
A Sharm El Sheik, il premier vede Abdel Fattah Al Sisi. Che però fa il bullo: «L'Ue non ci detti la linea sui diritti umani». Così finisce per complicarsi il rapporto con Il Cairo, fondamentale per non perdere altre posizioni in Libia.Al primo summit tra Unione europea e Lega araba conclusosi ieri a Sharm El Sheik l'Italia ha provato a recuperare terreno in Libia sulla Francia, avvicinatasi sempre più a Khalifa Haftar, l'uomo forte della Cirenaica, alla guida dell'autoproclamato Esercito nazionale libico, che nelle ultime settimane, favorito dai raid dei caccia di Parigi, ha conquistato ampie fette del Sud del Paese, strategico per alcuni giacimenti petroliferi. Come quello di El Feel, operato da Eni assieme alla Noc (la compagnia petrolifera nazionale libica) e passato da alcuni giorni sotto il controllo delle forze fedeli a Bengasi, e quelli di Sharara, gestiti dalla Noc, dalla spagnola Repsol, dalla francese Total, dall'austriaca Omv e dalla norvegese Statoil. Controllare i pozzi significa gestire circa il 90% delle entrate per le casse libiche. Ed è anche, se non soprattutto su questo piano che si combatte per il futuro della Libia.Nella località turistica egiziana sulle sponde del Mar Rosso, i capi di Stato e di governo europei hanno incontrato 22 leader degli Stati arabi per parlare di lotta al terrorismo, della crisi migratoria, delle guerre in Siria e Libia, della questione israelo-palestinese e delle relazioni tra Europa e mondo arabo. Una «nuova era di cooperazione» nasce dal vertice, è il messaggio emerso alla fine dei due giorni di lavoro. E già ci sono data e luogo per la seconda edizione del summit: 2022 a Bruxelles, l'ha annunciato il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi.Proprio da lui dipendono alcuni equilibri in Libia. È infatti, assieme agli Emirati arabi uniti, il principale sostenitore di Haftar, oltre che il più deciso oppositore della Fratellanza musulmana su cui fa affidamento il rivale del leader della Cirenaica, Fayez Al Serraj, premier del Governo di accordo nazionale con sede a Tripoli, quello riconosciuto dalle Nazioni Unite e che ha nell'Italia il principale interlocutore occidentale (basti pensare che ieri sono ripartiti, presente alla cerimonia l'ambasciatore italiano Giuseppe Maria Buccino Grimaldi, i lavori per la ricostruzione dell'aeroporto di Tripoli, danneggiato dagli scontri tra milizie nell'estate del 2014, che sono stati affidati al consorzio di aziende italiane Aeneas). A marcare le incompatibilità sempre più evidenti tra Tripoli e Bengasi, la recente decisione di Al Serraj di nominare nel consiglio di amministrazione della Libyan investment authority Mustafa Al Mania, un ex esponente dei Fratelli musulmani locali. E delle recenti difficoltà di Al Serraj sta cercando di approfittare negli ultimi giorni la Francia di Emmanuel Macron.Per queste ragioni il Paese mediterraneo, centrale per temi energetici e migratori, è stato al centro dell'incontro tra Al Sisi e il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte tenutosi a margine del summit di Sharm El Sheik (oltre che del vertice, tenutosi in Algeria sempre ieri, tra il ministro della Difesa Elisabetta Trenta e il viceministro della Difesa algerino Ahmed Gaid Salah). L'Italia, per bocca sia di Conte sia della Trenta, fa appello alle Nazioni Unite in linea con la Conferenza di Palermo di metà novembre sottolineando come, ha dichiarato il ministro della Difesa, «le ingerenze facciano male». Messaggio rivolto a Parigi. Ma Roma non può ignorare iI Cairo. Conte ha parlato con Al Sisi del caso di Giulio Regeni («una ferita ancora aperta», l'ha definita il premier), sulla cui morte domani la commissione Esteri della Camera guidata dalla pentastellata Giulia Grande discuterà l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta. Il leader egiziano, ha spiegato Conte, «ha testimoniato la sua costante attenzione e il suo impegno perché questo caso abbia una soluzione». Tuttavia, poche ore dopo l'incontro, Al Sisi ha alzato il muro sul tema dei diritti umani. «Lo dico in tutta franchezza», ha detto rivolto ai leader europei: «Non ci detterete quale debba essere la nostra umanità».L'Italia, la cui politica estera nel Mediterraneo appare legata al caso Regeni, continua a soffrire l'attivismo sulla Libia della Francia, che ha appena regalato sei motovedette a Tripoli e rinsaldato l'asse militare con Bengasi e quello politico con il Cairo. Il tutto mentre Haftar, che sembrava aver scelto l'Italia come suo interlocutore principale dopo la Conferenza di Palermo anche alla luce della sponda statunitense, ora si sente talmente forte da aver respinto la proposta di incontrare Al Serraj, definendolo «una figura debole» che «non ha nulla da offrire», come ha detto al Libyan Address Journal una fonte vicina al generale. Saltato quindi, ma non per una ritrovata centralità dell'Italia bensì per la netta ascesa dell'alleato della Francia, l'incontro tra i due leader libici caldeggiato per i prossimi giorni, ad Abu Dhabi o Parigi, dall'inviato Onu in Libia, Ghassan Salamé, e dalla consigliera del presidente francese Emmanuel Macron, Marie Philippe.
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






