
La lettera del premier scatena i vice. Il leghista: «Fiducia persa». E medita di salire al Colle. Il grillino: «Se vuole la crisi lo dica».Un tira e molla continuo: Lega e M5s continuano a darsele di santa (questa volta, con più violenza del solito) ragione attraverso comunicati stampa, interviste, post sui social. A mostrare i muscoli è in particolare Matteo Salvini, che con il Pd spaccato sull'ipotesi di un'alleanza col M5s in caso di caduta del governo, e con Luigi Di Maio che attacca i Dem, con toni pesantissimi, sa di avere il pallino del gioco nelle sue mani: se la situazione precipitasse, se Giuseppe Conte andasse a casa, le uniche due prospettive sarebbero nuove elezioni o una maggioranza di centrodestra con lo stesso Salvini primo ministro e il sostegno di una nutrita pattuglia di «responsabili» pronti a mollare il M5s pur di non scollarsi dalla poltrona parlamentare.Una giornata politica incandescente, quella di ieri, aperta da una lettera del premier Giuseppe Conte a Repubblica, il cui finale è particolarmente significativo: «Ho assunto un alto incarico», scrive Conte, «sulla base di una specifica maggioranza con un progetto di governo ben definito. Se questa esperienza di governo dovesse interrompersi in via anticipata, non mi presterò, tuttavia, a operazioni opache o ambigue. Assicuro», precisa il premier, «che il percorso si realizzerà in modo lineare e trasparente, nelle sedi appropriate, per rispetto del parlamento e dei cittadini». Frasi sibilline, che in realtà non escludono nessuno scenario, neanche quello di un Conte bis, magari con il sostegno di una maggioranza diversa. Eppure, Salvini e Di Maio non mancano di lanciarsi segnali di fumo in politichese stretto, escludendo il primo ogni ipotesi di maggioranza alternativa di centrodestra e l'altro tagliando i ponti col Pd. «Oltre questo governo», dice Salvini, «ci sono solo le elezioni». «Io col Pd», attacca Di Maio, «non ci voglio avere nulla a che fare, con il partito di Bibbiano che toglieva i bambini alle famiglie con l'elettroshock per venderseli non voglio averci nulla a che fare e sono stato in questo anno quello che più ha attaccato il Pd». Una dichiarazione pesantissima, che provoca la querela da parte del Pd.Torniamo alla cronaca degli attacchi incrociati tra gli alleati di governo: «C'è una mancanza di fiducia anche personale», dice Salvini a Helsinki, rispondendo a chi gli chiede dei rapporti col M5s, «perché io mi sono fidato per mesi e mesi. La finestra elettorale per votare in autunno si sta chiudendo? A parte il fatto che la finestra è sempre aperta, sicuramente noi, i parlamentari della Lega, siamo gli ultimi ad essere attaccati alla poltrona, non so gli altri. Se ho apprezzato la lettera di Conte? No». A chi gli chiede se, in caso di caduta del governo, si andrebbe al voto, Salvini risponde: «Per la Lega dopo questo governo non ci sono altri governi possibili. Se questo governo non ha più ragione di andare avanti», sottolinea il ministro dell'Interno, «perché i no prevalgono sui sì allora la via è quella del voto, sperando che non ci siano maggioranze raccolte sul marciapiede perché qualcuno non vuole mollare la poltrona». Inevitabilmente, al leader del carroccio non sono andati giù gli attacchi dell'alleato sull'affaire Savoini: «Cosa c'è da insabbiare? Andrò presto in Parlamento nelle forme che chiarirò». Salvini ribadisce i temi sui quali non è più disposto ad aspettare: approvazione del decreto sicurezza bis, autonomia, riforma della giustizia, sblocco dei cantieri. Temi cari ai territori, bloccati da troppo tempo, tanto che parlamentari e dirigenti locali gli chiedono di staccare la spina. «Se rimane tutto bloccato», dice il leader della Lega, «che stiamo a fare, non ha senso. Mi sembra chiaro ed evidente che qualche ministro del M5s non abbia dato il massimo, non lo dico io, lo sa benissimo anche Di Maio». Una richiesta di rimpasto? Possibile. Infine, Salvini annuncia che oggi non parteciperà «per altri impegni» né al Consiglio dei ministri né al vertice sull'autonomia.Durissime anche le dichiarazioni di Luigi Di Maio: «Se la Lega vuole far cadere il governo», dichiara il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, «lo dica chiaramente e se ne prenda la responsabilità. Io ogni giorno cerco di portare a casa i risultati ma con questo clima si fa male al paese e quando si minaccia di far cadere il governo il risultato è che gli investitori non investono, perché si ritrovano un clima di incertezza e attendono il governo successivo. Il M5s al governo con il Pd», prosegue Di Maio, «è un attacco per fare notizia e coprire il caso dei fondi russi, ma questa è una falsità, una falsità volgare che ci ritroviamo ogni giorno. Si deve portare rispetto al M5s e oggi se vogliamo seguire questo schemino di Salvini chi è al governo con Berlusconi, in tutte le Regioni, è la Lega. Chi sta al governo con Renzi sull'affossamento del salario minimo, sul Tav, su Radio Radicale, ovvero Radio Soros, è sempre la Lega». «Siamo stati colpiti alle spalle», avrebbe aggiunto Di Maio parlando con alcuni i suoi fedelissimi, «le offese e le falsità dette nelle ultime 48 ore contro il M5s non hanno precedenti. Anche contro di me. Un mare di fake news solo per screditarci, quel che è accaduto è gravissimo». Ieri sera sono circolate voci che riferivano di un Salvini pronto a salire al Quirinale per comunicare al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l'imminente apertura della crisi di governo.
Il neo sindaco di New York Zohran Mamdani (Ansa)
Il sindaco di New York non è un paladino dei poveri e porta idee che allontanano sempre più i colletti blu. E spaccano l’Asinello.
La vulgata giornalistica italiana sta ripetendo che, oltre a essere uno «schiaffo» a Donald Trump, la vittoria di Zohran Mamdani a New York rappresenterebbe una buona notizia per i diritti sociali. Ieri, Avvenire ha, per esempio, parlato in prima pagina di una «svolta sociale», per poi sottolineare le proposte programmatiche del vincitore: dagli autobus gratuiti al congelamento degli affitti. In un editoriale, la stessa testata ha preconizzato un «laboratorio politico interessante», sempre enfatizzando la questione sociale che Mamdani incarnerebbe.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 7 novembre con Carlo Cambi
Il luogo dell'accoltellamento a Milano. Nel riquadro, Vincenzo Lanni (Ansa)
Nei principali Paesi europei, per essere riconosciuto «pericoloso» basta la segnalazione di un medico. Qui invece devi prima commettere un delitto. E pure in questo caso non è detto che una struttura ti accolga.
Vincenzo Lanni, l’accoltellatore di Milano, aveva già colpito. Da condannato era stato messo alla Rems, la residenza per le misure di sicurezza, poi si era sottoposto a un percorso in comunità. Nella comunità però avevano giudicato che era violento, pericoloso. E lo avevano allontanato. Ma allontanato dove? Forse che qualcuno si è preso cura di Lanni, una volta saputo che l’uomo era in uno stato di abbandono, libero e evidentemente pericoloso (perché se era pericoloso in un contesto protetto e familiare come quello della comunità, tanto più lo sarebbe stato una volta lasciato libero e senza un riparo)?
Ansa
Dimenticata la «sensibilità istituzionale» che mise al riparo l’Expo dalle inchieste: ora non c’è Renzi ma Meloni e il gip vuole mettere sotto accusa Milano-Cortina. Mentre i colleghi danno l’assalto finale al progetto Albania.
Non siamo più nel 2015, quando Matteo Renzi poteva ringraziare la Procura di Milano per «aver gestito la vicenda dell’Expo con sensibilità istituzionale», ovvero per aver evitato che le indagini sull’esposizione lombarda creassero problemi o ritardi alla manifestazione. All’epoca, con una mossa a sorpresa dall’effetto immediato, in Procura fu creata l’Area omogenea Expo 2015, un’avocazione che tagliò fuori tutti i pm, riservando al titolare dell’ufficio ogni decisione in materia.






