2024-09-03
Conferma: il dossier su Crosetto nasce dai cronisti di De Benedetti
Cantone spiega le richieste d’arresto per Laudati e Striano e denuncia gli incontri sospetti dell’ex pm. Agli atti un file sui soci del ministro creato dalla firma di «Domani».La Verità ci aveva visto giusto. Il 4 marzo scorso questo giornale, a proposito dei presunti accessi abusivi e delle rivelazioni di segreto che sarebbero state compiuti dal finanziere Pasquale Striano, aveva titolato in prima pagina: «Pista choc: il dossier anti-Crosetto partito dai cronisti di De Benedetti». Il sottotitolo era: «Bomba sulla vicenda di politici e vip attenzionati: il documento sul ministro della Difesa, presentato dal finanziere indagato per giustificare le “spiate” è contenuto in un file creato da un giornalista di “Domani”». Ovvero il quotidiano di proprietà dell’ex tessera numero uno del Pd Carlo De Benedetti. Una pista che avevamo scoperto in esclusiva dopo aver esaminato le proprietà del file depositato in Procura dallo stesso ufficiale delle Fiamme gialle.Adesso, grazie all’ordinanza di rigetto degli arresti richiesti dalla Procura di Perugia per Striano e per l’ex pm antimafia Antonio Laudati, una decisione firmata il 16 luglio scorso dalla gip perugina Elisabetta Massini, si scopre che l’episodio svelato da questo quotidiano è stato inserito a maggio dal procuratore Raffaele Cantone nella richiesta di domiciliari. In particolare Striano aveva spiegato nel suo primo e unico interrogatorio, reso l’1 marzo davanti ai pm capitolini, che i controlli sui redditi del ministro Guido Crosetto, finiti poi sulle pagine del quotidiano Domani, erano giustificati da un precedente dossier stilato sui due suoi sodali in società di accoglienza (bed & breakfast), i fratelli Mangione.L’appunto consegnato dall’investigatore aveva questo oggetto: «Presunta attività di riciclaggio di capitali illeciti nel tessuto economico imprenditoriale di Roma. Accertamenti preliminari nei confronti di Mangione Giovanni e Mangione Gaetano». La gip ci informa che la «giustificazione» di Striano è stata smentita sia dalle dichiarazioni rese dal procuratore aggiunto Russo (della Direzione nazionale antimafia, ndr) che dalle indagini tecniche ed in particolare dalla analisi dei supporti informatici sequestrati a Striano e dalle chat contenute nel telefono dello stesso». Infatti «da tali acquisizioni si evince che gli accessi relativi ai fratelli Mangione (accessi che secondo Striano avrebbero poi portato agli approfondimenti nei confronti di Crosetto, in quanto soci in affari con quest’ultimo) sono di gran lunga successivi a quelli relativi al ministro. È altresì emerso che la suddetta posticcia estensione degli accessi ai Mangione deriva da un "suggerimento " fornito a Striano proprio dal giornalista che ha pubblicato i sopra citati articoli sul ministro e cioè da Stefano Vergine (attuale collaboratore di “Domani”, ndr), il quale in data di gran lunga antecedente agli accessi dello Striano aveva già pubblicato articoli contenenti espressi riferimenti alle cointeressenze di Crosetto in società facenti capo ai Mangione (articolo del settembre 2022, mentre gli accessi di Striano risalgono il febbraio 2023). Peraltro le visure camerali presenti nel computer di Striano non risultano acquisite dallo stesso, mentre risultano acquisite dall’editoriale l’Espresso per cui lavora Vergine. Anche la memoria predisposta su richiesta del procuratore Melillo (Giovanni, a capo della Dna, ndr) e acquisita dalla posta elettronica di Striano risulta avere quale creator "stefano vergine"».Laudati, che è stato un inquirente anche con funzioni direttive, pensando di muoversi nel campo delle attività difensive, deve aver cominciato a raccogliere elementi a sua tutela. La Procura, però, pare aver letto quelle attività come un tentativo di inquinare le prove, di sfuggire alla giustizia. Tant’è che tra le esigenze cautelari è finito il riferimento a una conversazione tra l’ex magistrato e una sua collega, dipendente della Procura nazionale antimafia, «che», è ricostruito nell’ordinanza di rigetto firmata dal gip, «gli riferisce di una riunione avvenuta tra i procuratori di Roma e Perugia e il procuratore nazionale antimafia». Del contenuto della riunione, però, dà atto la Massini, «la dipendente non era a conoscenza, non godendo della fiducia del procuratore nazionale antimafia». L’ombra si è allungata anche su un’altra conversazione, questa volta con un collega di lunga esperienza, che in passato è stato in servizio alla Procura nazionale antimafia e che per i soliti cortocircuiti tra toghe e cronisti è finito in un tritacarne dal quale è uscito solo dopo molti anni: Alberto Cisterna. Laudati, nella tesi dell’accusa, sarebbe colpevole di aver esplicitato «la sua opinione sulla genesi dell’inchiesta». Infine, il 3 aprile scorso, ha inoltrato una richiesta di audizione alla Commissione parlamentare antimafia, che ad avviso della Procura appare «come una memoria difensiva», tramite la quale si «realizzerebbe una forma di inquinamento probatorio». Ma, aspetto ancor più grave, il pericoloso Laudati, poi, avrebbe «rilasciato una dichiarazione agli organi di stampa» e «inoltrato la sua versione difensiva a colleghi, ministri e soggetti che rivestono ruoli istituzionali nel governo». Come avrebbe tentato di inquinare le prove? «Inviando un appunto difensivo», secondo l’accusa, «in cui riconduce falsamente l’incipit della vicenda processuale a una sua relazione, quella redatta in data 21 novembre 22, che scrisse in risposta a una richiesta di informazioni della Procura della Repubblica di Roma». L’attività difensiva, secondo l’interpretazione che il gip dà alle richieste avanzate dalla Procura, sarebbe stata letta dagli inquirenti come un modo per inquinare le prove. Con lo stesso criterio sono state valutate le mosse di Striano, reo, in primis, di essersi «avvalso della facoltà di non rispondere» e poi di «incontrare» o comunque contattare «alcuni co-indagati», ma anche di aver «trasmesso l’invito a presentarsi ad alcuni giornalisti rilasciando anche un’ intervista al programma le Iene». La prova? «Dall’analisi del cellulare di Striano è emerso che lo stesso ha inviato copia dell’invito a presentarsi con tutte le imputazioni al giornalista Amadori (uno degli autori di questo articolo, ndr) e che ha avuto incontri con taluni co-indagati quali Daniele Carnemolla e Roberto Patrignani». Un documento, l’invito a presentarsi, del quale l’indagato avrebbe potuto fare ciò che voleva, non essendo, una volta notificato, coperto da alcun genere di segreto. Non solo. Nella documentazione giudiziaria si legge anche che il finanziere «ha altresì incontrato un ex collega, tale G. P. (un ex poliziotto, ndr)», sebbene non si faccia cenno alle conversazioni che i due avrebbero tenuto. Secondo la Procura, insomma, «l’attività divulgativa e i contatti con altri indagati» avrebbero potuto «compromettere le indagini ancora in corso».Una tesi bocciata dalla gip: «Nel momento in cui l’esito ( in tutto o in parte ) delle indagini viene disvelato all’indagato con l’invito a presentarsi o con l’avviso di conclusione delle indagini o con decreti di perquisizione, il dato informativo entra legittimamente nella sfera di disponibilità dell’indagato medesimo, che non è in alcun modo tenuto a non divulgarlo (a differenza di quanto accade per le persone informate sui fatti)». Nel rigettare la misura detentiva, il gip contesta l’insussistenza del pericolo di inquinamento probatorio nei confronti di Laudati, spiegando bene che le condotte evidenziate dai pm a sostegno della richiesta sono da ricondurre a diritti della persona indagata, compreso quello di divulgare il contenuto di atti coperti da segreto in epoca successiva alla loro notifica all’interessato. Con riferimento al pericolo di reiterazione di condotte della stessa specie, tale comportamento è stato contestato solo a carico di Striano che tutt’ora si trova in servizio, mentre Laudati è ormai in congedo. Il giudice considera Striano certamente responsabile di numerosissimi accessi abusivi al sistema informatico e ritiene che non vi sia pericolo che tali condotte si ripetano solo perché presso il suo ufficio non lavora più Laudati e, quindi, mancherebbe un ingranaggio fondamentale del sistema, «diretto superiore compiacente (quando non istigatore). Ragionamento che esclude che lo stesso Striano possa commettere reati senza il concorso di Laudati. Infine il giudice ritiene che il periodo trascorso dai fatti accertati (fino a marzo 2023) sia tale da escludere ragionevolmente il ripetersi di fatti analoghi.Ieri, dopo il nostro scoop sugli arresti, Cantone con un comunicato stampa ha precisato che «le indagini [...] non sono affatto concluse, esse sono ancora in corso e non è prevedibile la loro conclusione in tempi brevi». Il magistrato ha rivendicato la bontà della richiesta cautelare di oltre 200 pagine bocciata dalla Massini, sostenendo che quest’ultima avrebbe «esaminato [...] sinteticamente» le «singole imputazioni». Quindi ha aggiunto: «Contro l’ordinanza del gip l’ufficio ha presentato appello, contestando, fra l’altro, l’affermazione del giudice secondo cui gli indagati avrebbero avuto "in tutto o in parte" accesso agli atti processuali». Al contrario, secondo Cantone, «a oggi, nessuna discovery degli atti vi era stata e non erano stati nemmeno contestati gli esiti delle indagini agli indagati che legittimamente non si erano, come più volte rimarcato, presentati a rendere interrogatorio». A onor del vero l’invito a comparire sopra citato era alquanto robusto (66 pagine) ed è stato utilizzato persino per la realizzazione di un libro. Dopo lo scoop della Verità, comunque, Cantone ha fatto sapere che è arrivato il tempo di divulgare: «Essendo venuto meno oggi il segreto, gli atti che sono stati trasmessi al gip con la richiesta cautelare potranno essere trasmessi alla Commissione antimafia, adempimento che sarà effettuato nei prossimi giorni». Un profluvio di carte che sicuramente inonderanno tv e giornali alla vigilia dell’udienza (fissata per il 24 settembre) in cui il Tribunale del riesame dovrà decidere sul ricorso della Procura contro il rigetto della richiesta di arresto. La nota di Cantone è stata bollata come «inusuale» per «tempi e contenuti» dal difensore di Laudati, l’avvocato Andrea Castaldo. Secondo il legale «vengono ritenuti fatti di inquinamento la divulgazione a una ristretta cerchia di persone delle spiegazioni offerte dal consigliere Laudati circa la piena correttezza del suo operato e, addirittura, il comunicato stampa con il quale ha inteso chiarire la vicenda». Un passaggio che il difensore valuta come «sorprendente», che interviene «a distanza di molto tempo dalle contestazioni, priva dei parametri codicistici, ma soprattutto confondendo l’inquinamento probatorio con il legittimo esercizio del diritto di difesa».