2020-04-04
Conte giura di no. Ma l’Italia ha già dato l’ok all’uso del Mes
Giuseppi si dice contrario, però i tecnici avrebbero autorizzato il Salvastati senza informare il Parlamento. Matteo Salvini: «Crimine»Sentenza attesa il 5. Se la Corte si pronuncerà contro il bazooka di Mario Draghi, salterà pure lo scudo appena lanciato da Christine LagardeVerrà discusso all'Eurogruppo di martedì. Valdis Dombrovskis: «Clausole necessarie» Catenaccio variabile 16 punti su cinque righe sbandierato a sinistraLo speciale contiene tre articoliCi risiamo. In occasione dell'Eurogruppo del 16 marzo avevamo ripreso per primi le indiscrezioni del Financial Times che riferiva di «alti funzionari del ministero dell'Economia» italiano al lavoro per rendere accettabile il Mes sia da parte dei Paesi beneficiari dei prestiti sia dai mercati. Ieri abbiamo nuovamente appreso che l'azione di tecnici privi di responsabilità politica, in preparazione dell'Eurogruppo di martedì 7, non è del tutto in linea con i desiderata del governo, almeno apparenti, e del Parlamento.Da qualche giorno si è definitivamente chiarita la posizione politica del nostro esecutivo, con Giuseppe Conte che ieri, nella risposta alla lettera della presidente Ursula von der Leyen, ha ribadito che «alcune anticipazioni dei lavori tecnici che ho potuto visionare non sembrano affatto all'altezza del compito che la storia ci ha assegnato. Si continua a insistere nel ricorso a strumenti come il Mes che appaiono totalmente inadeguati rispetto agli scopi da perseguire».In precedenza, il ministro Roberto Gualtieri aveva ribadito che era «illusorio pensare che il governo avrebbe ceduto e accettato alcuna condizionalità». Anche Luigi Di Maio era da tempo sulla stessa lunghezza d'onda, e perfino Massimo D'Alema ieri si è unito al coro di cui faceva parte da tempo anche Stefano Fassina.Il tutto in stridente contrasto con quanto trapela da Bruxelles e dalle capitali europee. Il sempre ben introdotto Financial Times ieri mattina ha riferito che ci sono diverse proposte sul tavolo per sfruttare la capacità di prestito del Mes e della Bei, e che l'emissione di coronabond, tuttora avanzata dai Paesi del Sud, non è tra gli strumenti attivabili nel breve termine. Il presidente della Banca centrale finlandese ed ex Commissario Ue, Olli Rehn, ha confermato che «si andrà verso una soluzione di compromesso, che includerà prestiti e bilancio Ue».Se tutto questo è vero, allora c'è un problema nella linea di comando che da Conte e Gualtieri scende fino ai funzionari del Tesoro che in queste ore stanno trattando per conto dell'Italia. E che ci fosse qualcosa che non quadrava lo si poteva già intuire dallo scontro verbale avvenuto qualche giorno fa al tavolo della cabina di regia per la crisi, tra il senatore Alberto Bagnai e Gualtieri stesso, quando il senatore aveva attaccato i «funzionari del Tesoro che vanno in Europa a svendere il popolo italiano» e il ministro aveva perso la pazienza: «Attacca me, attacca il governo, ma lascia stare i funzionari dello Stato». La veemente risposta aveva rivelato più di un nervo scoperto.Ma la conferma di un inspiegabile scarto tra la linea politica asserita ai massimi livelli e la condotta concretamente messa in atto dai nostri funzionari è arrivata ieri con il quotidiano La Stampa, che riferiva come l'Eurogroup working group (organo che prepara le riunioni dell'Eurogruppo a cui partecipano alti funzionari dei ministeri economici) avesse redatto un documento per l'utilizzo dei prestiti del Mes in cui però non c'era traccia della sospensione della condizionalità e, tantomeno, dell'eliminazione della firma del protocollo d'intesa. Un Mes in purezza, insomma: e l'indice era puntato verso il direttore generale del Mef, Alessandro Rivera, incidentalmente anche membro del Board of directors del Mes stesso. Come se non bastasse, lungo l'intero pomeriggio di ieri fonti di agenzia riportavano che il «lavoro tecnico all'Euro working group sulla linea di credito a condizioni rafforzate (Eccl) del Mes ha fatto passi avanti sostanziali. Nessuno Stato membro si è opposto».La reazione della politica non si è fatta attendere. Il deputato leghista Claudio Borghi ha scritto una durissima lettera all'indirizzo del presidente della Camera Roberto Fico, in cui rappresenta la «sincera preoccupazione per la grave condotta che il ministro dell'Economia, unitamente ai propri rappresentanti tecnici, sta perseguendo nelle sedi europee dove è in corso una fondamentale discussione circa [...] l'eventuale impiego di meccanismi di stabilizzazione finanziaria». Borghi invocava il rispetto dell'articolo 5 legge 234 del 2012, che impone lo svolgimento di procedure di consultazione e informazione delle Camere e richiede che la posizione negoziale dell'Italia in casi come questo debba tenere conto degli atti di indirizzo preventivamente adottati dalle Camere. Borghi concludeva invitando Fico a rappresentare a Conte tale esigenza di partecipazione parlamentare al «delicato processo e conformarsi al vincolo fiduciario con le Camere».Si apre un enorme problema di metodo democratico, con Matteo Salvini che parla in serata di «crimine» con riferimento all'utilizzo del Mes. Un quadro in cui un organo tecnico del Mef, politicamente non responsabile, sta agendo in palese difformità rispetto alle indicazioni del governo, organo politico di riferimento. Inoltre, se possibile cosa ancora più grave, ciò avviene in totale spregio delle prerogative del Parlamento. Previste da una legge concepita alcuni anni fa proprio all'indomani della crisi del 2012, con la finalità di non far trovare l'organo legislativo di fronte al fatto compiuto delle decisioni dell'esecutivo in materia finanziaria.La rigidità del Mes è nota, ed esplicitamente prevista nel Trattato sul funzionamento della Ue, prima ancora che nello specifico Trattato istitutivo. Quello che non è noto è come sia possibile trascinare da settimane una trattativa sotterranea in cui il governo, a parole, dichiara una linea, e i fatti invece ne raccontano un'altra.A questo punto delle due, l'una: o c'è un funzionario infedele o c'è un governo che mente e sta prendendo delle decisioni senza avere la fiducia del Parlamento.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-giura-di-no-ma-litalia-ha-gia-dato-lok-alluso-del-mes-2645631047.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nuovo-siluro-da-berlino-a-maggio-i-giudici-decidono-sulla-legittimita-del-qe" data-post-id="2645631047" data-published-at="1585943379" data-use-pagination="False"> Nuovo siluro da Berlino: a maggio i giudici decidono sulla legittimità del Qe «Ci sarà pure un giudice a Berlino». Non si sa con certezza se fu Bertolt Brecht a coniare questa frase, ma di sicuro è diventata proverbiale. E potrebbe rivelarsi più che mai azzeccata per il destino dell'intera eurozona. Proprio con un giudice tedesco, dalla Corte costituzionale di Karlsruhe potrebbe arrivare un colpo fortissimo al «grande sogno» europeo. La cosa paradossale è che il tratto tipico della giurisprudenza tedesca, tesa a difendere le prerogative della democrazia e degli interessi nazionali, viene proprio dal Paese della Merkel, quello che, più di ogni altro si è giovato degli effetti di una moneta tagliata su misura e condivisa con altri paesi «deboli». Quindi, da un lato l'Italia, uno degli Stati più danneggiati dai parametri di Maastricht e di Lisbona si genuflette davanti alla Commissione e - pare - si appresta a pietire un contributo del Mes. Dall'altro lato i tedeschi si lamentano per i rischi che correrebbe la loro democrazia. Si trattasse solo di una questione accademica, potremmo relegarla a una faccenda di «spread» tra le diverse intellighenzie europee. In realtà c'è di più. I tedeschi intendono passare dalle parole, pur autorevoli, di uno dei loro più insigni giuristi ai fatti concretissimi di una sentenza della loro Corte costituzionale. Il 5 maggio prossimo venturo la Corte di Karlsruhe dovrebbe pronunciarsi in modo definitivo sulla legittimità giuridica del quantitative easing di Mario Draghi e, per estensione, sul bazooka appena sfoderato dopo gravissimi tentennamenti da Christine Lagarde. Il verdetto era atteso per il 24 marzo, ma il coronavirus ci ha messo lo zampino procrastinando l'esito del procedimento per evidenti ragioni superiori di salute pubblica. Tuttavia, se il Covid-19 dovesse attenuare la sua morsa nel mese di aprile, a maggio potremmo anche assistere alla detonazione di un'arma giuridica «nucleare» nel cuore stesso della Ue, con effetti in tutti i Paesi membri. Il supremo consesso giurisdizionale teutonico potrebbe dichiarare illegittimo il Qe per omesso rispetto del criterio del cosiddetto «capital key». In buona sostanza, è una regola in base alla quale l'Eurotower può acquistare debiti sovrani degli Stati membri, sui mercati secondari, solo in proporzione alla quota detenuta da ogni Paese nell'azionariato della Bce stessa. In effetti, il nuovo piano annunciato dalla Lagarde rischia di far saltare definitivamente le proporzioni nell'acquisto dei titoli tra i vari Paesi dell'eurozona, a favore degli Stati meno resilienti alla crisi Covid-19, come l'Italia. E questa anomalia i tedeschi non sono disposti ad accettarla. Del resto, già una volta (correva l'anno 2013) la Corte di Karlsruhe aveva sollevato - davanti alla Corte di giustizia dell'Unione europea -la legittimità del ventilato (e mai attuato) Omt (Outright monetary transaction), altrimenti detto «scudo anti spread»; con quest'ultimo strumento si ipotizzava l'acquisto senza limiti di titoli del debito pubblico di Paesi dell'area euro in eccessiva difficoltà sui mercati secondari a fronte di dovute «condizionalità». In quella circostanza, la decisione della Corte con sede in Lussemburgo arrise alla Bce. E la stessa Corte di Karlsruhe, che si era riservata comunque l'ultima parola in proposito, nel giugno 2016 aveva dichiarato anch'essa legittimo l'Omt. Ora il problema si ripresenta. La Corte tedesca torna a imputare agli gnomi di Francoforte di violare, di fatto, le regole europee che proibiscono gli aiuti agli Stati. Regole consolidate negli articoli 123, 124, 125, e 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e che sanciscono l'egoismo istituzionalizzato su cui si regge l'intera impalcatura dell'Unione. A prescindere da questo, ciò che più importa sono le conseguenze - sul piano giuridico e istituzionale, ma anche monetario in senso stretto - di una decisione della Corte di Karlsruhe contraria al quantitative easing. Ciò implicherebbe per il membro in quota Germania, all'interno del board della Bce il dovere di ritirare il proprio appoggio all'operazione di alleggerimento quantitativo sui mercati secondari. Ne discenderebbe, altresì, l'impossibilità per la Bce di procedere con quello che, fino a oggi, si è rivelato l'unico «scudo» (benché fragile e provvisorio) contro l'implosione dell'unione monetaria e, quindi, della Ue. Tolto l'ombrello della Bce, infatti, a uno Stato come il nostro non resterebbe che l'ultima spiaggia del Mes. Ovviamente, con l'applicazione di tutte le condizionalità che hanno già messo in ginocchio la Grecia. E che metterebbero, una volta per tutte, una pietra tombale sulla già precaria possibilità di considerare ancora la Repubblica italiana alla stregua di uno Stato sovrano e indipendente. www.avvocatocarraro.it <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-giura-di-no-ma-litalia-ha-gia-dato-lok-alluso-del-mes-2645631047.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="lasse-francotedesco-ha-preparato-il-piano-per-imporci-le-condizionalita" data-post-id="2645631047" data-published-at="1585943379" data-use-pagination="False"> L’asse francotedesco ha preparato il piano per imporci le condizionalità È in corso di confezionamento il «pacco» (più che il pacchetto) francotedesco, con Emmanuel Macron protagonista di una prevedibilissima mossa del cavallo: solo in prima battuta è stato alleato dell'Italia, ma poi si è impegnato a intestarsi la cosiddetta mediazione alla pari con Berlino. Esito a questo punto probabile: passa il «pacco»; un lavoro di cosmesi attenuerà - inizialmente - le condizionalità, che però potranno inevitabilmente spuntare in una fase successiva; e intanto, nella commedia comune, si consentirà anche ai commissariati (o ai commissariandi) italiani di simulare esultanza, come certamente si prepara a fare Giuseppe Conte. Nel frattempo, ci prendiamo l'ennesima umiliazione dal tutor e supervisore di Paolo Gentiloni, il solito cerbero lettone Valdis Dombrovskis, che alterna verso l'Italia carota (piccola) e bastone (nodoso). Ma procediamo con ordine. L'agenzia tedesca Dpa ieri pomeriggio ha anticipato i termini dell'accordo verso cui potrebbe andare l'Eurogruppo di martedì 7, sulla base di un «approccio proposto da Germania e Francia» - scrive Dpa - e basato «su tre pilastri». Primo punto: un fondo di garanzia istituito dalla Bei e indirizzato ad «aiutare le Pmi in crisi di liquidità con prestiti fino a 50 miliardi». L'esiguità della somma, considerando i 27 Paesi e il numero di imprese potenzialmente coinvolte, è evidente. La beffa è completata dal fatto che «agli Stati membri (la Bei conferma tutti e 27, ndr) potrebbe essere chiesto di finanziare il fondo per la parte eccedente il budget Ue». Secondo punto: il famoso Sure, definito da Dpa «uno strumento proposto dalla Commissione, del valore di 100 miliardi», per la cassa integrazione. Anche qui si tratta di un fondo, gli Stati dovrebbero garantire per 25 miliardi, e l'esito sarebbe comunque un prestito. E al terzo punto ricompare il Mes, superficialmente oggetto di maquillage: la Dpa si limita a dire «che dovrebbe estendere una linea di credito per un valore fino al 2% del Pil degli Stati che vi fanno ricorso». Morale: l'Italia rischierebbe di farsi ingabbiare per una somma contenuta, i 36-38 miliardi previsti, non un euro di più. Naturalmente, se questo fosse l'esito, lo spin di Palazzo Chigi e della stampa compiacente tenterà di attenuare il fattore della condizionalità, in particolare adducendo il fatto che al pacchetto aderiranno tutti. Peccato che però, in base ai trattati, chi è in condizioni più fragili di finanza pubblica possa subire un rafforzamento dei controlli e un appesantimento delle condizionalità, anche in seconda battuta. Intanto, come il postino (e il destino) del romanzo di James M. Cain, anche Dombrovskis suona sempre due volte. Ieri mattina, su Repubblica, ha evocato, a proposito del Mes, «una qualche forma di condizionalità», definendola «legalmente necessaria»; ieri pomeriggio ha rincarato la dose in una live chat, dapprima ribadendo che il Mes va usato («a condizioni favorevoli»), e poi aggiungendo che, dopo l'emergenza, i governi devono prepararsi a far rientrare il deficit, di fatto facendo intendere che il Patto di stabilità, per ora sospeso, tornerà in vigore. A Stefania Craxi non è sfuggito un passaggio, quello in cui il lettone parla della pandemia come «un pretesto per minare la legalità». Durissima la Craxi: «Le parole di Dombrovskis denotano l'ottusità e la sfrontatezza di certo europeismo di maniera che non conosce né buonsenso, né decenza, né tantomeno ha preso contezza dell'emergenza sanitaria, ancor prima che economica, in cui versano alcuni Paesi europei».
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