2021-04-22
Coprifuoco inutile ma ce lo infliggono
Fra tre giorni si festeggerà la Liberazione. Sono trascorsi 76 anni da quel 25 aprile che decretò la fine della guerra, ma ogni anno è un tripudio di bandiere rosse, un'adunata di partigiani, anche se di veri non ne è rimasto più neppure uno, e uno sproloquio di parole. Ciò detto, se domenica si celebrerà il ritorno alla normalità dopo il fascismo, molto probabilmente non potremo celebrare la normalità pre Covid. A qualcuno sembrerà che i due fatti c'entrino poco uno con l'altro e che abbia poco senso accostarli. Nel primo caso, infatti, si parla di un conflitto mondiale, nel secondo di un'epidemia globale. Nell'uno e nell'altro ci sono stati morti, ma il primo si è concluso, del secondo invece intravediamo forse la fine, però ancora con molte incertezze. Tuttavia, sebbene la guerra al nazismo non abbia niente a che fare con quella al coronavirus, c'è una parola che ricorreva allora e ricorre oggi: coprifuoco. Nella metà degli anni Quaranta, l'ordine di rimanere nelle proprie case durante le ore notturne, oltre che di oscurare le finestre per impedire agli aerei nemici di individuare i centri abitati, aveva come obiettivo impedire gli spostamenti clandestini dei partigiani. Ora il coprifuoco serve a evitare che gli italiani si incontrino e trascorrano la serata in libertà. Certo, si tratta di una misura straordinaria, per limitare i contatti e circoscrivere la circolazione del virus. Tuttavia, da misura straordinaria il coprifuoco sta diventando ordinario. Privare le persone della libertà di muoversi in qualsiasi ora del giorno, la mattina o la notte, non può tuttavia essere una faccenda normale, da far passare così, come un provvedimento amministrativo che dispone l'apertura o la chiusura dei negozi. Rinchiudere in casa i cittadini, obbligandoli a rimanervi e autorizzando le uscite solo per motivazioni eccezionali, non è una disposizione ordinaria e non può essere adottata con tanta facilità. La Costituzione consente delle limitazioni ai diritti di libera circolazione, ma solo per limitati periodi e solo per ragioni particolari, di ordine pubblico o di sicurezza. Ma disporre che tutti gli italiani rincasino a una determinata ora e per di più per un lungo periodo non può diventare la regola, come non può diventarlo che un cittadino debba giustificarsi davanti alla legge, spiegando dove va e perché. A maggior ragione, se una misura estrema come quella del coprifuoco non trova spiegazione in alcuna evidenza scientifica. Da un anno, di fronte a provvedimenti che suscitano perplessità, ci sentiamo ripetere che le motivazioni sono approvate dagli esperti. Sono loro a sollecitare gli arresti domiciliari e ancora loro a suggerire l'opportunità di restringere le ore d'aria entro le 22. Quali siano le ragioni che spingono a sostenere che il virus diventi più pericoloso all'imbrunire e dunque sia meglio rimanere rinchiusi nel proprio domicilio è un mistero, che finora però è stato accolto come un dogma. Si dà il caso però, che con la flessione del numero dei contagi e le riaperture delle attività come «rischio calcolato» (sono parole pronunciate dal presidente del Consiglio), ci si interroghi anche sul senso del «tutti a casa entro le 22». Perché le 22 e non le 23? Che differenza fa, se non di impedire a ristoranti e bar di poter servire qualche cliente in più? La logica della misura restrittiva effettivamente sfugge, e nonostante il governo abbia ribadito che a ordinare le chiusure anticipate sia stato il Comitato tecnico scientifico, lo stesso portavoce del Cts ha preso le distanze, specificando di non aver suggerito alcunché. Insomma, il coprifuoco non ha un padre né una madre, ma di sicuro non ha genitori con laurea in scienze. Spesso, su queste pagine abbiamo criticato decisioni che ci parevano cervellotiche. Ancora non abbiamo compreso perché un negozio di scarpe per bambini possa rimanere aperto e uno per adulti no. Né ci risulta comprensibile il motivo per cui si possano comprare calzini e mutande, ma non camicie e pantaloni. Tralasciamo per evidente follia la norma che impedisce di acquistare piatti e bicchieri in un supermercato dove pure si può fare la spesa, o quella che rende impraticabili i mercati all'aperto, ma solo se vendono generi non alimentari. Oltre a queste assurdità, che abbiamo già più volte commentato, segnalando che nelle aule scolastiche si registra un certo affollamento, ma in un negozio di abbigliamento no, la regola delle 22 proprio non la comprendiamo. Non impedisce l'assembramento per l'aperitivo, né limita la circolazione delle persone, ma complica solo la vita degli esercenti. Dunque, che senso ha insistere su una limitazione che non ha alcun effetto positivo? È comprensibile che Roberto Speranza, uno che se potesse rinchiuderebbe tutti, insista sulla linea rigorista, ma i suoi colleghi? Possibile che non capiscano che c'è anche una liberazione che non si fa con le bandiere rosse e con i cortei?