
Il commissario si lamenta per il calo del 20% nelle forniture di Moderna, ma per terminare la «fase uno» bastano i vaccini della Pfizer. A mancare non sono le dosi, ma personale sanitario, siringhe e unità mobili.«Dopo Pfizer e Astrazeneca, anche Moderna ci ha appena informato che per la settimana del 9 febbraio delle previste 166.000 dosi ne consegnerà 132.000, il 20% in meno». Il Commissario per l'Emergenza, Domenico Arcuri, ha iniziato così la sua conferenza stampa settimanale. Esprimendo tutto il suo «stupore, preoccupazione e sconforto» perché «ormai quasi ogni giorno le previsioni subiscono una rettifica». Non per propaganda, ma per fare il nostro mestiere, ricordiamo che il vaccino Moderna andrebbe usato soprattutto per vaccinare gli ultraottantenni perché sono consigliati sopra i 18 anni e soprattutto devono essere trasportati e conservati a una temperatura compresa tra -25 e -15 gradi, molto meno stringente rispetto ai -80 gradi di Pfizer, consentendo una distribuzione più semplice. Quindi serviranno soprattutto per il prossimo step, mentre gran parte delle Regioni stanno ancora terminando la Fase Uno. E per quella bastano le dosi Pfizer: le consegne sono ripartite e lunedì arriveranno altri lotti. Ricordiamo anche che Moderna ha una supply chain sparsa tra diversi Paesi: ha fatto un accordo con Lonza in Svizzera per alcuni ingredienti che, una volta prodotti, vengono poi surgelati e inviati in un laboratorio di Madrid per finissaggio e infialamento, mentre l'etichettatura finale viene fatta in Belgio nell'hub della svizzera Kuhne-Nagel che si occupa anche delle spedizioni. La società ha già firmato un accordo per utilizzare uno stabilimento francese per allargare la produzione, ma per approntare e certificare le linee serve tempo. La logistica è dunque complessa senza dimenticare che il vaccino è nuovo e ancora più avanzato di quello Pfizer. Arcuri si ricorda però che il vaccino «non è una bibita né una merendina» e che «non basta scoprirlo, serve anche produrlo», solo quando parla di quello di Reithera. Di cui presto l'Invitalia guidata dallo stesso Arcuri diventerà azionista e che sarà pronto, forse, a ottobre. La scelta «autoctona» non è casuale. Il governo «sta lavorando affinché non si debba subire neanche un solo giorno di rallentamento perché non ci sono le componenti e le infrastrutture per produrlo nelle quantità che ci aspettiamo». Tradotto: gli investimenti pubblici su Reithera e sulla produzione del farmaco a base di anticorpi monoclonali di Toscana Life Sciences sono legate alla creazione di un piano di polo farmaceutico pubblico incentrato su Invitalia. Torniamo ai numeri. «Dal 5 al 15 gennaio, cioè il giorno in cui Pfizer ha annunciato i primi ritardi, ha continuato Arcuri, «erano stati somministrati 81.545 dosi di vaccino al giorno. Dal 16 al 25 gennaio, invece, «ne abbiamo somministrate 39.271 al giorno, meno della metà». Il perché, ha aggiunto «è semplice e grave: non abbiamo i vaccini che ci era stato assicurato avremmo ricevuto, sono stati ridotti unilateralmente e senza nemmeno avvisarci. E continuano a essere ridotti». A sentire il Commissario la situazione pare davvero drammatica. Ma dipende dai numeri che si guardano: basta notare che giovedì sono state eseguite 88.882 somministrazioni, di cui 85.171 come richiami e 3.651 come prime dosi. Sempre a fine giornata di giovedì, le scorte a livello nazionale erano pari al 25% del consegnato, senza contare Moderna. Se c'è un tappo, questo riguarda i vaccinatori e non i vaccini. Dove sono le siringhe, le unità mobili, gli infermieri? «Oggi arrivano sul territorio i primi medici e infermieri selezionati a seguito della nostra chiamata», ha assicurato ieri. «Su 26.690 domande pervenute continuiamo la selezione, stiamo contrattualizzando altre centinaia di oltre 2 mila medici selezionati». Per la verità, durante la conferenza stampa del 21 gennaio lo stesso Arcuri aveva annunciato l'arrivo di 2.000 rinforzi per il 25 gennaio e altri 2.000 per questa settimana. Poi, il lapsus: 2.000 medici selezionati e infermieri non pervenuti. «Cerchiamo di arrivare a 12.000 tra medici e infermieri per rafforzare le strutture impegnate di giorno e di notte in questa emergenza», ha infatti aggiunto ieri. Confermando implicitamente che di infermieri non ce ne sono. Quindi: o si pagano i medici come medici mettendoli però a fare le iniezioni, con il rischio però che salti il budget, oppure si cerca di pagare i medici come infermieri, e allora rischiano di saltare i medici.Arcuri ieri è infine tornato sull'equivoco della sesta dose dei vaccini Pfizer che ha tenuto banco nelle ultime settimane. «Potevano chiederci se volevamo pagare il 20% in più perché ci davano una dose in più o se volevamo stabilire insieme in questo anno quando ci avrebbero ridotto le dosi. Non è stato fatto» e «dal punto di vista contrattuale abbiamo avviato un contenzioso». Attenzione: Arcuri dimentica che Pfizer questa domanda l'ha fatta non a lui, referente solo del contratto d'ordine, ma alla Commissione Ue con cui si siedono al tavolo le case farmaceutiche. E la Ue una risposta l'ha evidentemente data (di qui il rallentamento terminato il 25). Infatti il «caso Pfizer» a livello europeo non c'è più, resta solo la diffida di Arcuri.
Il luogo dell'accoltellamento a Milano. Nel riquadro, Vincenzo Lanni (Ansa)
Nei principali Paesi europei, per essere riconosciuto «pericoloso» basta la segnalazione di un medico. Qui invece devi prima commettere un delitto. E pure in questo caso non è detto che una struttura ti accolga.
Vincenzo Lanni, l’accoltellatore di Milano, aveva già colpito. Da condannato era stato messo alla Rems, la residenza per le misure di sicurezza, poi si era sottoposto a un percorso in comunità. Nella comunità però avevano giudicato che era violento, pericoloso. E lo avevano allontanato. Ma allontanato dove? Forse che qualcuno si è preso cura di Lanni, una volta saputo che l’uomo era in uno stato di abbandono, libero e evidentemente pericoloso (perché se era pericoloso in un contesto protetto e familiare come quello della comunità, tanto più lo sarebbe stato una volta lasciato libero e senza un riparo)?
Ansa
Dimenticata la «sensibilità istituzionale» che mise al riparo l’Expo dalle inchieste: ora non c’è Renzi ma Meloni e il gip vuole mettere sotto accusa Milano-Cortina. Mentre i colleghi danno l’assalto finale al progetto Albania.
Non siamo più nel 2015, quando Matteo Renzi poteva ringraziare la Procura di Milano per «aver gestito la vicenda dell’Expo con sensibilità istituzionale», ovvero per aver evitato che le indagini sull’esposizione lombarda creassero problemi o ritardi alla manifestazione. All’epoca, con una mossa a sorpresa dall’effetto immediato, in Procura fu creata l’Area omogenea Expo 2015, un’avocazione che tagliò fuori tutti i pm, riservando al titolare dell’ufficio ogni decisione in materia.
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Dopo il Ponte tocca ai Giochi. Per il gip sarebbe «incostituzionale» il decreto con cui il governo ha reso «ente di diritto privato» la Fondazione Milano-Cortina. Palla alla Consulta. Si rifà viva la Corte dei Conti: la legge sugli affitti brevi favorirà il sommerso.
Da luglio la decisione sembrava bloccata nei cassetti del tribunale. Poi, due giorni dopo l’articolo della Verità che segnalava la paralisi, qualcosa si è sbloccato. E così il giudice delle indagini preliminari Patrizia Nobile ha accolto la richiesta della Procura di Milano e ha deciso di rimettere alla Corte Costituzionale il decreto legge del governo Meloni che, nell’estate 2024, aveva qualificato la Fondazione Milano-Cortina 2026 come «ente di diritto privato». La norma era stata pensata per mettere la macchina olimpica al riparo da inchieste e blocchi amministrativi, ma ora finisce sotto la lente della Consulta per possibile incostituzionalità.
Il ministro della giustizia libico Halima Abdel Rahman (Getty Images)
Il ministro della giustizia libico, Halima Abdel Rahman, alla «Verità»: «L’arresto del generale dimostra che il tempo dei gruppi armati fuori controllo è finito e che anche la Rada deve sottostare al governo di Tripoli». Pd e M5s attaccano ancora l’esecutivo. Conte: «Italia umiliata».
Il caso di Osama Almasri Anjim, arrestato e rinviato a giudizio delle autorità libiche ha scatenato una dura polemica politica fra governo e opposizione. L’ex capo di una delle più potenti milizie di Tripoli a gennaio scorso era stato rimpatriato con un volo di Stato dopo essere stato arrestato in esecuzione di un mandato d’arresto internazionale emesso dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità. Il governo aveva motivato il suo allontanamento con la pericolosità del soggetto, che era stato accolto a Tripoli da centinaia dei suoi fedelissimi con bandiere e scariche di kalashnikov.






