2024-10-13
Confindustria scarica la Fiat.«Chiedere incentivi è una pazzia»
Dopo l’offensiva audizione del manager Carlos Tavares che pretende soldi per non abbandonare il Paese, Emanuele Orsini lo molla:«Servono piani industriali, non sussidi». Salvini: «L’ad si vergogni». È una svolta del mondo produttivo.Sono trascorsi decenni da quando Gianni Agnelli sosteneva che gli interessi dell’Italia dovessero coincidere necessariamente con quelli della Fiat. E adesso, non soltanto ciò che va bene alla real casa di Torino non va bene al Paese e al suo governo, ma addirittura non va bene neppure a Confindustria. Più di 12 anni fa Sergio Marchionne, con una lettera a Emma Marcegaglia, annunciò che il gruppo automobilistico lasciava l’associazione che raggruppa gli imprenditori, accusandola di non saper più rappresentare le esigenze delle aziende. E forse in viale dell’Astronomia hanno ancora il dente avvelenato. Tuttavia, nonostante lo strappo sia stato clamoroso, nessuno poteva immaginare che un giorno il presidente del sindacato degli industriali avrebbe restituito la gentilezza dell’addio e si sarebbe schierato direttamente contro i vertici di quello che un tempo è stato il più grande gruppo imprenditoriale d’Italia. Emanuele Orsini, alla guida di alcune aziende dell’area modenese, è da pochi mesi alla presidenza di Confindustria, e in una delle sue prime uscite pubbliche se l’è presa proprio con ciò che resta dell’impero Fiat. Venerdì Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, il gruppo nato dalla fusione tra Fiat e Peugeot-Citroen, si è presentato in Parlamento e alle domande degli onorevoli che chiedevano lumi sul futuro della produzione automobilistica in Italia ha risposto sollecitando incentivi per continuare a produrre veicoli nel nostro Paese. In altre parole, il manager alla richiesta di rassicurazioni delle Camere, preoccupate per la riduzione delle vetture sfornate dalle fabbriche italiane del gruppo e per l’aumento delle ore di cassa integrazione nei diversi siti produttivi, ha replicato battendo cassa, criticando gli alti costi della mano d’opera e pretendendo misure di sostegno alle vendite. «Non chiedo incentivi per noi, ma per i consumatori italiani», ha detto con tono che è parsa una presa in giro. Infatti, come abbiamo titolato ieri («L’ad degli Agnelli ci prende per i fondelli»), quei soldi che lo Stato dovrebbe scucire per favorire l’acquisto di automobili non finirebbero nelle tasche degli italiani, come intende far credere il manager portoghese, ma in quelle degli suoi azionisti, ossia degli stessi Agnelli, che del gruppo, insieme con lo Stato francese, sono i principali soci. Evidentemente, alla real casa non bastano gli utili record conseguiti negli ultimi anni, ne vorrebbero di più. E dunque ecco la richiesta presentata da un amministratore che da una parte si finge interessato a favorire le famiglie italiane e dall’altra brandisce la minaccia di spostare la produzione in altri Paesi e di chiudere alcuni stabilimenti in Italia se lo Stato non metterà mano al portafogli.A Tavares hanno risposto vari esponenti politici, tra cui Matteo Salvini, che hanno rispedito al mittente le richieste. Ma più dei leader, stupisce il rappresentante degli imprenditori, che per la prima volta ha il coraggio di schierarsi contro un’industria che non sa fare altro che battere cassa. La storia della Fiat è nota. Per anni è stata sostenuta con soldi pubblici. Secondo l’indagine di Davide Bubbico, docente nell’Università di Salerno, almeno il 40% degli investimenti della Fiat negli ultimi trent’anni è stato pagato dai contribuenti e tutto ciò a fronte di una riduzione dei dipendenti e un aumento formidabile dei dividenti (Stellantis dal 2021 ad oggi ha distribuito ai propri azionisti 16,4 miliardi di euro). Orsini, presidente di Confindustria, dice che chiedere altri incentivi è una «pazzia», perché il Paese ha bisogno di piani industriali seri e non di sistemi imprenditoriali assistiti. Una svolta che segna un cambio di passo. Non soltanto nei rapporti dell’associazione imprenditoriale con ciò che resta dell’impero Fiat (per anni viale dell’Astronomia è stata una succursale della casa automobilistica, al punto che i suoi vertici venivano spesso scelti direttamente a Torino), ma anche nei rapporti degli industriali con il Paese, che per troppo tempo è stato considerato una mucca da mungere allo scopo di ottenere soldi facili e agevolazioni. Se l’Italia ha perso terreno, i governi hanno molte responsabilità, ma anche le imprese forse qualche mea culpa lo dovrebbero recitare.