2021-03-05
Il «credito» per Tercas va speso sul tavolo del Patto di stabilità
Il crac del 2015 ha travolto pure il Pil. A Daniele Franco il compito di ottenere risarcimenti. Ma meglio dei soldi sarebbero regole Ue a nostro favore.Il segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni: «Sulla Cassa di Teramo, e a seguire sulle Popolari, alleanza europea anti Italia. Abbiamo il golden power, ma non lo usiamo: è una presa in giro. Così siamo stati preda dei fondi stranieri».Lo speciale contiene due articoli.La sentenza della Corte Ue sul caso Tercas è storica. Non tanto e non solo perché permette di ricostruire gli errori commessi dal commissario Margrethe Vestager, ma perché svela l'insistenza con cui sono stati perpetrati. L'intervento a favore della banca di Teramo nel 2015 era legittimo e non si trattava di aiuti di Stato. Per avere il ristoro di quel torto si è dovuto attendere un secondo giro perché nel 2019 la medesima Commissaria impugnò il ricorso dell'Italia. La Vestager è ancora al suo posto. Noi invece abbiamo un governo nuovo. Il quale ha davanti a sé due strade che possono essere persino convergenti.La prima è quella dell'azione legale. Il ricorso del 2019 è stato maneggiato dal Fondo interbancario, dalla Repubblica italiana e da Bankitalia. Spetta tecnicamente alle tre entità chiedere i danni. La figura che assomma politicamente tutti i ricorrenti è il nuovo ministro dell'Economia, Daniele Franco. Rappresenta la Repubblica e praticamente è di casa a Bankitalia, da cui proviene dopo essere stato a capo della Ragioneria. Il Fondo interbancario viene di conseguenza. Spetterà a lui chiedere i danni. Quanti soldi? Come calcolarli? Una lunga lista di incognite praticamente che si aggiunge a una difficoltà intrinseca. Rimettere il dentifricio nel tubetto è quasi una magia e in ogni caso un po' di danni sparsi resteranno sempre visibili. Ieri il numero uno dell'Abi, Antonio Patuelli, è tornato sul tema. L'impugnazione «ripaga in termini morali i danni che ha sofferto l'Italia tutta e in particolare i lavoratori, i risparmiatori e gli azionisti innanzitutto delle banche concorrenti che hanno dovuto pagare molto di più», ha spiegato, «i salvataggi di quella banca e delle altre quattro mandate in risoluzione nel novembre 2015. Nei bilanci bancari del 2020 ci sono ancora cospicui oneri relativi a quei salvataggi fatti nella maniera più costosa», ha concluso il presidente dell'Abi, il quale ha infine tenuto a spiegare che dall'insediamento della nuova Commissione a fine 2019 c'è «un'aria nuova» rispetto alla Commissione precedente, che aveva appoggiato le decisioni dell'Antitrust Ue, compreso il ricorso sul caso Tercas. Non sappiamo se veramente sia cambiato il clima. Sarebbe il caso di scoprirlo. E qui si profila la seconda strada che il Mef guidato da Franco potrebbe intraprendere. Avviata la richiesta danni o anche solo paventata, si apre la possibilità di sventolare un credito da spendere nel futuro immediato. L'intervento del vice presidente della Commissione Valdis Dombrovskis va valutato con attenzione. «Durante la revisione delle regole del Patto di stabilità vogliamo allontanarci dai parametri di aggiustamento strutturale e output gap, perché sono variabili volatili, difficili da stimare, guardano all'indietro invece che avanti», ha detto ieri in conferenza stampa. Per Dombrovskis bisogna in pratica andare verso variabili «ancorate alla spesa», o al «debito buono». E non esclude una golden rule limitata. «Nella trasformazione delle nostre economie ci potrebbe essere margine per discutere se ci possa essere una “clausola verde" per gli investimenti in regola con il green deal». Adesso la sfida di Franco e di Mario Draghi, ovviamente, sta proprio nel rendere la solita fuffa green una vera leva negoziale con l'Ue. Tutti gli investimenti del Recovery in ambito ambientale potranno essere gestiti all'interno di un Patto di stabilità che non zavorri ancor di più il debito italiano. È una mossa da cui dipende la sopravvivenza del Paese. Quando ripartiranno le regole Ue, ripartirà anche l'inflazione. Le due cose assieme rischiano di essere un cappio attorno al collo del Paese. Con la devastazione inflitta dal divieto di salvataggio di Tercas e quindi il mancato intervento pubblico sulle quattro banche abbiamo un enorme credito da giocarci. Non perché è saltata per aria banca Etruria con le altre tre popolari, ma perché la gestione di quel bail in ha creato un metro di paragone sulle sofferenze bancarie così basso da distruggere nei tre anni successivi almeno 100 miliarid di Pil. Svendere gli Npl (non performing loans) al 17% del valore originario ha significato livellare verso il basso la ricchezza italiana. E non ci riferiamo alle colpe degli amministratori delle banche fallite. Ma agli effetti sul sistema Italia. Dietro alcuni Npl ci sono casi di furbizia e casi giudiziari. Ma dietro la quasi totalità degli Npl ci sono famiglie, aziende, capannoni, case. Ricchezza insomma che nessuna causa potrà mai ristornare. Ecco perché, in vista anche del perfezionamento dell'Unione bancaria, vale la pena usare questa leva per il futuro. Vedremo così se ha ragione Patuelli e l'aria è cambiata. La Vestager è ancora al suo posto. È sempre commissario alla Concorrenza. A lei spetterà la grana Alitalia e oggi per di più è atteso un vertice che potrebbe essere decisivo. Sempre lei valuterà gli interventi pubblici sull'ex Ilva. Purtroppo una lunga serie di fascicoli che si è accumulata nei cassetti del governo di Giuseppe Conte. Senza dimenticare che il 2021 sarà l'anno del risiko bancario e della privatizzazione di Mps. Un'altra partita così ampia nella quale far pesare il credito originato dagli errori su Tercas. E chi meglio di Draghi potrà gestire le mosse politiche e inserire il risiko tricolore all'interno del processo dell'Unione bancaria? La domanda è retorica e la riposta vera sarà il combinato disposto di quanto l'Italia saprà trattare con la Germania da player che cerca anche di federare i Paesi del Mediterraneo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/credito-tercas-speso-patto-stabilita-2650904261.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="oltre-alle-colpe-della-commissione-fatali-gli-errori-della-nostra-politica" data-post-id="2650904261" data-published-at="1614897724" data-use-pagination="False"> «Oltre alle colpe della Commissione fatali gli errori della nostra politica» Lando Maria Sileoni (Ansa) La recente sentenza su Tercas, secondo cui non vi furono aiuti di Stato per il suo salvataggio, è la prova che a lungo il sistema bancario italiano è stato lasciato solo e preda di gruppi stranieri. A parlare con La Verità è Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi. Cosa vi aspettate come sindacato dopo la recente sentenza su Banca Tercas? «Dal punto di vista politico non c'è più molto da fare. Il danno oramai è stato fatto nel caso di Tercas e non solo. A pagarne le conseguenze sono state le economie dei vari territori come, del resto, pure CariChieti, CariFerrara, Banca Etruria, Banca Marche. Va aggiunto, poi, che la questione Tercas ha anche prodotto delle conseguenze sulla gestione della crisi di queste quattro banche, sia per le famiglie sia per i lavoratori della zona. Segnalo, infatti, che le grandi banche coinvolte nell'acquisizione di queste banche territoriali in crisi hanno poi presentato il conto al sindacato attraverso dei piani industriali che hanno comportato la perdita di molti posti di lavoro. Abbiamo evitato licenziamenti soltanto perché avremmo bloccato il settore. È stata una sentenza che, dal mio punto di vista, doveva essere contrastata preventivamente anche a livello politico dal governo italiano. Noi abbiamo assistito allo scempio messo in atto a livello europeo da Margrethe Vestager, Martin Schultz, presidente del Parlamento europeo, e dall'allora responsabile della Commissione europea, e Jean-Claude Juncker. È come se si fosse creata un'alleanza anti Italia per permettere ai grandi gruppi europei di venire a rilevare le nostre banche territoriali che scontano il problema di essere state gestite malissimo. Noi ci stiamo muovendo per fare emergere i colpevoli e siamo oltremodo fiduciosi nella magistratura». Chi sono i responsabili? «Tutti quelli che hanno portato queste banche al fallimento. La sentenza Tercas è arrivata infatti dopo le pessime gestioni di certi signorotti locali che hanno fatto il loro interesse e non quello della banca. È chiaro che l'intervento del Fondo interbancario dei depositi non poteva essere considerato aiuto di Stato, dato che si tratta di un ente costituito da banche private che mettono la loro quota parte. Le istituzioni non sono state in grado di contrastare politicamente e tecnicamente il fatto che certe banche fossero gestite in modo scellerato. Un altro aspetto: la norma del golden power è datata 2012, ma non è stata mai attivata a protezione del settore. La legge noi ce l'abbiamo, ma se non viene applicata è una presa in giro. Per questo dico che la politica italiana e quella europea sono state molto carenti su questo tema». Secondo lei nel caso di Tercas c'è stato un disegno ben preciso? «No, semplicemente non è stato fatto nulla in modo da permettere a banche e fondi internazionali di ambire al mercato italiano e avere comunque campo libero di azione. È vero che quelle banche sono state gestite malissimo, ma è anche vero che vanno tutelate le economie dei territori, quindi le famiglie e le piccole e medie imprese. Una presenza autorevole a livello politico che avesse difeso il settore bancario italiano avrebbe impedito alla Commissione europea di prendere, con troppa facilità, quella decisione. Certo è che questa sentenza per la Vestager fungerà anche da monito per il futuro. Alla fine, tutti gli istituti in crisi sono confluiti in grandi gruppi bancari e noi come sindacato ci siamo dovuti interfacciare con questi sul tema dei posti di lavoro. I partiti poi spesso rinunciano a difendere il settore bancario perché è purtroppo passata l'idea che chi prende una posizione a favore delle banche rischia di perdere consenso elettorale. Anche questo è un atteggiamento che non si può tollerare». Quale sarà l'impatto futuro sul mondo bancario? «Il governo deve porsi ora il problema di come utilizzare il golden power. Deve prendere il coraggio di usare questa norma. Su Mps sarà fondamentale. Non possiamo permetterci di mettere Mps in condizioni di essere preda dei gruppi internazionali né tantomeno di far fallire una banca con 20.000 dipendenti e 550 anni di storia. La differenza è che i gruppi stranieri non hanno vincoli politici con il territorio, mentre un gruppo italiano ha l'esigenza e l'interesse di favorire lo sviluppo delle economie locali. Per capire se nel futuro del Monte dei Paschi ci sarà ancora emorragia di posti di lavoro dovremo vedere chi se la comprerà. Se interviene Unicredit, magari con un aiuto da parte dello Stato, ci aspettiamo che il nuovo ad Andrea Orcel attui un recupero dei territori lasciati scoperti dalla gestione Jean Pierre Mustier. Aggiungo che, a parole, la politica chiede tutele per Mps, ma poi in camera caritatis esita. Servono, invece, delle prese di posizione concrete. I vertici della politica toscana devono prendere decisioni e iniziative, lasciando da parte la solita propaganda che non porta a nulla». All'estero secondo lei il settore bancario è più protetto che da noi? «Basti pensare che i posti di comando che decidono le sorti del mondo bancario sono tutti in mano a personaggi stranieri. L'unica eccellenza è Fabio Panetta, ex dg della Banca d'Italia che oggi siede nel board della Bce».
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