2019-11-16
Conte peggio di Monti: ha già venduto l'Italia
Ignazio Visco, governatore di Bankitalia, critica la riforma del Fondo salvastati: «L'Italia rischia». Peccato che il testo sia di fatto definitivo, senza che del suo iter si sia saputo quasi nulla. Su questi dossier, malgrado l'etichetta di populista, il premier è stato un nuovo Mario Monti.Il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, prende posizine sulla riforma del Fondo salvastati in via di approvazione. «I piccoli e incerti benefici di una ristrutturazione del debito devono essere bilanciati con il rischio enorme che il semplice annuncio della sua introduzione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default, le quali potrebbero rivelarsi auto-avverantesi». Nel consesso più che ufficiale del seminario Official monetary and financial institutions forum - Bankitalia, Visco ha parlato ieri in questi termini del Mes (intervento completo in inglese al sito bit.ly/2qVv0sh), confermando al massimo livello istituzionale le preoccupazioni più volte espresse da alcune forze politiche - tra cui la Lega - di cui questo giornale ha dato spesso conto. La riforma intende far evolvere il vecchio Fondo salvastati in un meccanismo di stabilizzazione dei rischi sui debiti sovrani, rendendo automatiche procedure e condizionalità di ricorso allo «scudo».Il paradosso di fondo è che il testo finisce per amplificare le disuguaglianze tra Paesi, ponendo paletti più duri proprio per gli Stati con finanze pubbliche più problematiche. Con due problemi specifici: primo, l'Italia rischia di dover contribuire (abbiamo già versato decine di miliardi di euro) anche in futuro avendo la quasi certezza di non essere mai beneficiaria. Secondo: qualora Roma dovesse un giorno perdere l'accesso al mercato e dunque chiedere aiuto, sarebbe sottoposta alla cosiddetta Dsa, ovvero un'analisi di sostenibilità del debito. Di che si tratta l'ha spiegato giovedì l'ex pd Giampaolo Galli in audizione alle commissioni riunite Bilancio e Politiche Ue: un gruppo di tecnici con un'immunità ancora più forte di quella dei membri della Bce dovrebbe stilare una pagella sul nostro debito, che in caso di insufficienza porterebbe alla sua ristrutturazione. Cioè un massacro economico sistemico per i sottoscrittori (soprattutto domestici) e per chi ce l'ha in pancia, ovvero il nostro sistema bancario. Una bomba potenzialmente in grado di sfasciare l'intera eurozona. Non male, per uno strumento concepito per salvarla. È questo che - giustamente - allarma Visco, che rischia però di arrivare tardi, come nel caso del bail in del 2015.«Ma allora il Mes è uno strumento di coercizione alla politica economica italiana?», chiede un onorevole nell'audizione di Galli . «Più sì che no», dice l'ex Confindustria, che poi cercherà di spostare il tiro. In realtà, sia lui sia Visco sono chiarissimi: il primo parla di una riforma che può solo crearci problemi, il secondo dice che va «maneggiata con cura».Ma se questi sono i rischi, che ha fatto fin qui l'Italia? Solo Giuseppe Conte e Giovanni Tria possono dare una risposta. Perché il cammino del Mes è uno spaccato perfetto di cosa significhi, in concreto, l'europeismo posto come pietra fondativa del governo giallorosso.Il 7 novembre scorso Mario Centeno, il presidente dell'Eurogruppo (riunione informale dei 19 ministri economici dell'eurozona) ha diffuso un comunicato in cui spiega l'avanzamento dei lavori (bit.ly/2QoHC5I). Vi si legge che «abbiamo ampiamente concordato sulle modifiche al trattato in giugno [...]. L'obiettivo è di concludere l'intero pacchetto entro dicembre. [...] C'è stato un intenso lavoro tecnico e alcuni dei documenti legali sono stati concordati e approvati definitivamente. In particolare, le linee guida per il nuovo Esm e la metodologia comune per il Dsa». È la «pagella sul debito» citata da Galli: la certificazione che ormai la partita è chiusa. Senza che neppure il Parlamento italiano sappia cos'hanno fatto i rappresentanti del governo, tanto che Pier Carlo Padoan si è interrogato sul mandato da dare a Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri per i restanti meeting conclusivi, che riguarderanno il dettaglio dei rapporti tra Commissione e Mes. Il premier precedente, che poi è lo stesso, un mandato però ce l'aveva: sia la Lega sia il M5s si erano dichiarati contrari alla riforma del Mes. Il Carroccio aveva inoltre chiesto lumi al governo e al ministro Tria. In assenza di dichiarazioni (che sarebbero però previste dalla legge Moavero del 2012), è più che lecito supporre che a fronte di testi «considerati di fatto non più emendabili» (Galli dixit) l'Italia abbia dato il suo assenso a un passaggio che potrebbe far impallidire il Fiscal compact della stagione montiana. Una norma che probabilmente arriverà in Aula senza che nessuno possa materialmente avere contezza del percorso che l'ha determinata. Con la differenza che nel 2011/12 Monti era percepito come il censore che imponeva l'amara ricetta di austerità europea, mentre l'avvocato del popolo - in teoria - era una faticosa sintesi della domanda politica simmetricamente opposta. Un passaggio che rende piuttosto inservibili le categorie di europeismo, populismo e simili.A completare il quadro della «protezione» offerta al nostro Paese dalle istituzioni comunitarie c'è la proposta tedesca sull'Unione bancaria, osteggiata in chiaro da Visco e dal ministro dell'Economia Gualtieri. L'idea - sfrenata al limite della provocazione - è di accelerare la dismissione di Npl e titoli di Stato considerati più a rischio: praticamente una doppia pistola puntata alla tempia delle nostre banche.In attesa che il premier spieghi come ha partecipato fin qui al negoziato quantomeno opaco (questi consessi europei decisivi non registrano votazioni, ma procedono per generico consenso), va preso atto dello spettacolo sconcertante di una riforma che potrebbe vincolare la nostra politica economica per decenni senza che nessun organo rappresentativo abbia avuto un'idea complessiva di cosa contiene: un problema di democrazia, più che di Europa.