iniziative tattiche e strategiche per risollevare la banca e gli stessi amministratori dichiaravano ai propri manager che il piano era in corso di esecuzione con il pieno avallo della Vigilanza di Bankitalia e del governo. Salvo poi ritrovarsi commissariati appena 72 ore dopo. Ci ha pensato il Fitd il 18 dicembre, esprimendo soddisfazione per il nuovo quadro «normativo-istituzionale» della Banca (commissariamento e decreto legge) e solo «nel nuovo contesto venutosi a configurare» il Comitato di gestione ha espresso una valutazione favorevole per l'apporto deliberato ieri. Il Fitd ha ritenuto preferibile tale impegno all'eventuale rimborso dei depositanti inferiori a 100.000, per un importo pari a 4,5 miliardi. Tra le righe del linguaggio felpato dei banchieri è agevole leggere che la permanenza degli amministratori costituiva un ostacolo insuperabile per avviare il salvataggio della banca. La domanda su cos'altro aspettassero in via Nazionale a commissariare la banca appare legittima ed il governatore Ignazio Visco non ha dissipato i dubbi in una recente intervista.Ma anche dopo aver superato, con le esitazioni ed i dubbi di cui si è detto, il primo ostacolo, l'intervento del Fitd resta subordinato alla conoscenza del reale stato di salute della banca. Infatti, nonostante qualche dichiarazione avventata (Luigi Di Maio che il 22 dicembre parlava al Sole 24 Ore di «banca che non fallisce dal nulla»), la banca non è formalmente fallita. Al 30 giugno evidenziava mezzi propri per poco più di 400 milioni, crediti deteriorati lordi per circa 2 miliardi e netti per circa 1,2 miliardi, oltre a crediti in bonis per 6,7 miliardi. Ora, non ci vogliono raffinati algoritmi per comprendere che se i commissari applicassero ai crediti deteriorati della Bpb i criteri valutativi applicati nel 2015 in occasione della risoluzione delle 4 banche (17% circa del valore nominale), il capitale della banca sarebbe completamento eroso e risulterebbe probabilmente negativo.Ma vi è di più: le tante decantate condizioni di mercato imporrebbero anche una severa pulizia dei crediti in bonis, per evitare che future eventuali perdite intacchino l'investimento del Mcc che, per non incorrere negli strali della Commissione Ue, dovrà comportarsi come un investitore privato. E su questo punto è destinata probabilmente a saltare tutta la prosopopea del decreto legge del 16 dicembre.Delle due, l'una: o si fa una pulizia radicale, col rischio concreto di finire in uno scenario simile a quello delle banche venete, costringendo comunque il Fitd ad un apporto rilevante (da notare che in pochi giorni è lievitato da 300 a 700 milioni), o l'intervento del Mcc finirà sotto la tagliola di Bruxelles che vorrà condizionare l'intervento al preventivo sacrificio di azionisti, di fatto già diluiti, ed obbligazionisti subordinati, questi ultimi esposti per circa 290 milioni. Sono le condizioni di mercato volute dalla Ue, bellezza!