2020-12-02
«Con un piano pandemico aggiornato avremmo salvato più di 10.000 vite»
Pierpaolo Lunelli (Roberto Silvino/NurPhoto via Getty Images)
L'ex generale Pier Paolo Lunelli, autore di una relazione sull'epidemia: «Nella versione ferma al 2006 c'erano almeno 20 errori. Il documento andava riscritto entro il 2013: se n'era reso conto persino il dicastero, ma non ha fatto nulla».L'Italia ha aggiornato il suo piano pandemico per l'ultima volta nel 2006. Lo hanno dimostrato le inchieste di Report, lo confermano i ricercatori dell'Oms su cui sono state fatte pressioni affinché ritrattassero, e lo ha messo nero su bianco pure un rapporto realizzato qualche mese fa da Pier Paolo Lunelli, ex generale e responsabile della scuola interforze per la Difesa Nbc, ripreso con grande evidenza dal britannico Guardian. Lunelli, iniziamo dalle basi. A che cosa serve un piano pandemico?«Mira a contenere le conseguenze negative di una pandemia: vittime dirette, indirette e ingenti perdite economiche. La Commissione europea scriveva 15 anni fa: “Una pandemia susciterà certamente numerose inquietudini nell'opinione pubblica, negli ambienti politici e nei mezzi di comunicazione e provocherà, per tutta la sua durata e anche oltre, importanti perturbazioni sociali ed economiche. L'angoscia, la limitazione degli spostamenti, i limiti agli assembramenti della popolazione, le difficoltà nel settore della distribuzione e l'eccessiva mortalità sono elementi che aumenteranno probabilmente le pressioni sulla società e ne accentueranno le disfunzioni". A cosa serve un piano pandemico? Mira a ridurre, prevenire e contenere queste conseguenze nefaste».E quali cose non vanno nel piano pandemico italiano che, abbiamo scoperto, non è più stato aggiornato dal 2006?«Nella mia relazione ne cito una ventina. Riassumo le principali. Il piano è privo di data di pubblicazione e di bibliografia, cosa che ha consentito di spacciarlo più volte come nuovo fino al 2016. Non tiene conto di importanti linee guida dell'Oms del 2009, 2013, 2017 e 2018. Non è aderente alle disposizioni del Regolamento sanitario internazionale (Rsi), un testo per l'Italia giuridicamente vincolante sulla prevenzione delle epidemie che è stato ratificato nel giugno 2007. Non viene delineata una chiara struttura di coordinamento, comando e controllo, come è invece riportato in tutti i piani degli altri Paesi». C'è dell'altro?«Nonostante fosse stato suggerito dall'Oms non sono state svolte esercitazioni nazionali e non c'è traccia di alcuna lista di controllo per la gestione del rischio e dell'impatto di una pandemia sul sistema Paese a livello nazionale, regionale e locale. Vi è scritto che “il ministero della Salute deve costituire un comitato nazionale per la pandemia" oppure bisogna “sensibilizzare i decisori politici," cosa paradossale in un piano che dovrebbe aver avuto il placet politico e dovrebbe indicare le coordinate di chi se ne occupa. E poi, dentro il piano spacciato per aggiornato nel 2016, ci sono altre chicche».Quali?«A pagina 3 si legge: “Il presente piano, stilato secondo le indicazioni dell'Oms del 2005, aggiorna e sostituisce il piano per una pandemia influenzale del 2002". Un magico ritorno al passato. Infine, e questo lo ha dichiarato Agostino Miozzo, presidente del Comitato tecnico scientifico, il 5 settembre: “Non esisteva un piano pandemico e non esisteva una previsione di mascherine necessarie, posti letto da liberare. Soprattutto non c'erano scorte. Il Paese partiva da zero e noi, da zero, dovevamo preparare in fretta un piano anti Covid da utilizzare subito […]. Mancavano i reagenti. […] Il Paese era nudo e noi abbiamo dovuto fare le cose all'italiana. Con il fiatone." E ci sarebbe molto altro da dire».Quando si sarebbe dovuto aggiornare il piano?«Ritengo che la data che non poteva essere oltrepassata è il 2013, quando si incrociano tre circostanze. Primo, le capacità sanitarie in tema di prevenzione delle epidemie previste dal Regolamento sanitario internazionale dovevano essere completate entro il 2012. Secondo, la decisione del Parlamento europeo del 2013 richiedeva ai Paesi di “sviluppare un piano generico di preparazione a serie minacce transfrontaliere per la salute sia di origine biologica (malattie infettive resistenza agli antibiotici e infezioni nosocomiali, biotossine), sia di origine chimica, ambientale o sconosciuta." Terzo, nel 2013 l'Oms ha trasformato nella sostanza il paradigma su cui si basa la pianificazione pandemica. Non entro nel tecnico, ma gli schemi precedenti, sui quali era basato il nostro piano pandemico, erano diventati inappropriati e inadatti, inefficaci e inidonei».Ma nessuno si è accorto che il nuovo piano mancava?«Se ne è accorto lo stesso ministero della Salute nel 2014. Nel piano nazionale della prevenzione sanitaria 2014-2018, pubblicato sei anni fa, diceva a sé stesso che cosa bisognava fare: “Le emergenze infettive […] hanno mostrato come sia necessario rafforzare le capacità di monitoraggio e risposta a livello nazionale e internazionale. Lo sviluppo di sistemi in grado di identificare tempestivamente possibili emergenze infettive, la capacità di valutare il rischio a esse associato e la disponibilità di piani aggiornati di preparazione e risposta intersettoriali, sia generici sia specifici per patologia infettiva, sono alcuni dei pilastri necessari per una risposta di sanità pubblica efficace. Inoltre, con l'entrata in vigore, nel 2013, della nuova Decisione della Commissione europea (n. 1082/2013/EU), l'Italia è chiamata a sviluppare un piano generico di preparazione a serie minacce transfrontaliere per la salute sia di origine biologica, chimica, ambientale o sconosciuta, sia a minacce che potrebbero costituire un'emergenza sanitaria di carattere internazionale previste nell'ambito del Regolamento sanitario internazionale».Avere un piano aggiornato ci avrebbe permesso di ridurre il numero dei morti?«Certamente. Lo scopo di un piano pandemico è di mitigare, ridurre le vittime e le ripercussioni economiche sul sistema Paese, per cui chi i piani non li ha o non li ha aggiornati non riuscirà a farlo compiutamente. Un parametro oggettivo per misurare il successo in una pandemia è avere un tasso di mortalità, inteso come numero di decessi per ogni milione di abitanti, il più basso possibile. Nel mese di giugno, Spagna, Italia e Belgio avevano in comune un alto tasso di mortalità e vecchi piani, aggiornati al 2006. Se avessimo avuto le performance dei tedeschi, il cui piano era del 2017, avremmo subìto, sempre a metà giugno, intorno a 6.000 vittime anziché 35.000. Tuttavia, accontentandoci delle performance medie dell'Olanda, avremmo potuto risparmiare almeno 10.000 vite». Che pensa del documento dell'Oms fatto sparire? «Credo ci sia uno scontro interno all'Oms tra i vertici, che sono condizionati dalle politiche dei Paesi membri e il personale di staff, che ha la schiena diritta e non si presta a condizionamenti e dissimulazioni».
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.