2024-07-23
La Consulta salva la manovra e Speranza
Roberto Speranza (Imagoeconomica)
Per i giudici il payback sanitario, ovvero gli extra costi del Ssn riversati sulle aziende del settore, è «costituzionalmente legittimo». Un «contributo solidaristico» che evita un buco di 3,6 miliardi per l’Erario. Ma così le colpe del pubblico ricadono sempre sui privati.Alla Consulta sono serviti due mesi esatti per decidere e sentenziare sul payback, gli extra costi sanitari che con il governo Draghi, per mano di Roberto Speranza e Daniele Franco, sono stati ribaltati sulle aziende del settore. I togati si sono riuniti grazie alla pioggia di ricorsi delle imprese di device sanitari su cui è ricaduta la tassa. O meglio, la patrimoniale che nel complesso (periodo tra il 2015 e il 2018) vale circa 3,6 miliardi. I ricorsi sono scattati perché molte imprese si sono trovate a tagliare non solo i bilanci, ovviamente, ma anche il personale. Con il risultato che, per colpe palesemente in capo alla pubblica amministrazione e alle Regioni, la disponibilità di strumentazione e applicazioni sanitarie si è fortemente contratta. L’idea originaria (inserita in decreto dal governo Renzi) era quella di imporre ai fornitori della Pa di concorrere a ritroso a eventuali inefficienze dello Stato o delle Regioni. A queste aziende, celebrate ai tempi del Covid, non è però stata data la possibilità di organizzarsi (la tassa è a tutti gli effetti retroattiva e incide sul fatturato e non sugli utili) e di gestire l’uscita dai contratti in essere anche se diventati un mero costo. Le 4.000 imprese del comparto aspettavano con il fiato sospeso la sentenza partorita ieri pomeriggio. Dovranno invece fare i conti con i cocci rotti che i giudici non sono intenzionati a rimettere insieme.Infatti la Consulta ha salvato l’operato di Speranza e Franco definendo il payback costituzionalmente legittimo. «La sentenza», si legge nella nota dei togati diffusa ieri, «ha rilevato che il payback presenta di per sé diverse criticità, ma non risulta irragionevole in riferimento all’articolo 41 della Costituzione, quanto al periodo 2015-2018». Esso, infatti, «pone a carico delle imprese per tale arco temporale un contributo solidaristico, correlabile a ragioni di utilità sociale, al fine di assicurare la dotazione di dispositivi medici necessaria alla tutela della salute in una situazione economico-finanziaria di grave difficoltà. Il meccanismo», prosegue la sentenza, «non risulta neppure sproporzionato, alla luce della significativa riduzione al 48% dell’importo originariamente posto a carico delle imprese, riduzione ora riconosciuta incondizionatamente a tutte le aziende in virtù» di una sentenza del 2023 prodotta sempre dalla Consulta su ricorso della Regione Campania. I giudici hanno smontato anche la questione della retroattività. Per un motivo tanto semplice quanto, a nostro avviso, discutibile. L’intervento del governo Draghi ha, infatti, messo a terra con decreti attuativi specifici quanto un precedente governo aveva deciso. Matteo Renzi, però, dopo aver fatto la legge, né l’ha resa operativa né si è premurato di fornire alle aziende dettagli utili. Tant’è che solo i colossi (e pochi) avevano accantonato fondi. Tutte le Pmi, in costante sofferenza di liquidità anche per via dei perenni ritardi nei pagamenti da parte della Pa, non hanno potuto accantonare preventivamente fondi per l’imposta. Risultato? La decisione di Speranza e Franco è, nei fatti, arrivata come una doccia fredda. Al di là dei tecnicismi, ci sembra di essere tornati ai tempi del ricalcolo delle pensioni e del taglio degli assegni considerati ricchi. I giudici, all’epoca, con gran perifrasi ammisero che l’utilità sociale e i conti pubblici avevano la priorità. Così oggi. Vale la pena sottolineare due righe all’interno della nota della Consulta: «Un contributo solidaristico, correlabile a ragioni di utilità sociale». Esattamente il concetto secondo cui il bene comune sarebbe eticamente superiore a quello individuale.Tradotto? Le aziende possono andare in rosso e licenziare personale perché il bene dello Stato è superiore. Comprendiamo che la Consulta - ma è solo una nostra sintesi - abbia preferito evitare di creare un buco di bilancio da 3,6 miliardi. Tanto più in una fase delicata come l’attuale che vede l’applicazione del nuovo patto di Stabilità. Al Mef, ieri, avranno tirato un sospiro di sollievo. La manovra, già complessa, sarebbe diventata un calvario. Però duole vedere che le colpe del pubblico ricadano sempre su chi ne è o cliente o fornitore. Un po’ la differenza che c’è tra l’essere cittadini e sudditi. Duole, infine, doppiamente leggere la sentenza e sapere che i due ministri che hanno trovato la scappatoia per tappare i buchi ne escano completamente illesi. Soprattutto dal punto di vista politico.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)