2024-06-20
L’ultimo argine sul fine vita in Italia può cedere sotto i colpi della Consulta
La Corte costituzionale riapre la discussione e potrebbe arrivare a contraddire la sua sentenza del 2019, stabilendo che anche aiutare i pazienti non attaccati ai macchinari a suicidarsi non deve costituire reato.Una Consulta che corregge sé stessa, a cinque anni di distanza dalla precedente sentenza, sarebbe un evento più unico che raro. Eppure, è di questo che si è dibattuto ieri, nell’udienza pubblica sul fine vita. Si tratta di un nuovo caso che coinvolge il radicale Marco Cappato e le attiviste Filomena Gallo e Felicetta Maltese, esponenti dell’associazione Soccorso civile. Nel 2022, i tre si denunciarono ai carabinieri di Firenze, perché avevano accompagnato a morire in Svizzera Massimiliano, un quarantaquattrenne toscano affetto da sclerosi multipla. La Procura, a ottobre 2023, aveva chiesto l’archiviazione, respinta però dal gip, in quanto la condotta degli indagati non ricadeva nelle ipotesi scriminanti introdotte dalla Corte costituzionale. Il verdetto sulla vicenda di dj Fabo esclude la punibilità di chi coopera al suicidio di un individuo a tre condizioni: se egli soffre di una patologia irreversibile, tale da causare sofferenze fisiche o psicologiche insopportabili; se è capace di decidere in maniera libera e consapevole; se dipende da sostegni vitali. Ossia se, per non morire di stenti o per soffocamento, deve restare collegato a un respiratore ed essere alimentato tramite sondini. Massimiliano, invece, pur avendo bisogno di assistenza da parte di persone terze, respirava e deglutiva da sé.È proprio su questo requisito che dovrà pronunciarsi la Consulta, su sollecitazione del giudice fiorentino Agnese Di Girolamo. A suo avviso, la clausola si pone in contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 32 e 117 della Costituzione e con gli articoli 8 e 14 della Convenzione europei dei diritti dell’uomo, giacché «discrimina irragionevolmente tra situazioni per il resto identiche» e «discende da circostanze del tutto accidentali», «senza che tale differenza rifletta un bisogno di protezione più accentuato». In parole povere, per il magistrato è arbitrario distinguere un malato attaccato a un macchinario da uno che non lo è.Ieri, a margine dell’udienza, Cappato si è difeso davanti ai microfoni dei giornalisti: «Abbiamo aiutato Massimiliano perché ritenevamo fosse nostro dovere farlo per aiutarlo a interrompere una situazione di tortura a cui era sottoposto. Se tornassimo indietro, lo rifaremmo per lui e per tutte le persone che sono nelle sue condizioni». L’ex candidato del centrosinistra alle suppletive 2023 di Monza ha criticato la scelta del governo, che si è costituito per chiedere che la questione di legittimità costituzionale venga dichiarata inammissibile, o almeno infondata. Cappato lamenta di essere esposto, insieme alle due coindagate, «a una condanna da 5 a 12 anni». E per gradire, è tornato ad agitare lo spettro del fascismo (il reato di aiuto al suicidio risale a un regio decreto del 1930). Anche Lucia Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera, si è scagliata contro l’Avvocatura dello Stato, definendo la sua posizione «un vero e proprio sabotaggio della sentenza della Consulta sul fine vita». Deve esserle sfuggito che, semmai, a mettere in discussione l’impalcatura del 2019, sono i radicali; al governo tocca difenderla. Il punto è delicatissimo e non merita di essere banalizzato.Gli avvocati della presidenza del Consiglio constatano che accogliere l’obiezione della toga toscana stravolgerebbe, «in senso irragionevolmente ed ingiustificatamente ampliativo», l’impianto risalente a cinque anni fa. Finalmente, il potere esecutivo reagisce alla tendenza che da anni denunciamo sul giornale: la Consulta che si sostituisce al Parlamento. Dopo avergli intimato di legiferare con un ultimatum di un anno, dopo essere intervenuta al suo posto con la decisione sul caso dj Fabo, la Corte finirebbe per varare la riforma della riforma. La linea dell’Avvocatura dello Stato, dunque, è che si debbano potenziare le cure palliative, ma non allargare ulteriormente le maglie della norma. A quanti obiettano che l’Aula, sulla questione, è inerte, bisognerebbe ricordare che persino quello, in alcune circostanze, è un orientamento legittimo: la difficoltà di trovare un’intesa può rispecchiare le divisioni dell’opinione pubblica. Non sfugga, poi, che eliminare il paletto dei sostegni vitali spalancherebbe le porte a una vastissima liberalizzazione della pratica del «suicidio medicalmente assistito». Forse ce ne sarebbe abbastanza per arrivare al parossismo dell’Olanda: lì è cresciuto il numero degli anziani depressi ai quali è stato riconosciuto il diritto alla «dolce morte». D’altronde, un disturbo psichiatrico può arrivare a essere considerato irreversibile; di certo, può causare patimenti intollerabili; l’unico argine sarebbe la valutazione della capacità di intendere e volere del malcapitato. Un limite che, nei Paesi Bassi e in altri Stati con una legislazione simile, si è rivelato piuttosto fragile.È improbabile che oggi arrivi un verdetto. Più facile che si debba attendere qualche settimana. E così, nella canicola estiva, l’Italia potrebbe ritrovarsi con una nuova legge sul fine vita, imposta ancora dai giudici.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)