2020-02-22
Conte dà battaglia sul nuovo bilancio per regalare più soldi a Bruxelles
Al contrario del blocco di Visegrad, Roma si impunta per alzare i tetti di spesa al Consiglio europeo. L'Italia è già contributrice netta e con le future norme fiscali la situazione può peggiorare. Alla fine l'accordo sfuma.Basta tagli, vogliamo pagare di più. È la sintesi del messaggio che ieri Giuseppe Conte ha recapitato ai colleghi impegnati nella trattativa per definire il nuovo bilancio dell'Unione europea. Conte ha giudicato «inadeguata» la proposta presentata l'altro ieri dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che prevedeva un tetto pari a 1,074% del reddito nazionale lordo. La proposta di Michel, in realtà, è stata bocciata dalla maggior parte degli Stati membri già alla vigilia del Consiglio. Anche se per motivi discordanti e opposti. Come Conte, anche il francese Emmanuel Macron, la tedesca Angela Merkel e lo spagnolo Pedro Sánchez, hanno ritenuto il documento «insoddisfacente». La stessa presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha annunciato un negoziato «lungo e duro» e ha chiesto che vengano salvaguardate le risorse per un bilancio «moderno», ovvero che possa finanziare i pilastri della politica Ue, dal green deal al digitale alla difesa. In serata la plenaria dei leader è stata sospesa per permettere a Michel di incontrare uno per uno i 27 leader. Il tutto inutilmente perché alla fine non si è trovato un accordo definitivo. La maggior parte delle nazioni ritiene lo schema del presidente troppo esoso perché caricherebbe sui singoli bilanci la fuoriuscita della Gran Bretagna. È al contrario comprensibile che Francia, Germania e soprattutto Bruxelles remino nella direzione opposta: più risorse vanno alla direzione centrale, più potere ha la Commissione. Più soldi ci sono da spendere più Francia e Germania riescono a coordinare progetti a favore del trattato di Acquisgrana. Cioè a favore di loro stesse. Non a caso ieri il presidente dell'Europarlamento, il dem David Sassoli, ha lanciato l'allarme contro i tagli. A suo dire servono più fondi oltre che per l'Erasmus anche per le migrazioni. «Sulle migrazioni il Consiglio taglia soldi per le politiche migratorie e non prende neppure in considerazione la riforma di Dublino votata dall'Europarlamento», ha sentenziato Sassoli palesando, se ancora ce ne fosse bisogno, la linea politica dem di continuo allineamento con i diktat di Bruxelles. La stessa linea più realista del re che sta portando avanti Conte per cercare di garantirsi la poltrona per il resto della legislatura.È, infatti, necessario tenere conto di un aspetto fondamentale. L'Italia è contributore netto. Dal 2012 al 2018 (incluso) il nostro Paese ha versato più o meno 113 miliardi e ne ha avuti indietro 74,5. Un differenziale di oltre 37 miliardi che sta a indicare la necessità di un riequilibrio. Non di un aggravamento del trend, come vorrebbe Conte. L'uscita della Gran Bretagna è l'occasione buona per rivedere gli equilibri contributivi, invece il governo sceglie l'opzione del peggioramento della forchetta. Un'eventualità inevitabile per almeno tre motivi. Il primo riguarda l'aumento del contributo netto a di percentuale invariata, per via del buco lasciato dalla Brexit. Il secondo riguarda l'Iva. Va ricordato che i trasferimenti di gettito oltre confine sono commisurati ai livelli di Iva raccolta dal fisco locale. Negli ultimi anni l'introduzione della fatturazione elettronica, degli scontrini digitali, unitamente a un potenziale aumento dell'imposta nel 2021, alzeranno in futuro il gettito complessivo dell'Iva. E quindi l'Italia verserà di più a Bruxelles. Infine, c'è all'orizzonte la possibilità che l'Ue, a partire dal 2021, cominci a raccogliere tasse in modo autonomo. Il progetto è realizzare a livello transnazionale Web tax, Carbon tax e Tobin tax. Le tre imposte finanzierebbero direttamente il 40% delle attività coordinate da Bruxelles. A quel punto, Roma si troverebbe contributrice netta del 60% in arrivo dalle casse nazionali e contributrice primaria del 40% legato alle tre imposte transnazionali. Siamo, infatti, un'economia di largo consumo e al tempo stesso una piazza finanziaria molto attiva. In pratica, ci troveremmo a versare a Bruxelles ancora di più di quanto oggi Conte vorrebbe concedere. Per fortuna in queste ore sembra prevalere il blocco di Visegrad. Che al momento vorrebbe convincere Michel a fare un taglio complessivo di almeno 10 miliardi. Gli impegni arriverebbero a quota 1,069% del reddito lordo e i pagamenti sarebbero attorno all'1,05%. Grossomodo saremmo un po' più vicini ai livelli indicati dagli Stati «frugali». Complessivamente, tutte le voci, secondo questo documento tecnico, sono state ritoccate mantenendo sostanzialmente l'equilibrio tra le varie partite con un minimo aumento simbolico della spesa per i nuovi settori di intervento diversi dalle classiche voci «agricoltura e coesione».Per esempio la mobilità dei militari nell'Ue non sarà più finanziata dal bilancio Ue, ma da accordi bilaterali tra gli Stati; saranno ridotti notevolmente i margini di riserva per permettere la riduzione il volume del bilancio. Le riserve sarebbero usate per limitare i tagli alla coesione, ai pagamenti diretti e allo sviluppo rurale. Michel ieri però non ha chiuso la partita. La Merkel ha ritenuto che le distanze tra le posizioni sono troppo ampie e che sarà il caso di prendere tempo. Vedremo che succederà al prossimo Consiglio Ue. Nel frattempo il ministro per gli Affari Ue, Vincenzo Amendola, ha chiuso la giornata con un tweet piddino doc. Ovviamente chiedendo più Europa.
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.