
Deutsche Bahn, colosso ferroviario di Berlino, tramite una controllata tricolore gestisce varie aziende di Tpl al Nord e al Centro. Intanto la francese Ratp conquista la Toscana con l'aiuto del governatore di sinistra, Enrico Rossi.«Cus'è che l'è 'sta roba chì?». I pendolari brianzoli della gloriosa Monza-Cantù aguzzano lo sguardo. Guardano smarriti il passeggero accanto. Gli danno di gomito. Sopra la testa del conducente è apparsa una scritta rossa: Wagen hält. Cosa diavolo vorrà dire? Facile. I tedeschi si sono pappati pure la loro quotidiana corsa in corriera: quella che dalla città di Teodolinda, una fermata dopo l'altra, arriva alla patria del mobile. Bus teutonico. Come l'indicazione che lampeggia sul pannello. A uso degli ignari lombardi, significa: fermata prenotata. Adesso provate a rovesciare i fatti. Un avviso, nella lingua di Dante, su una vettura del Baden-Württemberg… Quale insolenza! Bleah. Raus. Nelle nostre lande, invece, nessuna sorpresa. A furia di vendere pezzetti d'Italia, è capitato pure questo. L'arcano è semplice. La Monza-Cantù è una tratta dell'Asf, florida azienda comasca di trasporti. Appartiene ad Arriva Italia. Che, a dispetto del nome tricolore, è a sua volta in mano a Deutsche Bahn: nientemeno che le ferrovie tedesche. Un colosso da 43 miliardi di fatturato, completamente controllato dalla Repubblica federale. Ossia: da Frau Angela Merkel. Insomma, come in una matrioska, si parte da una corriera brianzola e s'arriva all'austera cancelliera. In mezzo, c'è la progressiva vendita di italianità. Perfino nel trasporto locale: un business da otto miliardi l'anno. E con esigui rischi d'impresa, dato che gode di quasi cinque miliardi di finanziamenti pubblici. Ma l'Unione europea ha deciso: bisogna liberalizzare, e pure in fretta. E in Italia il settore è frammentato in innumerevoli realtà territoriali, spesso detenute da agonici enti locali. Capirete che, per ciclopici gruppi come Deutsche Bahn, si tratta di prelibati bocconcini. Così adesso, da Courmayeur a Castel Romano, ben 14 società di tram e autobus sono in mano ai nostri cugini prossimi: i tedeschi e gli arcistatalisti francesi. Solo Arriva Italia controlla, o ha sostanziose quote, di nove aziende. Ormai copre quasi tutto il Nord della penisola. Oltre all'Asf di Como c'è, ad esempio, il gruppo Sab, che gestisce il trasporto pubblico extraurbano in provincia di Bergamo e Lecco. La Sia di Brescia. La Sadem di Torino. La friulana Saf. La giuliana Trieste trasporti. E le ultime acquisizioni: la Km, a Cremona, e la valdostana Savda. Così adesso la controllata di Deutsche Bahn ha 3.500 dipendenti, 2.500 mezzi, 360 milioni di fatturato e un granitico intendimento: continuare a piantare bandierine nel resto della Penisola.Lo stesso, arrembante, proposito di Ratp. L'acronimo sta per Régie autonome des transports parisiens. È un gruppo pubblico che gestisce metro, bus e tram nella capitale transalpina e nell'Île-de-France. Ratp ha appena vinto, in mezzo a una gragnola di polemiche, una gara da 4 miliardi di euro della Regione Toscana. La più cospicua mai bandita in Europa nel trasporto su gomma. Massimo smacco per il gruppo Fs, la nostra azienda di Stato, capofila delle imprese rivali. L'appalto, obbligatorio per le norme europee, viene pubblicato nel 2014. Due anni dopo è assegnato ad Autolinee toscane, controllata appunto da Ratp. Nel 2016 il Tar però annulla tutto, accogliendo il ricorso di Mobit, società veicolo delle Ferrovie. L'ultimo atto di questa guerra di carte bollate è previsto a ottobre 2019, quando deciderà il Consiglio di Stato. Il quesito giuridico è: chi opera senza concorrenza nella sua nazione può partecipare a gare estese urbi et orbi? Nel frattempo, però, la Corte di giustizia europea ha già sancito: l'aggiudicazione è regolare. E l'attesa sentenza del Consiglio di Stato? Si vedrà. A quel punto entra in gioco Enrico Rossi: governatore toscano e fondatore di Articolo uno, partitino nato dalla scissione a sinistra del Pd. Anticipando il verdetto definitivo, il 3 maggio 2019 Rossi decreta: basta cincischiare, i nostri bus vadano ai francesi. Ma la decisione resta sul gozzo a tutti. Perfino agli alleati. Eugenio Giani, che presiede il consiglio regionale, parte alla carica: «Avevamo approvato tutti un atto d'indirizzo, chiedendo con trasparenza di attendere l'esito della sentenza» bacchetta. «L'affidamento vanifica tutto: non corrisponde alla volontà dell'assemblea legislativa. E neppure a profili di opportunità». Segue adirata replica dell'interessato: «Queste sono indebite pressioni!».Il governatore, del resto, s'è già portato avanti. Con un solenne bilaterale ha già ratificato la fratellanza imprenditoriale con i transalpini. Data del pomposo incontro: 4 maggio 2019. Guarda un po': proprio il giorno dopo l'assegnazione della gara. A Firenze, per l'occasione, giunge perfino il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian. «Il rapporto che ci lega alla Francia è saldissimo» esordisce un raggiante Rossi. «La nostra amicizia è a prova di qualunque cosa». Il ministro conferma entusiasta: «L'interesse è di associare in maniera sempre più stretta competenze e risorse. C'è da guadagnare se si lavora mano nella mano». Ah, certo. Soprattutto sulle sponde d'oltralpe. Mentre Parigi alza insuperabili valichi contro gli invasori stranieri.L'appaltone toscano, ovviamente, è stato maldigerito pure dall'opposizione. Giovanni Donzelli, deputato di Fratelli d'Italia, cannoneggia: «Una scelta incomprensibile. Che conferma, qualora ce ne fosse ancora bisogno, l'allergia alla tutela dell'interesse italiano degli amministratori di sinistra. La Francia fa blocco, imponendo regole che impediscono alle imprese straniere di partecipare alle gare. Noi invece abbiamo Rossi, che addirittura forza la mano. Per dare via libera agli stranieri». Donzelli, assieme al collega Carlo Fidanza, ha presentato un'interrogazione parlamentare alla Camera. Gli onorevoli sottolineano che: «Ratp, in quanto pubblica e francese, non paga imposte e non è soggetta a iva». Dunque: violerebbe le norme sulla concorrenza. E poi l'azienda, biasima l'interrogazione, ha fino al 2024 il monopolio dei trasporti nell'Île-de-France. Mentre l'Ue, dal 2019, impone di indire appalti nei servizi pubblici. Peccato che nella stessa macroarea parigina, sostengono i due deputati, le imprese italiane vengano bandite dalle gare nel settore. In Toscana, al contrario, per Ratp le cose vanno a gonfie vele. Ha già partecipato alla costruzione in project financing della tramvia di Firenze. Opera costata 390 milioni di euro: 286 di fondi pubblici, 104 a carico di privati. Adesso le tratte sono in mano a una controllata del gruppo parigino: Gest. Fortunato schema che ora Ratp vorrebbe riproporre per il tram di Bolzano: costerebbe circa 250 milioni, la metà a carico di stato ed enti locali. E lassù sì che il teutonico avviso apparso sulla Como-Cantù sarebbe appropriato. Nel capoluogo dell'Alto Adige si parla anche il tedesco. Lo scorno sarebbe certamente attutito.Invece, nell'orgogliosa Brianza, la fermata prenotata alla berlinese è dura da digerire. Quella scritta suona come un presagio: colonizzazione in corso. A meno che non vogliate pensare all'ennesimo avvertimento dei custodi europei. Un rimedio contro gli indisciplinati passeggeri lombardi. Vuoi mettere? Chi si scompone per le nostre docili indicazioni? Molto più perentorio, il teutonico Wagen hält. Allora sì: i giovinastri si scostano, le vecchiette accelerano, i pendolari scattano. Viva la Germania. Solo un suggerimento. A questo punto, meglio aggiungere sulle corriere pure la severa effige della cancelliera. Potrebbe continuare a vigilare sui renitenti sudditi italiani.
Christine Lagarde (Ansa)
I tassi restano fermi. Forse se ne parlerà a dicembre. Occhi sulla Francia: «Pronti a intervenire per calmare i mercati».
Peter Mandelson, amico di Jeffrey Epstein, e Keir Starmer (Getty)
Il primo ministro: «Rimosso per rispetto delle vittime». Pochi giorni fa lo difendeva.
Il problema non sono i conti pubblici, ma il deficit della bilancia commerciale. Dovuto a una moneta troppo forte, che ha permesso acquisti all’estero illimitati. Ora per tornare competitivi serve rigore, ma senza poter smorzare le tensioni sociali con la svalutazione.