2020-07-04
Andrea Delogu si confessa. «Vi racconto i miei amori: regole, horror e arti marziali»
Andrea Delogu (Mauro Fagiani/NurPhoto via Getty Images)
L'attrice e conduttrice: «Nel lavoro sono molto ligia e lo sono stata anche nel lockdown. È il retaggio della scuola di arti marziali. Al cinema far ridere è abbastanza facile, far piangere è più difficile, ma far paura è davvero complicato. E adoro i film distopici».L'approdo su Rai 1, l'esordio al cinema e presto anche il debutto a teatro. Nata nella comunità di San Patrignano, dove i suoi genitori si sono conosciuti - esperienza già raccontata In La Collina (Fandango) - per Andrea Delogu, il 2020 sembra l'anno della svolta. In pochi mesi il suo profilo professionale si sta arricchendo di nuove prove e nuovi linguaggi, emancipandola dal ruolo di gradita presenza femminile dei programmi di Renzo Arbore e Marco Giusti. Sulla prima rete Rai è alla conduzione di La vita in diretta estate al fianco di Marcello Masi, l'8 ottobre arriverà nelle sale cinematografiche con una commedia intitolata Divorzio a Las Vegas e subito dopo la vedremo sul palco in Il giocattolaio a fianco del marito, Francesco Montanari (Romanzo criminale, I Medici). «Sì, tante cose, ma non sono in ansia. Perché prefissarsi un obiettivo esterno è il modo migliore per scottarsi e io non l'ho mai fatto», assicura. «Finora mi è andata bene. Mi interessa migliorare, allargare le mie conoscenze, imparare a controllare le emozioni».Perché si chiama Andrea, nome solitamente maschile?«In realtà, nel mondo è un nome femminile. Al liceo, mio padre era rimasto colpito da una ragazza spagnola che si chiamava così. Quando sono nata voleva per me un nome che non si poteva dimenticare. Non è stato facile portarlo finché è arrivato Beverly 92010. Tra le protagoniste di quel telefilm c'era Andrea Zuckerman e da allora è diventato un nome figo, non da maschio…».Cosa c'è scritto nel tatuaggio sulla spalla sinistra?«Dancing in the dark, titolo di una canzone di Bruce Springsteen di cui sono una grande fan. La scrittura è quella di mia madre che mi ha trasmesso questa predilezione».«Racconta storie più che fare canzoni. Ed è rimasto lo stesso degli inizi. Quando sei giù di corda nel suo repertorio trovi sempre un pezzo che non ti fa sentire sola. Siamo tutte gelose di Patti Scialfa».«Avrò avuto 17 anni. Essendo secondo dan posso anche insegnarlo. È una passione che mi ha trasmesso una certa educazione».Nello specifico?«Contiene una filosofia di vita che insegna a rispettare chi ne sa più di te. Per esempio, quando avevo undici anni ed ero cintura blu, c'era un bambino di otto che era già nera e io imparavo da lui».Ha dovuto superare anche la dislessia. «La dislessia non si supera perché è una caratteristica, non una malattia. Ho scoperto di averla da adulta e ho imparato delle tecniche per affrontare prove che a scuola mi avevano fatto penare molto».Confrontarsi con questa difficoltà forma il carattere?«Sì, perché ci sono obiettivi da raggiungere attraverso la forza di volontà e l'applicazione. Devi arrivare agli stessi risultati degli altri». Come ha scoperto di averla?«Su Internet, avevo vent'anni. Mi sono ritrovata in alcuni articoli che spiegano come legge un dislessico. Quando i test hanno confermato tutto, ho capito che certi impacci non erano colpa mia e ho fatto pace con me stessa».Da Stracult nella notte di Rai 2 con Marco Giusti che si rivolge alla community cinematografica al pomeriggio di Rai 1 il cambio di pubblico è radicale: vertigini?«In realtà, no. Da sei anni conduco Stracult e da cinque, con Silvia Boschero, siamo in onda su Radio 2 con un programma nel quale parliamo di tutto, di cronaca nera e rosa, facciamo interviste. Su Rai 1, certo, il contesto è di grande visibilità e con un bel vestito addosso, ma il pubblico generalista l'ho già frequentato».Dopo qualche puntata c'è chi ha osservato che nella Vita in diretta estate c'è troppa cronaca nera, qualcun altro che è un programma filogovernativo.«Mi sembra una critica azzardata. Al mattino prepariamo la scaletta in base alle notizie del giorno che possono essere un delitto, una truffa, gli esami di maturità, il ritorno sulle spiagge».L'altro giorno i bonus vacanze e babysitter, la legge sull'omofobia in Parlamento…«Abbiamo trattato i bonus dal punto di vista di chi deve usufruirne, spiegando come accedere all'offerta. Siamo un programma di servizio». Come si è avvicinata alla televisione?«Fin da ragazza, più che andare in televisione volevo fare la conduttrice, a prescindere da dove e come. Volevo fare aiutare gli altri a esprimersi, intrattenere, fare compagnia alle persone. Sono sempre stata chiacchierina».Quando ha capito che era la strada giusta?«Una sera, quando avevo 14 anni, Cristina D'Avena doveva esibirsi a Rimini, la mia città. Ma era in ritardo e qualcuno doveva avvertire il pubblico. Io ero nel backstage e sono salita sul palco con il microfono, dicendo alla gente di avere pazienza, che Cristina sarebbe arrivata e si sarebbe fatto festa. Sentivo la mia voce uscire dalle casse, il pubblico mi ha dato ascolto: “Cavoli! Voglio fare questo lavoro"». Chi sono stati i suoi maestri?«Renzo Arbore, prima di tutti, che seguivo anche prima che mi chiamasse, così come seguivo Stracult anche prima di condurlo. Mi piace il mix di intrattenimento e cultura… Da spettatrice ho imparato molto anche da Corrado quando faceva La Corrida: non rideva mai del concorrente, ma con il concorrente».Che film è Divorzio a Las Vegas con cui esordirà al cinema?«Abbiamo girato a dicembre a Las Vegas e a gennaio a Roma. È una commedia romantica nella quale sto per divorziare da Giampaolo Morelli. Per farlo scappo a Las Vegas, ma… Nel cast ci sono anche Ricky Memphis, Gianmarco Tognazzi e Grazia Schiavo».I suoi gusti cinematografici? «Mi affascina l'horror. In questo genere, noi italiani eravamo i primi nel mondo. Poi, a parte poche eccezioni, l'abbiamo accantonato».Cosa le piace dell'horror?«La difficoltà della riuscita del film. Al cinema far ridere è abbastanza facile, far piangere è più difficile, ma far paura è davvero complicato. Dell'horror mi piace il fatto che ci sia la possibilità che qualcosa del genere diventi reale. Mi piacciono i film che lasciano qualcosa una volta usciti dalla sala».Lascia la paura?«L'idea che quella cosa possa accadere. Mi piacciono molto anche i film distopici».Nei mesi scorsi abbiamo vissuto sia la paura che le situazioni distopiche. Come ha trascorso l'emergenza sanitaria?«Mentre accadeva ho cercato di raccontarmi che tutto andava bene. Con Silvia Boschero abbiamo sempre mantenuto la diretta radiofonica dallo studio. Quando finalmente si è cominciato a uscire tutti, ho capito che mi è pesato molto, che l'avevo sofferto: un po' come risvegliarsi da un torpore che serviva a non vedere».Era una talebana delle regole o un po' lassista?«Non sono medico né virologa. Se ci dicono di far così perché il virus è pericoloso, facciamolo. Era il momento sbagliato per i dispensatori di verità».Se ne sono visti e letti parecchi…«Già».Dopo il cinema esordirà anche a teatro in Il giocattolaio: timori?«Prima del Covid avevamo già fatto cinque date. Stiamo cercando di capire come e quando potremo ripartire».Com'è recitare a fianco del marito?«Molto divertente perché lo vedo sotto un'altra veste, quella dell'insegnante, del grande attore. Non approfitto del fatto che mi ama. Anche qui sto alle regole».È molto ligia.«È la scuola delle arti marziali».Come conduttrice televisiva vorrebbe prendere qualcosa da Lilli Gruber, da Barbara Palombelli, da Daria Bignardi o da Mara Venier?«Le guardo tutte, ma più che dal video ho imparato e imparo quando mi ospitano o vado in studio. Voglio dire che imparo più da come lavorano che da come appaiono. Di Antonella Clerici mi ha colpito la serenità con cui accoglie e prepara le persone. Di Mara Venier il modo di gestire il tempo per riuscire a dire tutto. Di Lilli Gruber e Daria Bignardi la preparazione sugli argomenti che trattano con gli intervistati».Quando si siede sul divano quali tasti preme per primi sul telecomando?«Faccio zapping compulsivo. Parto da Rai 1 e vado avanti. La controprogrammazione trasforma i palinsesti delle reti in una partita a scacchi collettiva che guardo da spettatrice curiosa». Ha preferenza per un genere?«Guardo tutto, anche le tv estere. Amando quello che faccio, la mia vita da telespettatrice è un po' noiosa perché quello che guardo lo guardo con un altro occhio».La serie tv più amata negli ultimi anni?«Il cacciatore, nella quale recita Francesco. L'ho vissuta momento per momento, anche quando ha vinto la Palma d'oro a Cannes come miglior attore protagonista in una serie tv».In un'isola deserta con tre libri e tre dischi.«Cent'anni di solitudine, il primo libro regalato da mia madre. Da ragazza, pur di finirlo, prendevo appunti con i post-it che attaccavo in camera. Poi Per il mio bene, nel quale la mia amica Ema Stokholma racconta la sua esperienza di violenza subita e di paura. Infine, Hex, la maledizione, un thriller di Thomad Olde Heuvet di cui aspettavo il seguito che, invece, in Italia non è stato tradotto».I dischi?«Uno qualsiasi di Springsteen. Uno di Fabrizio De André perché me l'ha fatto conoscere mia sorella. E il terzo, un mix della nuova generazione, tra hip hop e trap».Che rapporto ha con la politica?«Semplice. Cerco di capire dove va il mio Paese per essere pronta quando c'è da votare».Un politico che apprezza, anche del passato?«Sergio Mattarella mi sembra un uomo di grande intelligenza e pazienza».Invece la religione che cos'è per lei?«Una parte della mia famiglia è molto religiosa un'altra parte è… più indipendente. Io sto in mezzo: credo ci sia qualcosa, ma non vado tutte le domeniche a messa. Diciamo che sto a sentire e imparo molto».Da chi?«Dal mondo e dalle cose che succedono. Ci sono persone di Chiesa illuminate e altre no. Anche il prete è un uomo e la vocazione è un dono. La differenza la fa l'inclinazione verso il prossimo».Qual è la prima azione che fa al mattino appena alzata?«Guardo il cellulare se qualcuno mi ha chiamato».