2024-07-24
Così in 10 anni Big pharma ha creato il dogma vaccino
Nella pandemia di «suina» del 2009, i giornali parlavano dei rischi della profilassi e incalzavano l’Oms sui conflitti di interessi. Argomenti diventati tabù con il Covid.Correva l’anno 2009. Barack Obama si insediava alla Casa Bianca per il suo primo mandato presidenziale. L’Italia, governata dall’esecutivo di centrodestra Berlusconi quater, si svegliava nel cuore della notte del 6 aprile per le scosse del terremoto che devastò l’Aquila. Il mondo inaugurava la prima lotta pandemica del XXI secolo e, diversamente da quanto è successo di recente con il Covid-19, la stampa italiana aveva un atteggiamento più che tollerante nei confronti di chi preferiva astenersi dalle vaccinazioni.Il virus H1N1 è una variante del più comune virus dell’influenza A, che combina segmenti genetici di virus influenzali suini - da cui il nome gergale «influenza suina» -, aviari e umani. Sorto nell’area di Veracruz, città del Golfo del Messico, a circa 300 chilometri a Est dalla Capitale, l’H1N1 si era diffuso rapidamente, prima nelle Americhe e successivamente in Europa, costringendo l’Oms a dichiarare lo stato di massima allerta pandemica, in giugno. La trasmissione avveniva attraverso le vie respiratorie e la sintomatologia differiva di poco, se non nulla, da quella dell’influenza stagionale, con febbre, tosse, mal di gola, dolori muscolari, emicrania, brividi e affaticamento. Talvolta, poteva portare a complicazioni come la polmonite, specialmente nei gruppi vulnerabili: anziani, individui immunodepressi e persone con condizioni cliniche preesistenti. I governi e le organizzazioni sanitarie di tutto il mondo adottarono misure per contenere la diffusione del virus che includevano campagne di vaccinazione e prescrizioni igieniche.Com’è noto, vaccini e campagne vaccinali sono da sempre argomenti di per sé divisivi: chi non crede nell’efficacia totale del siero; chi ne teme, anzi, gravi controindicazioni; chi, ancora, vi si consegna con incondizionata fiducia. Al di là del Covid, il fronteggiarsi di opposte visioni sul tema rimonta alle origini medesime della scoperta scientifica; e, senza sottoporre il lettore allo strazio cronologico della disputa «vaccino sì - vaccino no», sia sufficiente pensare che le posizioni sono molteplici. Del resto, nel lontano autunno 2009 - solo 15 anni fa - i maggiori giornali italiani avevano la premura di allertare la popolazione sugli sviluppi e i rischi di una malattia che andava diffondendosi, con analisi e interviste a medici e specialisti; ma avevano anche sì cura di sollevare le giuste domande e dare voce a quelli che, allora come oggi, un dubbio sul vaccino se lo ponevano. E chi era restio era semplicemente «restio» e non entrava nella pericolosa categoria dei no vax, neologismo anglofono entrato nell’uso comune durante l’epidemia americana di morbillo del 2014-2015, e inflazionato con il recente e illustre Covid-19.Il 27 ottobre 2009, a pagina 7, La Stampa titolava: «I mille dubbi del vaccino. Parte l’immunizzazione di massa, ma pochi medici partecipano. E, nel clima di incertezza, le famiglie non sanno scegliere». L’articolo è un lungo reportage, con cronaca e interviste sulla mole di dati, spesso contraddittori, legati all’influenza A. «Quanta paura e quanti interrogativi attorno al vaccino contro l’influenza A», si legge. «Proprio nei giorni in cui, in tutta Italia, aumentano i casi nelle scuole, la percentuale di medici che ha scelto di essere vaccinata è bassissima. [...] Scelta che tanti vedono come un suggerimento implicito alla prudenza, se non addirittura un allarme: «Meglio non fidarsi, è stato realizzato troppo in fretta». Il pezzo continua poi con un intervento del dottor Domenico Crisarà, un medico che allora aveva oltre 1.000 mutuati, 350 dei quali ultrasessantacinquenni. «Con i miei assistiti ho un rapporto di fiducia e non mi sentirei di consigliare nulla di non abbastanza sperimentato», aveva dichiarato al quotidiano, sul quale si legge ancora: «Spaventano i possibili rischi collaterali, certo non aiuta la richiesta di firmare il consenso informato: «Pratica insolita», commenta Crisarà».Il 2 novembre lo stesso giornale torinese, che sul tema pandemico aveva investito molta attenzione, a pagina 6 stampava due interviste a eminenti personalità della sfera medica, il cardiologo Antonio Spagnolo, direttore dell’Istituto di bioetica dell’università Cattolica, e Giuseppe Del Barone, presidente del Sindacato medici italiani, i quali, interrogati sull’opportunità di chiudere le scuole a scopo preventivo, respingevano con fermezza l’idea, etichettata come «inutile allarmismo» e «catastrofismo». Così affermava infatti il professor Spagnolo: «Chiudere le scuole diffonde il panico ed è un modo sbagliato di reagire alla sensazione di pericolo dell’opinione pubblica. Negli anni scorsi per l’influenza stagionale non veniva dato l’allarme e, malgrado fosse un dovere, i medici non segnalavano i casi alle autorità sanitarie [...]. Adesso vengono segnalati tutti i casi, anche non di influenza A. Le indicazioni contro le malattie diffusive restano le stesse». A queste dichiarazioni faceva eco la voce del professor Del Barone, che aggiungeva le considerazioni sul vaccino: «Innanzitutto bisogna sapere che il vaccino non offre protezione nei 15 giorni immediatamente successivi. E, poi, devo constatare che anche fra i miei colleghi sono tanti quelli che si mostrano scettici nei confronti del vaccino, e quindi tendono a non farlo. [...] C’è stata un po’ di fretta, non è stato testato in tutti i suoi passaggi. Si temono reazioni non controllate, con allergie o intolleranze».Ancora La Stampa, l’11 novembre mostrava a pagina 19 un servizio che indagava i retroscena del pregiudizio contro la scienza. «Vaccino sì o no? Italia divisa». In calce al pezzo, un sondaggio molto degno di interesse sull’opinione che gli italiani avevano sul vaccino contro l’influenza A: «Solo uno su due si dice favorevole», titolava il grafico. E tra gli scettici l’opinione maggiore era che il vaccino non fosse ancora stato testato a sufficienza. I mesi passavano, la malattia si diffondeva, qualcuno moriva (come segnalava La Stampa il 3 novembre 2009 a pagina 2: «Normale ci siano vittime». Circa 400.000 persone nel mondo a fine pandemia), e con il virus crescevano anche i dubbi legati al vaccino e alla narrativa ad esso legata. Tant’è vero che sempre La Stampa, il 7 giugno 2010, un anno dopo che l’Oms aveva dichiarato lo stato di massima allerta pandemica, rilanciava lo scoop pubblicato su Le Monde: «La grande truffa della “suina”. Il British medical journal: l’Oms ha gonfiato i rischi dell’influenza A per favorire l’industria» (pagina 19). Troppa fretta, scarsa trasparenza, conflitto di interessi. Esperti delle commissioni per la valutazione del pericolo erano a libro paga delle grandi case farmaceutiche e secondo il Consiglio d’Europa il livello di pandemia era stato dichiarato con tempi sospetti.A quello del Bmj hanno fatto seguito altri studi. Il 12 novembre 2013 La Repubblica seguiva le orme di chi aveva denunciato gli allarmi pompati dell’influenza A per favorire le industrie e sulla testata compariva il titolo «Influenza: esperti legati a industria farmaci più propensi a parlare di rischi pandemia. Una ricerca pubblicata online sul Journal of epidemiology and community health ha analizzato gli articoli sulla stampa legati alla pandemia di influenza suina H1N1 del 2009 e le dichiarazioni del conflitto di interessi degli scienziati».Pare proprio che quelli che oggi passano per antivaccinisti pericolosi ed eretici - tra cui anche dei medici - avessero ragione a sospettare anomalie nella velocità di sviluppo del vaccino e in possibili conflitti di interesse legati alle case farmaceutiche.
Ecco #DimmiLaVerità del 7 novembre 2025. Il deputato di Fdi Giovanni Maiorano illustra una proposta di legge a tutela delle forze dell'ordine.
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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Francesco Zambon (Getty Images)