2024-07-16
Segreti e affari della coppia Donald-Musk
L’endorsement del magnate al candidato repubblicano lo rende l’unico interlocutore tra governo statunitense e piattaforme social. Il fondatore di Tesla sa anche che chi guiderà la Casa Bianca influenzerà il futuro dell’elettrico. E dei suoi mega progetti spaziali.Trascorsi pochi istanti dall’attentato a Donald Trump, il genio di Tesla, X e Starlink ha subito pubblicato due post. In uno Elon Musk annuncia ciò che molti immaginavano: il pieno endorsement al candidato dei repubblicani. Nell’altro tweet attacca il comparto della sicurezza nazionale incaricato di garantire l’incolumità di partecipa alla corsa elettorale. Musk rilancia l’intervista della Bbc, che ha poi fatto il giro del mondo, secondo cui più di un testimone avrebbe avvisato la polizia di un uomo munito di fucile in procinto di salire sul tetto. In pochi minuti Musk è riuscito ad anticipare i media tradizionali, molti dei quali ancora si rifacevano ai take di agenzia; nessuno dei quali faceva riferimento a un attentato ma solo a una fuga precipitosa dal palco. Non solo, Musk ha tirato una linea su quello che probabilmente sarà il futuro dei social. Un inno allo stop alla censura, in linea con il recente scontro tra X e Bruxelles. La scorsa settimana Musk aveva accusato i vertici della Commissione di aver proposto un losco accordo. Bloccare le multe e le sanzioni e in cambio nel silenzio e senza nessuna ufficialità moderare (tradotto censurare) i post scomodi. È chiaro che con l’endorsement, Musk in caso di vittoria repubblicana si guadagna il ruolo di unico interlocutore tra governo e piattaforma social. Sospettiamo non solo negli Usa ma pure all’estero. La mossa di Musk è però tutt’altro che idealistica. Ricordiamo che il vero business del suo gruppo sta nella mobilità e, ancor di più, nello spazio. Nel primo caso, il patron di Tesla sa che chi guiderà il prossimo giro alla Casa Bianca influenzerà anche il futuro delle sue quattro ruote elettriche. Negli ultimi mesi Trump è stato molto critico in relazione a questo modello di transizione green, ma al tempo stesso è l’uomo che dalla sala ovale può alzare il tiro dei dazi. Soprattutto contro la Cina. A beneficiare più di tutti sarebbe Tesla, che fino ad ora è riuscita a navigare anche nel mare della concorrenza asiatica, raggiungendo però un livello di saturazione del mercato preoccupante. Insomma, il secondo mandato di Trump pur riportando il motore termico in auge sarebbe comunque molto più favorevole per Tesla che per le altre case elettriche. Già questo punto vale parecchi miliardi. Ma la realtà è che il progetto di Musk è molto più ampio e coinvolge sempre il business dei dati nel mondo delle telecomunicazioni e dei satelliti. SpaceX, il conglomerato dello spazio in mano al tycoon, prevede di arrivare a circa 42.000 satelliti in orbita per collegare in banda larga tutto il globo. Per capire la portata del progetto basti pensare che a oggi sono circa 6.000 i satelliti targati Starlink già «piazzati» e che a fine anno diventeranno 8.000. Siamo davanti a una possibile svolta epocale consentita anche dal passaggio dai satelliti geostazionari a quelli di nuova generazione. I primi sono posizionati a circa 36.000 chilometri dalla Terra e offrono un’ampia copertura con forti limiti dovuti però all’elevata latenza (il tempo impiegato dai dati per raggiungere la destinazione indicata) e una bassa capacità di banda. I secondi invece sono a una distanza compresa tra 160 e 1.000 chilometri sulla Terra e questa vicinanza riduce drasticamente il tempo dei segnali per viaggiare da e verso il satellite. L’obiettivo è creare un link che colleghi tutti i 42.000 satelliti programmati attraverso i Laser Inter-Satellite Link (Lisl), che svolgono un ruolo cruciale nella creazione di una rete efficiente. I terminali sono fondamentali per l’interconnessione all’interno della costellazione e garantiscono comunicazioni spaziali globali con efficienza e connettività senza precedenti e decisamente superiori rispetto ai collegamenti a radiofrequenza (Rf). In questa ottica va inserito, per quanto riguarda l’Italia il simil contenzioso avviato con Tim. In realtà il tassella della nostra Penisola è tra i più importanti ma comunque un ingranaggio della grande visione. Con Trump alla Casa Bianca e un sostegno ancor più forte da parte del Pentagono comincia a essere verosimile un esito positivo a quello che solo fino a cinque anni fa era una idea visionaria. Se Musk riuscisse nella corsa allo spazio gli Usa avrebbero un triplo vantaggio. Primo eviterebbero che nel 2040 la Cina possa fare un salto generazionale militare. Secondo vantaggio, rivoluzionerebbero una volta per tutte la dottrina militare creando un solo percorso che va sotto il nome di duale. E, infine, terzo grande vantaggio potrebbero da soli controllare le comunicazioni attorno al globo. E per controllare intendiamo sia in entrata che in uscita. Non a caso, nonostante le dichiarazioni, si possono vedere satelliti di Starlink anche sopra i cieli della Russia e della Cina. Senza contare che l’Europa impegnata adesso a scalare il modello di business dei geostazionari si troverebbe a ripiegare su una tecnologia già esistente e meno cara. Peccato non proprietaria, con tutto ciò che ne consegue. Ovviamente, Musk ha tutta la convenienza a fungere da sparring partner di Trump. Quando e se il probabile prossimo presidente degli Stati Uniti deciderà di litigare con Bruxelles (sempre che la prossima Commissione non stravolga le scelte della precedente) per i dazi e per le imposte in arrivo sull’acciaio e in generale contro le emissioni di CO2, Musk potrà sventolare X contro le norme del Digital service act e del Digital market act che sembrano fatte apposta per imbrigliare le piattaforme. Senza contare l’Ia act (la legge che regola l’intelligenza artificiale) approvato ora e in funzione fra due anni. Una potenziale leva che la coppia Musk-Trump potrà usare a proprio vantaggio, a quello delle aziende Usa e di tutte quelle americane che in questi mesi investono senza farsi pubblicità in Israele, tra Cesarea e Haifa. Insomma, ci sarà da ballare.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)