2020-10-03
Conte s’aggrappa al fondo che non c’è. Gentiloni: «Spero si chiuda ad aprile»
Al Consiglio europeo il premier assicura che il Recovery fund arriverà, ma il commissario gela gli entusiasmi: i tempi sono lunghi. Le spese per interessi sui titoli di Stato sono scese del 10%, eppure il governo spinge il Mes.Ieri è terminata la due giorni del Consiglio europeo, che è tornato a riunirsi in presenza fisica dopo i cinque giorni di maratona negoziale che sfociarono nell'accordo politico del 21 luglio. Ufficialmente si è discusso di politica estera, mercato unico, industria e transizione digitale, ma è ovvio che il convitato di pietra è stato il Recovery fund. Il presidente Giuseppe Conte già alla vigilia aveva ben focalizzato il problema dichiarando che «non sono preoccupato, dopo quello che è stato fatto non è possibile non procedere speditamente». Ancora più esplicito è stato dopo la riunione, rimarcando che «il Recovery fund non può essere alterato o ritardato, nessuno può permettersi di farlo e l'Italia non lo permetterà […] Non si può assolutamente mettere in discussione un impegno politico assunto quando tutta Europa ci guardava. Nessuno oggi può e deve permettersi di mettere in discussione un impegno politico assunto a 27». Conte ha ribadito che «i nostri cittadini non possono contemplare affatto discussioni tecniche che possano ritardare il Next generation Eu». Parole che descrivono puntualmente, meglio di qualsiasi sintesi, il cul de sac in cui è finito il nostro Paese.Sin dal Consiglio del 23 aprile, quando i leader affidarono alla Commissione il compito di mettere a punto un piano per la ripresa, il nostro governo investì un enorme capitale politico su questo strumento. Né assunse un atteggiamento più guardingo il 28 maggio, quando Ursula von der Leyen presentò il Next generation Eu; eppure, la lettura delle bozze dei regolamenti, zeppe di condizioni quasi capestro, avrebbe dovuto suggerire una strategia negoziale più prudente. L'esultanza sopra le righe con cui è stato poi salutato l'accordo del 21 luglio, che avrebbe invece dovuto essere realisticamente accolto con una buona dose di scetticismo, ha alzato ulteriormente le aspettative e aumentato il distacco con la realtà.Ora ci ritroviamo a meno di 90 giorni dal 1° gennaio 2021, data prevista per l'entrata in vigore del regolamento che disciplina il NgEu e prima data utile per l'invio formale dei piani nazionali per la ripresa (da inviarsi al più tardi entro il 30 aprile), e sono ancora in alto mare tutte le norme che dovrebbero disciplinare questo complesso pacchetto. E senza norme in Gazzetta Ufficiale della Ue, nessuno vedrà un centesimo.Il commissario Paolo Gentiloni ieri ha descritto la delicatezza del momento e ha confermato che tutto, tanto per cambiare, è nelle mani della presidenza tedesca del Consiglio Ue, che «sta lavorando molto duramente con il Parlamento per una cosa mai fatta, avere debito comune per obiettivi di tutta l'Ue. Non è una cosa normale, ma straordinaria. Confido che potremo approvare questo piano di rilancio alla scadenza dell'aprile 2021».Tutto è riposto nella capacità di mediazione di Angela Merkel, protagonista ieri di un siparietto con il presidente Conte che, avvicinatosi pronto a salutarla con il tocco del gomito, ha visto la cancelliera fare un rapido balzo all'indietro, teso a evitare il contatto ravvicinato. La Merkel deve tutelare la sua salute per riuscire in uno sforzo titanico: sbloccare lo stallo in corso tra Consiglio ed Europarlamento sul bilancio ordinario del prossimo settennato 2020-2027, sulla decisione relativa alle entrate per finanziare il rimborso dei bond del NgEu, e sui regolamenti (tra cui spicca la tutela dello Stato di diritto e proprio il NgEu). Come spiegato ieri, è un groviglio di voti all'unanimità, a maggioranza qualificata e di ratifiche dei Parlamenti nazionali. Tuttavia è forse eccessiva l'enfasi data in questi giorni alla presunta opposizione di Polonia e Ungheria sul tema dello Stato di diritto. La vera disputa è quella sulle entrate future della Ue, senza le quali non parte nulla: e su questo punto, chi si oppone a nuove tasse sono i Paesi in cui la pianificazione fiscale aggressiva è benvenuta, come l'Olanda, il cui premier Mark Rutte ha già minacciato il veto del proprio Parlamento. Polacchi e ungheresi si muovono di conserva. Al nostro Paese non resta che inseguire e recriminare di aver messo tutte le uova nello stesso paniere (o meglio, ginepraio) troppo presto e trovarsi così in una posizione negoziale debolissima. Pur di fare presto, rischiamo di accettare di tutto, prestito del Mes incluso. La recriminazione è ancora maggiore se si osservano i dati pubblicati giovedì dal Mef: a settembre il fabbisogno del settore statale è pari a 22 miliardi (rispetto ai 23 del settembre 2019) e da gennaio il fabbisogno si attesta a 128 miliardi (73 miliardi in più rispetto al 2019) e, nonostante ciò, la spesa per interessi cala, in nove mesi, di ben 4,5 miliardi (-10%). Il Tesoro ha emesso più debito ma a tassi decrescenti (sfruttando anche scadenze più brevi a tassi negativi) facendo scendere il conto finale che calerà ancor più quando Bankitalia girerà al Mef, sotto forma di dividendi, gli interessi incassati sui titoli di Stato.Perché non abbiamo sfruttato ancor più questa congiuntura favorevole, che la Bce sosterrà ancora a lungo, per definire un nostro autonomo piano di rilancio, senza condizioni ed estenuanti negoziati? La seconda potenza manifatturiera d'Europa ha bisogno di indebitarsi con la Ue, anziché con il mercato, risparmiando forse un piatto di lenticchie, ma perdendo la libertà di decidere cosa e quanto spendere per la ripresa? O c'è l'esplicita scelta di metterci sotto vincolo esterno fino al 2058, cominciando proprio dal prestito del Mes?
Jose Mourinho (Getty Images)