2025-03-08
Il sospetto: dietro la corsa al riarmo un piano per salvare l’auto di Berlino
Il Consiglio europeo su Kiev ha prodotto un documento fuffa in cui non c’è riferimento al fondo da 800 miliardi. Soldi che fan comodo a Germania (e Francia) per rilanciare un’economia malridotta dalla transizione verde.Il Consiglio Ue dopo un pomeriggio e una serata di discussioni ha deciso che che era arrivato il momento di tirare una linea e dire la sua sull’Ucraina. Diffuse due note. La principale è di due paginette che ribadiscono quanto affermato negli ultimi mesi, annuncia quasi 43 miliardi di fondi e la volontà di utilizzare i fondi congelati agli oligarchi russi. Invita i singoli Paesi a inviare più sistemi di difesa aerea, più missili e munizioni. Anticipa la possibilità di creare un contingente di assistenza militare a Kiev. Con l’obiettivo di cercare una pace che preservi i confini originari dell’ex Paese sovietico. Non ci sono accenni al maxi fondo da 800 miliardi targato Ursula von der Leyen, né ad altri riferimenti per il riarmo. Insomma, il Consiglio conferma la grande tradizione di riunirsi senza decidere nulla di decisivo. Scusate il bisticcio di parole, ma è più che mai opportuno vista l’inconcludenza. Ovviamente l’obiettivo è sempre quello di decidere al meeting successivo. E così avverrà anche stavolta. Nel frattempo si lascerà altro spazio alla Commissione per muoversi e manovrare sul tema del riarmo e dei nuovi equilibri Nato. E su questo aspetto si apre un ventaglio di opzione che alla fine rischia di essere molto più ampio della annunciata tutela dell’Ucraina. Il processo di riarmo Ue è tema di discussione da oltre un lustro. Non se ne è mai fatto nulla. Ogni Stato teme di essere sopraffatto dagli altri (soprattutto Germania e Francia) e dover rinunciare a pezzi di industria della Difesa. Come dicono molti generali, in tempo di pace ci si arma e in tempo di guerra si consuma. Invertire il concetto può essere deleterio. A meno che la Commissione non voglia sfruttare la situazione e amplificare il concetto di emergenza per creare un nuovo progetto di transizione. Dall’auto al sistema bellico. Sarebbe per Von der Leyen la soluzione politicamente più semplice ed efficace per non ammettere di aver deindustrializzato il Continente e messo in ginocchio il settore dell’automotive che storicamente vanta il più grande indotto. Il Green deal ha imposto alle aziende di fermare lo sviluppo tecnologico dei motori a scoppio prevedendo il divieto nel 2035, ha causato un crollo della produzione, un innalzamento dei prezzi, una riduzione della mobilità e un taglio dell’occupazione. In poche parole ha contratto il Pil. Al di là della sconfitta politica che starebbe nell’ammettere l’errore suicida, è chiaro che il comparto delle quattro ruote non può fare retro e riconvertirsi alle vecchie tecnologie sperando di colmare il gap con gli altri colossi extra Ue. Serve un ingente piano di finanziamento. Tradotto, altro debito e nuove tasse. Allora il progetto di riarmo cadrebbe a fagiolo. L’emergenza giustifica il debito e la conversione. Altri cinque anni di finanziamenti soprattutto per le aziende francesi e tedesche. Aspetto buffo visto che ai tempi dei cosiddetti Pigs, quando a essere in crisi erano i Paesi del Mediterraneo, la metà nordica dell’Ue non voleva saperne di condividere debito o rischi. Aspetto doppiamente buffo visto che contro la guerra migratoria (che è bene ricordare è un conflitto non convenzionale per destabilizzare il Sud dell’Europa) nessun Paese del Nord abbia condiviso l’idea di fare debito comune e intervenire a supporto dell’Italia. Ma ciò che è più buffo è il nuovo storytelling - nuovo nella forma ma consueto nella sostanza - che descrive come inevitabile la sostituzione della tecnologia Usa con quella francese. Il caso cui facciamo riferimento è quello di Eutelsat, il conglomerato di Parigi privatizzato nel 2021. Oggi ha 1.500 dipendenti e nel 2024 ha chiuso con un fatturato di 1,2 miliardi di euro. Nel 2023 si è fusa con la britannica OneWeb, specializzata in comunicazioni satellitari, operazione che le ha consentito di scalare le classifiche delle costellazioni satellitari mondiali, arrivando ad possedersi circa un migliaio. Emmanuel Macron ha fatto sapere che Eutelsat sarebbe pronta a subentrare alla Starlink di Elon Musk nel sostegno all’esercito ucraino. Certo, la politica francese e l’ad dell’azienda hanno ammesso di essere in ritardo ma che in pochi mesi potrebbero essere operativi. Dettaglio che nessuno ha fatto emergere è che tecnologicamente Eutelsat non potrà mai sostituire le postazioni mobili di Starlink. Fornirà ottima comunicazione crittografia ma non potrà garantire ai fonti la possibilità di manovrare droni da terra. Non solo perché Musk possiede già una costellazione di oltre 8.000 satelliti, ma perché la latenza che questi forniscono assieme alla gestione delle frequenze è totalmente innovativa. L’esercito di Kiev senza droni perderebbe oltre un terzo della capacità offensiva per non parlare di quella difensiva. A questo punto l’interrogativo è semplice. Macron vuole difendere gli ucraini o approfittare di eventuali fondi comuni per rilanciare la propria economia? A pensar male si fa peccato, ma non si sbaglia mai. Tanto più che il documento condiviso al termine del Consiglio di giovedì sera viene infilata una postilla che svela tutte le fragilità dell’impianto e l’impossibilità dell’Ue di essere autonoma. Il Consiglio chiede alla Commissione, alla Slovacchia e all’Ucraina di trovare una soluzione ai problemi legati al transito del gas verso l’Ue. Non viene specificato che quel gas è russo. Come andare alla guerra frontale e poi chiedere che i rubinetti dell’oro azzurro restino aperti? Forse allora l’ipotesi che il riarmo sia una nuova forma di riconversione e di Green deal non è poi tanto campata per aria.
Jose Mourinho (Getty Images)