2021-12-07
Contro il caro bolletta un taglio ai tagli Irpef
Il governo deve trovare un testo da inviare in fretta al Senato. Circa 300 milioni di euro saranno recuperati da singole voci di spesa. Mezzo miliardo, invece, dagli 8 miliardi del fondo per la riduzione dell’imposizione fiscale. Insomma, pagheranno tutti un po’ di più.Riunione a Palazzo Chigi ieri in serata. Presenti anche Biagio Mazzotta, Ragioniere generale dello Stato, e Giuseppe Chiné, capo di gabinetto del Mef. Obiettivo trovare la quadra sul caro bollette e la revisione dell’Irpef, dopo che la scorsa settimana è saltata la relativa decisione in sede di Cdm. L’idea del governo era quella di non applicare alcun taglio della pressione fiscale sui contribuenti con oltre 75.000 euro di reddito dichiarato. L’importo sarebbe stato di pochi spicci: 250 milioni circa. Ma sarebbe stato frutto di una logica perversa. Considerare quei lavoratori ricchi e quindi indenni rispetto al caro inflazione e all’aumento vertiginoso del costo delle bollette di cui certo nessun italiano ha colpa. I partiti di centrodestra della maggioranza e Italia viva si sono opposti. Risultato: spetta la governo trovare un testo da inviare al Senato tra stasera e domani che contenga un punto di caduta. Circa 300 milioni di euro saranno recuperati dal taglio frammentato di singole voci di spesa. Ma all’incirca mezzo miliardo, a quanto risulta a La Verità, si troveranno comunque all’interno del perimetro degli 8 miliardi che costituiscono il fondo taglia tasse. In pratica, saltato il contributo di solidarietà, si finirà con il ridurre a tutti il taglio. Tradotto, tutti i lavoratori si ritroveranno a pagare un po’ di più rispetto allo schema previsto prima della cabina di regia della scorsa settimana. La gabbia già misera che i partiti si sono fatti bastare per limare l’Irpef, modificare le aliquote, ritoccare un po’ di Irap e, infine, intervenire su alcune imposte locali, diventerà di qualche metro più stretta. Salvo che nella notte intervenga una qualche mano correttiva, la soluzione a portata di mano sembra questa. Con il risultato complessivo di portare a 2,8 miliardi gli stanziamenti per calmierare l’impennata dei costi dell’energia. Una cifra che sembra importante, ma che in realtà non farà la differenza. Basti pensare che la Francia punta a metterne sul piatto almeno 12 e dalla sua ha un grande bacino che è la fonte nucleare. Sarebbe importante fare un passo indietro ed evitare di mischiare temi e problemi che nulla hanno a che fare tra di loro. Il taglio delle tasse già ridicolo rappresenta una grande delusione se pensiamo al discorso di Mario Draghi davanti alla Camera il giorno della fiducia. Abbiamo sperato, ascoltandolo, di poter assistere a una vera riforma del fisco italiano. A un ritorno del predominio della politica rispetto alla burocrazia degli apparati e delle amministrazioni fiscali. Invece, la delega fiscale mostrerà i primi effetti solo nel 2023 e dentro c’è pure l’abominio del nuovo Catasto. Nel frattempo si torna alle briciole degli 8 miliardi. Al di là del gioco delle tre carte (togliere qui per mettere là) è d’obbligo fare osservare al governo un dettaglio fondamentale. L’inflazione, che è una componente importante nel caro bollette, non è un problema temporaneo. Ma strutturale. Non lo diciamo noi (sebbene l’abbiamo scritto in tempi non sospetti), ma importanti banche centrali. Dunque mettere in circolo deficit per tamponare l’inflazione significa semplicemente crearne altra. Mentre gli interventi necessari sono di natura ben diversa. Ieri Bloomberg ha lanciato l’allarme sulle scorte di gas. Nel Vecchio Continente potrebbero scendere entro aprile 2022 a solo 4,4 miliardi di metri cubi. In Belgio il prezzo dell’elettricità è schizzato a 645 euro a megawattora, più del doppio del già folle prezzo italiano. Il Belgio a differenza nostra ha pochissime risorse stoccate perché si è affidato in buona parte a fonti eoliche. Quest’anno il vento è stato clemente e non ha sferzato i visi di chi abita in Belgio, Danimarca e altri Paesi del Nord. Ha però messo in mutande la politica energetica Ue, che ogni giorno si mostra zeppa di errori. E non serve puntare il dito su quel cattivone di Vladimir Putin. Il quale certo usa Gazprom come un’arma geopolitica per fare pressione sul Nordstream 2, ma alla fine muove i prezzi solo nel breve termine. Per di più, un po’ taglia il gas (settembre e ottobre) e un po’ lo aggiunge (a novembre il flusso è cresciuto del 2%). Ora ci accorgiamo che le riserve di gas nell’Adriatico non sono mai state sfruttate, mentre sarebbe più corretto dire che le trivelle sono sempre state bloccate dai 5 stelle. Ai politici che adesso chiedono di sbrigarsi per estrarre gas, bisogna dire grazie perché la scelta contribuirebbe a rafforzare le nostre riserve e ridurre i rischi di blackout. Ma al tempo stesso bisogna ricordare che avere più trivelle nell’Adriatico non servirebbe ad abbassare i prezzi. Le quotazioni li fa il mercato, la domanda e l’offerta e la contrazione della supply chain. Ci vuole maggiore differenziazione. Il contributo di solidarietà sulle bollette lo dovrebbe pagare chi ha boicottato il nucleare, chi ha drogato il mercato delle rinnovabili con oneri finiti in bolletta e appesantiti da Iva e altri prelievi fiscali. Nel frattempo speriamo almeno che il riscaldamento globale eviti che questo inverno diventi troppo rigido. Caldo e sole eviterebbero picchi di consumi.
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)