2020-07-15
Continuano gli sbarchi di immigrati infetti. Altri 11 pakistani a Pozzallo
(Stefano Montesi - Corbis/Corbis via Getty Images)
Il governatore Nello Musumeci insiste nel chiedere una nave quarantena, però da Giuseppe Conte nessuna risposta. Luciana Lamorgese domani sarà in visita a Tripoli, ma in Sicilia non va.Era già successo con i cinesi: il timore dei contagi è bollato come discriminazione. Ma perfino per i bengalesi abbiamo sbagliato.Nel 2019 gli stranieri che hanno ricevuto il passaporto sono stati 127.000, il 13% in più rispetto al 2018. Ma tanti dei naturalizzati non sono interessati a restare qui: tornano al Paese d'origine o si trasferiscono all'estero.Lo speciale contiene tre articoli.Molte destinazioni turistiche del nostro Sud Italia sono al collasso, perché scarseggiano le prenotazioni di vacanzieri, mentre non si fermano gli arrivi di clandestini per di più infetti. «Undici positivi tra i 66 sbarcati a Pozzallo sono di nazionalità pakistana», segnalava ieri il governatore della Sicilia, Nello Musumeci, assicurando che si trovano in isolamento in una struttura. È arrabbiato il presidente della Regione Sicilia: «Continua a emergere un quadro sconfortante nel quale si erge il silenzio del ministero dell'Interno». Chiede da settimane una nave per la quarantena, senza dover far scendere sull'isola persone positive ai tamponi, ma fino a oggi non c'è stata risposta. La Prefettura di Agrigento sta cercando con urgenza «un vettore deputato al trasferimento dei migranti che giungono sull'isola e che devono raggiungere la Sicilia», una nave che possa ospitare almeno 100 persone e che effettui la tratta speciale da Lampedusa a Porto Empedocle. Il bando scade il 17 luglio, quanto ci costerà questo nuovo noleggio ancora non lo sappiamo, di certo per assicurare la quarantena ai clandestini il governo giallorosso sta spendendo milioni di euro proprio in un'isola, la Sicilia, che come effetto Covid-19 in cinque mesi ha perso redditi per 179 milioni di euro. Il bollettino nefasto di ieri seguiva di pochi giorni quello sui 70 pakistani sbarcati a Roccella Ionica, 28 dei quali sono risultati positivi. Gli italiani hanno sofferto mesi chiusi in casa per contrastare la circolazione del Covid-19, oggi sono costretti ad accettare che stranieri contagiosi vengano accolti senza misure di efficace contenimento. Soprattutto senza che i porti vengano chiusi alle Ong e senza che l'Unione europea si prenda carico delle migliaia di clandestini attivati sulle nostre coste: 9.372 al 14 luglio, quando lo scorso anno furono 3.186. In dodici mesi sono cresciuti quasi del 300 per cento e mentre nel Mediterraneo centrale, a giugno, si è registrato un calo di arrivi illegali del 50% rispetto al mese precedente, l'Italia è in controtendenza. Come ha commentato il leader della Lega, Matteo Salvini, «perfino Frontex conferma l'incapacità del governo Conte-5 stelle-Pd: gli arrivi calano ovunque tranne che nel nostro Paese. Senza la Lega al governo, e con Pd e 5 stelle che vogliono smantellare i Decreti sicurezza, i trafficanti di esseri umani festeggiano e lavorano a pieno regime. Calano gli sbarchi verso Grecia e Spagna (che erano aumentati quando l'Italia aveva chiuso i porti) e sulle nostre coste arrivano decine di immigrati positivi al Covid. Non si parla più di ricollocamenti, di espulsioni, di morti in mare, di corridoi umanitari o di accordo di Malta. Vogliono trasformarci nel campo profughi e nel lazzaretto d'Europa. Questo governo mette in pericolo l'Italia». Salvini aveva reagito anche con «giù le mani da Brindisi, difendiamo la salute e il lavoro dei pugliesi», alla notizia che il Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Brindisi Restinco ha dovuto sgomberare i 50 ospiti, dirottandoli verso centri di accoglienza della Regione Lazio, per essere pronto a ricevere gli 80 migranti che la Prefettura di Agrigento sta trasferendo da Lampedusa. Secondo quanto affermava ieri Brindisireport, in poche ore si vorrebbe trasformare la struttura in un centro Covid, pronto per accogliere ospiti infetti, e i pugliesi stanno reagendo molto male all'idea. Brindisi non vuole diventare una seconda Lampedusa, dove la situazione è pesantissima per gli abitanti che si sono visti arrivare quasi 800 clandestini durante lo scorso fine settimana, e per le forze dell'ordine: appena cinque squadre di dieci uomini fra polizia, carabinieri e guardia di finanza che non riescono più a reggere il carico di lavoro. «Un numero ridicolo di uomini impiegati, turni giornalieri multipli e a volte consecutivi, fino a raggiungere le 32 ore di servizio di seguito, servizi notturni svolti dagli stessi agenti sei notti su dieci», denuncia Valter Mazzetti, segretario generale del sindacato Fsp, polizia di Stato, protestando perché non vengono inviati rinforzi: «Siamo servitori, non schiavi». Dal Viminale è uscita solo la notizia che il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese ha ricevuto il sindaco di Pozzallo, Roberto Ammatuna, ha ringraziato il primo cittadino e l'intera comunità del porto siciliano che in questi anni hanno mostrato «senso di umanità e solidarietà ed offerto fattiva collaborazione per l'accoglienza dei migranti». Il ministro ha promesso di recarsi al più presto in visita a Pozzallo, cosa che fino ad oggi si è guardata bene dal fare. Ieri mattina la Lamorgese si era incontrata con i colleghi alla Difesa, Lorenzo Guerini, e agli Esteri, Luigi Di Maio, oltre che con il direttore dell'Aise, Giovanni Caravelli, per fare il punto sulla presenza militare italiana in Libia. Avrebbero parlato anche di immigrazione: domani il capo del Viminale sarà in visita ufficiale a Tripoli dove incontrerà il collega libico Fathi Ali Bashagha, e nei prossimi giorni dovrebbe andare in Tunisia, altro Paese di partenza di clandestini. Tema caldo, quello degli stranieri anche a Parigi, dove oggi l'Istituto italiano di cultura offre gratuitamente l'accesso per assistere allo spettacolo teatrale Migrando dell'italiana Carla Bianchi. Un monologo, nel quale l'attrice spiega perché è importante «accogliere un migrante per rianimare un villaggio», dove sta per approdare un barcone con 50 clandestini. In un Tweet aveva ringraziato «Domenico Lucano per avermi ispirato» e un'associazione siciliana «per avermi fatto incontrare i bellissimi giovani migranti di Caltagirone». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/continuano-gli-sbarchi-di-immigrati-infetti-altri-11-pakistani-a-pozzallo-2646408451.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="torna-di-moda-l-allarme-razzismo" data-post-id="2646408451" data-published-at="1594753073" data-use-pagination="False"> Torna di moda l'allarme razzismo Il telefono di Michele Mirabella deve essere bollente. Dopo il grande successo del video di fine febbraio in cui, inforcando un paio di bacchette, ci intimava di non aver paura dei cinesi (e neanche del virus, ché non era tutto questo granché), sembra infatti giunto il momento di replicare l'esperimento. Magari stavolta potremmo piazzare l'attore e conduttore dentro un alimentari gestito da un bengalese, uno di quei negozietti dall'odore pungente che spuntano come funghi nelle nostre città. L'ultima emergenza mediatica si chiama infatti «razzismo anti bangla». Nel Paese asiatico, si sa, il virus è fuori controllo. E nel viavai con l'Italia, che vanta una nutrita comunità bengalese, è capitato che vari focolai si accendessero in diversi luoghi del Belpaese, proprio nelle comunità legate a Dacca. Abbiamo visto aerei carichi di positivi, a volte già con chiari sintomi febbrili, alzarsi dalla capitale bengalese per raggiungere Roma. Ci hanno raccontato del boom dei falsi certificati di immunità grazie ai quali molti bengalesi riescono a muoversi liberamente. E, con tutto il rispetto, se il Covid ha messo in ginocchio il nostro sistema sanitario, qualche dubbio sulla tenuta di Paesi meno attrezzati appare lecito. Insomma, i motivi di preoccupazione non mancano. Legittime ansie da pandemia? Macché, per certi media è chiaramente razzismo. Ieri L'aria che tira, su La7, ha mandato in onda un servizio dall'ormai mitologica periferia romana di Torpignattara. Dove, pare di capire, i bengalesi sono accerchiati. «Prima c'era paura dei cinesi, ora quando vedono i bengalesi hanno tutti paura», tuona un immigrato davanti alla telecamera. «La convivenza con gli italiani è messa a dura prova», chiosa la giornalista. «Se passano a mezzo metro mi scosto un po' più in là», ammette un pensionato italiano, ripetendo quello che altrove passerebbe per un'espressione di civismo e corretta profilassi sanitaria, ma che nel contesto del servizio sembra quasi il motto di un estremista afrikaner che invoca il ritorno dell'apartheid. Ieri, su Repubblica, Luigi Manconi si preoccupava del fatto che «il rapporto migrante-pandemia sembra costituire un nuovo motivo di allarme sociale». Allarme, per l'ex senatore, del tutto ingiustificato, anche perché, se bisogna allarmarsi, bisognerebbe farlo per le spiagge troppe affollate di italianissimi bagnanti senza protezioni, dice Manconi. Ora, al netto del fatto che l'imprudenza e l'irresponsabilità sono vizi universali e anche certi italiani non ne sono certo immuni, non è poi così difficile capire perché in Italia ci si fidi più dei propri concittadini, fino a ieri murati vivi in casa, che non di chi arriva da Paesi con meno controlli, è passato per le mani di scafisti e trafficanti e ha viaggiato su barche di fortuna in chissà quali condizioni. La diffidenza non ha a che fare con inferiorità e superiorità razziali, con l'odio per il diverso o chissà quale altra formula popoli i sogni bagnati dell'intellighenzia antirazzista, ma con naturali meccanismi etologici dovuti a questa particolare contingenza. E se la cosa non convince, si dia almeno retta a Mohamed Taifur Rahman Shah, presidente del'associazione ItalBangla, che qualche giorno fa ha dichiarato all'Adnkronos: «Nel nostro Paese la situazione legata ai contagi è un disastro, non ci sono cure mediche e la gente sta cercando di scappare con ogni mezzo». Ma l'uomo ha anche aggiunto: «Sicuramente sono stati fatti errori dal governo del Bangladesh, che ha lasciato passare tutti, e da quello italiano che non ha controllato chi entrava in Italia». Capito? Sono i bengalesi a bacchettarci: bisognava chiudere tutto e, se abbiamo sbagliato, è stato nell'essere troppo morbidi. Sarà autorazzismo? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/continuano-gli-sbarchi-di-immigrati-infetti-altri-11-pakistani-a-pozzallo-2646408451.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="ottenuta-la-cittadinanza-se-ne-vanno-ecco-la-prova-che-lo-ius-soli-e-inutile" data-post-id="2646408451" data-published-at="1594753073" data-use-pagination="False"> Ottenuta la cittadinanza se ne vanno. Ecco la prova che lo ius soli è inutile
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
Continua a leggereRiduci