2023-01-14
Open Arms, Giuseppi fa lo smemorato. Ma due lettere lo mettono all’angolo
Il leader M5s, in aula come teste nel processo a Matteo Salvini, prima dichiara di non sapere della nave ma poi deve rettificare: per due volte scrisse al ministro leghista. Sentiti dai giudici pure Luigi Di Maio e Luciana Lamorgese.Antonio Tajani incontra l’omologo turco per frenare le partenze dalla Libia e per bloccare la rotta balcanica: «Saremo duri contro i trafficanti». E lunedì arriva Matteo Piantedosi.Lo speciale contiene due articoli.Il sottomarino militare Pietro Venuti continua a incrociare nel tribunale di Palermo. Ieri è ripartito il processo che vede il leader della Lega Matteo Salvini imputato di sequestro di persona per aver vietato nell’agosto 2019, da ministro dell’Interno, l’approdo a Lampedusa della nave spagnola Open Arms con 147 immigrati. E il sommergibile ha continuato a esserne uno dei principali temi polemici.Nel processo il Pietro Venuti era «emerso» durante l’ultima udienza del 2 dicembre, quando a sorpresa era stata depositata una «Relazione di servizio» del sommergibile, che nell’estate 2019 si trovava in mare proprio con la missione di monitorare eventuali traffici illeciti d’immigrati, e il 1° agosto aveva seguito di nascosto proprio il salvataggio di un barcone di clandestini al largo delle coste libiche da parte della Open Arms. La Relazione del «Venuti», che con i 27 video e i due file audio allegati era stata subito trasmessa alle Procure di Roma, di Palermo e agli altri uffici giudiziari della Sicilia, segnalava che la mattina di quel 1° agosto, dopo uno scambio via radio in spagnolo, la Open Arms aveva fatto un anomalo, brusco cambiamento di rotta, e dopo quasi tre ore di navigazione veloce (oltre 11 nodi) s’era incontrata con un barcone da cui aveva preso il carico di clandestini. La relazione sottolineava che in quello stesso tratto di mare il 1° agosto era in azione una motovedetta libica, cui la Open Arms di fatto aveva sottratto il carico di disperati. Tutto questo, lo scorso 2 dicembre, aveva indotto il difensore di Salvini, l’avvocato Giulia Bongiorno, a criticare con forza la Procura per il tardivo deposito della Relazione del Venuti, un documento fondamentale per la difesa: la penalista infatti aveva ipotizzato che la Open Arms avesse agito in diretto contatto con gli scafisti. E in aula si era parlato perfino della possibilità che sul barcone ci fossero dei terroristi.Ieri, come teste dell’accusa, è stato interrogato Giuseppe Conte, che fino al 20 agosto 2019 era stato a capo del governo giallo-blù in cui l’imputato Salvini era ministro dell’Interno. Una posizione in certo senso paradossale, quella di Conte, se è vero che la Costituzione (art. 95) affida al presidente del Consiglio il compito di «dirigere la politica generale del governo» e soprattutto gliene affida la «responsabilità». Ma ieri il leader grillino ha fatto di tutto per allontanare da sé ogni responsabilità nella vicenda. Conte ha detto di non ricordare nulla: né se qualcuno gli avesse «parlato di possibili accordi tra la Open Arms e gli scafisti alla guida dei barconi soccorsi», né «di aver mai sentito parlare della presenza di terroristi a bordo della Open Arms». L’ex premier, va detto, è anche caduto in qualche contraddizione. Prima ha dichiarato che sul caso Open Arms nell’agosto del 2019 non c’era stata «alcuna interlocuzione» tra lui e il ministro dell’Interno, ma poi ha dovuto ricordare le due lettere che aveva inviato il 14 e il 16 agosto proprio a Salvini: la prima per chiedergli di far sbarcare i minori dalla Open Arms, e la seconda per annunciargli che Francia, Germania, Romania, Portogallo, Spagna e Lussemburgo gli avevano «appena comunicato di essere disponibili a redistribuire i migranti». Il leader grillino ha voluto anche segnare un invalicabile confine ideologico tra sé e Salvini sul tema immigrazione: «Non ero d’accordo con lui», ha ricordato Conte, «e per di più in quel momento il clima era incandescente perché ci avviavamo verso la crisi di governo». Eppure, in quel governo, la concordia sul tema dell’immigrazione era parsa totale: online ci sono ancora le foto del settembre 2018, in cui Conte e Salvini, sorridenti, reggono assieme un cartello su cui campeggia la scritta #decretosalvini. Anche l’ex ministro degli Esteri Luigi Di Maio, interrogato a Palermo come teste dell’accusa, ieri ha negato qualsiasi responsabilità del Consiglio dei ministri su quanto accadeva a bordo della Open Arms, e più in generale sul tema immigrazione: «Non ci sono mai state riunioni, né informali né formali, sulla concessione di porto sicuro alle navi dei migranti», ha detto, «e la maggior parte delle volte sapevamo del rifiuto da parte di Salvini solamente dai media».In udienza Luciana Lamorgese, ministro dell’Interno dopo Salvini nel governo giallo-rosso, ha dichiarato poi una totale discontinuità rispetto al predecessore: «Noi», ha detto, «abbiamo messo sempre in primo piano il salvataggio delle persone». Salvini le ha risposto in serata con una nota: «Io solo rischio fino a 15 anni di carcere», vi si legge, «mentre lei ha confermato di aver trattenuto gli immigrati a bordo di una nave in più di un’occasione. Per esempio sulla Ocean Viking dal 18 al 29 ottobre 2019, in attesa di trovare un accordo con i partner europei. Oppure sulla Alan Kurdi dal 26 ottobre al 3 novembre 2019».Nelle prossime udienze, in marzo, il rapporto del sottomarino Venuti resterà al centro del processo. Anche perché è l’oggetto di due denunce. La prima è della Open Arms, parte civile nel procedimento, che adesso accusa il sommergibile di omesso soccorso in quanto «non intervenne nel salvataggio dei profughi». L’altra denuncia è di Salvini: «Lunedì depositeremo un esposto a sei Procure», ha annunciato l’avvocato Bongiorno, «perché la Relazione del Venuti conferma quanto diciamo da tempo, e cioè che dietro al divieto di sbarco (deciso da Salvini, ndr) c’erano gravi sospetti di illeciti da parte della Open Arms: ma allora, visto che la Relazione fu spedita a otto Procure, perché non venne approfondita?». Salvini ha aggiunto che, se la documentazione del Venuti fosse stata subito disponibile, «probabilmente questa vicenda non sarebbe nemmeno iniziata».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-open-arms-2659214266.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lo-stop-ai-barconi-passa-per-ankara" data-post-id="2659214266" data-published-at="1673692006" data-use-pagination="False"> Lo stop ai barconi passa per Ankara «Il governo italiano è al lavoro per impedire che il Mediterraneo diventi un cimitero dei migranti». In questa frase del ministro degli Esteri Antonio Tajani, in estrema sintesi, c’è il senso della missione in Turchia di ieri del nostro capo della diplomazia. Come è noto, è impossibile pianificare un serio contrasto ai flussi illegali di migranti, senza avere come interlocutore privilegiato il governo di Ankara, visto che quest’ultimo è doppiamente impegnato sul fronte del contenimento dei flussi. Da una parte la Turchia accoglie, infatti, circa quattro milioni di migranti dalla Siria, dall’altra è un territorio di passaggio della rotta balcanica, che investe fortemente anche il nostro Paese coi numerosissimi arrivi via terra verso il Friuli. Infine, il governo turco gioca da qualche tempo un ruolo fondamentale in Libia, e in quest’ottica è vitale una cooperazione con esso per stoppare gli sbarchi illegali sulle coste siciliane e calabresi. Tutte questioni affrontate da Tajani in un incontro con l’omologo turco Mevlut Cavusoglu, che si è svolto - stando alle dichiarazioni dei diretti interessati - in un clima che ha riportato la cordialità al centro dei rapporti bilaterali tra due nazioni che hanno legami economici fortissimi e strutturati da decenni. «La lotta all’immigrazione clandestina», ha dichiarato Tajani al termine dell’incontro, «significa sicurezza, significa fermare i trafficanti di esseri umani e su questo noi saremo molto duri e troveremo la cooperazione di molti Paesi a partire dalla Turchia e altri nell’Ue. Dobbiamo lavorare insieme in Nord Africa e in Medio Oriente con interventi a breve, medio e lungo termine». «L’Italia», ha proseguito, «apprezza gli sforzi della Turchia nel contrasto al traffico di esseri umani, entrambi i Paesi devono affrontare problemi molto importanti, c’è una crescita di immigrati clandestini che arrivano in Italia da più parti, e per fortuna non molti dalla Turchia grazie ad una azione di controllo e contrasto da parte delle autorità turche che ringrazio calorosamente per questo». Da questo punto di vista, Tajani ha assicurato il sostegno dell’Italia in seno all’Ue per una serie di questioni che interessano alla Turchia, non ultima quella del mantenimento dell’accordo con Bruxelles sul controllo dei flussi, che si concretizza in un contributo annuale di tre miliardi di euro. La convergenza tra i due Paesi è stata testimoniata dalle parole poi pronunciate da Cavusoglu, per il quale «quello migratorio è un problema globale ed è per questo che gli sforzi devono essere comuni». Il ministro turco, da parte sua, ha insistito sul nodo dei rimpatri: «È una questione», ha detto, «che richiede una certa strategia, in Libia abbiamo sovvenzionato navi per garantire la sicurezza marittima, cerchiamo soluzioni permanenti garantendo il rispetto dei diritti umani». «Serve collaborazione», ha proseguito, «che portiamo avanti anche con l’Italia e che deve proseguire anche a livello dei ministeri dell’Interno». Non a caso, Cavusoglu ha poi annunciato che lunedì prossimo il nostro ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sarà ad Ankara per entrare più nel dettaglio delle misure congiunte da adottare per il contrasto dei flussi migratori clandestini. In quest’ottica la stabilizzazione della situazione in Libia appare fondamentale, e sostanzialmente ha rappresentato il secondo punto all’ordine del giorno della missione turca di Tajani. «Italia e Turchia», ha detto Tajani, «hanno una visione comune sulla Libia, vogliamo che si arrivi alla stabilità perché si deve arrivare ad elezioni che consentano al Paese di governarsi. Stabilità e controllo del territorio», ha concluso, «ridurranno anche i flussi migratori, trovando delle soluzioni e ne parleranno insieme i ministri dell’Interno italiano e turco la prossima settimana».
Cristian Murianni-Davide Croatto-Andrea Carulli