2024-09-09
Con i fiori di sambuco la fine dell’estate è simbolo di rinascita
Essiccati e poi bevuti in infuso, sono un grande alleato contro i primi malanni autunnali. Calmano infatti raffreddore e tosse, abbassano la febbre e liberano anche le vie nasali E per chi ha già un fisico di ferro, potenziano il sistema immunitario e aiutano l’intestino.La natura ci ha donato molti alberi e molte piante utili, oltre che belli. Uno di questi è certamente il sambuco, diffuso in tutto il centro Europa. Sambuco nero, sambuco nostrale, sambuco comune: lo si chiama in molti modi. Il sambuco, il cui nome botanico è Sambucus nigra, è una pianta angiosperma dicotiledone della famiglia delle Adoxaceae (Viburnaceae per la classificazione Apg IV). Vuol dire che è una pianta a seme occultato, perché è conchiuso, ben protetto, nel frutto; quel seme, germogliando, sviluppa due foglie embrionali e non una sola come altre angiosperme. Il nostro sambuco è un arbusto o piccolo albero con foglie caduche e tronco molto ramificato fin dal basso, che può giungere fino a 10 metri di altezza. E basta girare per zone come radure, boschi soprattutto umidi, scarpate, rive di corsi d’acqua dove cresce spontaneamente per appurare che sì, ci arriva davvero. Il sambuco vive bene da 0 fino a 1.400 metri di altitudine, e tra le foglie, la cui caratteristica è di essere dentate, compaiono a inizio estate i fiori e a fine estate i frutti. I fiori, che sbocciano appunto da aprile a giugno, sono decisamente graziosi: ciascuno ha cinque petali e un calice, e un diametro di circa mezzo centimetro; è di colore bianco, molto profumato. Questi fiorellini sono raggruppati in infiorescenze ombrelliformi che si chiamano corimbi, dal diametro che va da 10 a 20 centimetri. Tali ombrellini fioriti, così belli che si usano anche nei bouquet e che in generale si possono trovare dai fiorai più eleganti (o di campagna), hanno anche un bel significato nel linguaggio dei fiori: rinascita. Sono fiori che attirano molto le api e in generale gli insetti prònubi, cioè quelli che trasportano il polline da un fiore all’altro permettendo l’impollinazione e la conseguente formazione del frutto, e che tramite questo incessante lavorìo garantiscono la sopravvivenza delle piante, che hanno bisogno di vettori di impollinazione e in generale dell’uomo, che si nutre anche dei loro frutti. I fiori di sambuco si iniziano a vedere a maggio e possono durare anche fino a tutto luglio. I frutti, invece, sono bacche di diametro anch’esse di circa mezzo centimetro, maturano ad agosto-settembre e hanno il colore opposto, un rosso talmente scuro da diventare praticamente violaceo-nerastro. In ogni bacca ci sono due o tre semi. L’uso medicinale di fiori e bacche (e non solo) di sambuco è molto antico: il sambuco è citato anche nei trattati di medicina di Ippocrate e di Plinio il Vecchio, e in epoca greco-romana esisteva anche uno strumento musicale chiamato sambuca. Latinizzazione del nome greco sambýke, la sambuca degli antichi Romani era una specie di piccola arpa dal suono simile a quello della lira. Si vede raffigurata anche in un affresco di Pompei. L’uso del sambuco nella medicina si spiega con la bella dotazione fitoterapica di questo arbusto, che oggi possiamo misurare e conoscere in modo anche teorico e non solo empirico, come era invece nel passato. Cento grammi di bacche di sambuco presentano circa 70 calorie e per lo più acqua, 80 g di acqua. E poi 0,66 g di proteine, 0,50 g di grassi (0,023 g saturi, 0,080 g monoinsaturi e 0,247 g polinsaturi), 18,40 g di carboidrati (7,0 g di fibre, 600 UI di vitamina A, 36,0 mg di vitamina C, 0,500 mg di niacina, 0,230 mg di vitamina B6, 0,140 mg di acido pantotenico, 0,070 mg di tiamina, 0,060 mg di riboflavina, 6 µg di folati, 280 mg di potassio, 39 mg di fosforo, 38 mg di calcio, 6 mg di sodio, 5 mg di magnesio, 1,60 mg di ferro, 0,11 mg di zinco, 5,4 mg di isoramnetina, 26,8 mg di quercetina. Queste caratteristiche ne hanno fatto un rimedio naturale a davvero ampio spettro. Sia nel senso che cura molte cose, sia nel senso che se ne usano parecchie parti elaborate in parecchie forme. Infusi e sciroppo di fiori o di bacche di sambuco sono stati i maggiori rimedi, un vero e proprio grande classico della medicina non allopatica del passato che ha mantenuto un’esistenza in vita ininterrotta nelle zone più naturali, e che ora sta tornando in auge ovunque. I fiori di sambuco, essiccati e poi bevuti in infuso o sciroppo, sono un ottimo febbrifugo. Aiutano contro le malattie da raffreddamento, calmando il raffreddore o la tosse e decongestionando le vie nasali anche in caso di problemi alle vie respiratorie di natura allergica. Il sambuco è attestato anche come antinfiammatorio, sembra aiutare in caso di cistite e problemi ai reni e come drenante in caso di gonfiore, ma anche «drenante polmonare» ossia funge un po’ da mucolitico naturale. Il sambuco è considerato un grande aiuto per affrontare l’inverno (ricordatevelo fra poco) perché pare agire sul sistema immunitario potenziandone la capacità antinfiammatoria. Ecco perché troverete sugli scaffali della farmacia e dell’erboristeria, accanto a multivitaminici e rimedi fitoterapici tipici per le malattie da raffreddamento come la propoli, gli estratti di semi di pompelmo o il miele di Manuka, compresse, sciroppi, caramelle contenenti sambuco. Il sambuco è però sconsigliato in caso di malattie autoimmuni giacché entrerebbe in conflitto coi farmaci immunosoppressori. La sua stimolazione del sistema immunitario, che ne fa il perfetto alleato invernale, ahinoi confligge con le terapie per le patologie autoimmuni, che tendenzialmente «sedano» il sistema immunitario (nelle malattie autoimmuni il sistema immunitario attacca l’organismo). Lo sciroppo di sambuco ha un uso medicale, ma anche uno liquoristico: aggiunto a prosecco, seltz e foglie di menta compone l’aperitivo leggermente alcolico originario altoatesino (ma diffuso in Veneto, Austria, Svizzera e Germania) di nome Hugo. Non ci sono solo succhi o sciroppi di sambuco: si prepara anche il pane coi fiori di sambuco in molte zone italiane; una ricetta di fine primavera in cui all’impasto del pane vengono aggiunti i fiori appena sbocciati. E sempre i fiori si mangiano in squisite frittelle, salate oppure dolci. I fiori, poi, si distillano per preparare anche il noto liquore (molto amato a Roma), la sambuca, la cui preparazione richiede sì semi di anice, ma anche distillato di fiori di sambuco. La sambuca viene anche usata per «correggere» il caffè, conferendogli un aroma dolciastro e speziato. Con le bacche e il loro succo, oltre allo sciroppo (che c’è anche di fiori) si realizza addirittura un inchiostro, tanto sono tingenti. E in cucina e medicina naturale queste belle palline scure si usano per preparare - ricorrendo rigorosamente alla cottura - succhi e poi una squisita confettura, e una altrettanto succulenta gelatina, molto utili anche per stimolare l’intestino (infatti non bisogna esagerare nel bere succo o mangiare confettura o gelatina per non incorrere in un eccesso lassativo). Le bacche si usano anche per minestre dolci, come la Fliederbeersuppe tedesca. Come si dice, non è sempre tutto rose e fiori, e questo vale anche per il nostro sambuco. Abbiamo già visto che il sambuco va più o meno evitato se si soffre di patologie autoimmuni. Altra cosa da sapere è questa: le parti della pianta di sambuco contengono diverse sostanze fitochimiche che non solo non sono d’aiuto all’uomo, ma possono intossicarlo più o meno lievemente. Alcaloidi, lectine e glicosidi cianogeni dei suoi frutti consumati crudi possono essere tossici, dunque mai consumarli crudi. Fatti salvi i frutti cotti, dunque, e i fiori cotti o seccati, tutto il resto della pianta contiene il glicoside sambunigrina (formula molecolare C14H17NO6, numero Cas 99-19-4). Non solo le bacche, ossia i frutti, ma anche le foglie, la corteccia o lo stelo se non cotti possono intossicare. Il legno del tronco è duro e si presta ai lavori di tornio; il legno dei rami è tenero e il suo midollo lo è talmente tanto da sembrare spugnoso. Da sempre, sfruttando questa facilità di rimozione della parte interna del legno, coi rami di sambuco si realizzano flauti. La credenza popolare tedesca (in Germania il sambuco è molto diffuso) identificava l’arbusto come magico e il suono del flauto da ramo di sambuco come utile a proteggere dai sortilegi. A confermare questa credenza è anche l’opera lirica di Mozart Il flauto magico. Prima abbiamo detto cuocere prima la corteccia. Già. Alfredo Cattabiani, esperto tra l’altro anche di piante e fiori, scrisse: «Quanto alla corteccia, è emetica o lassativa a seconda della quantità usata. Fresca, cura il glaucoma ponendola sugli occhi. La radice, pestata e bollita, è un ottimo decotto e impacco contro la gotta e le malattie del ricambio. Infine dal midollo si ricava una pappa usata, con farina e miele, per lenire il dolore delle lussazioni». Sono riferimenti a rimedi oggi non usati dai più - e che vi sconsigliamo di provare a realizzare col fai da te - ma è simpatico conoscerli. Tutt’oggi ci sono tutorial online per fare un flauto con le proprie mani partendo dal rametto di sambuco trovato nel bosco, ma questi tutorial sono accessoriati dell’avviso che suonando quel flauto fatto da ramo fresco non si possono escludere sintomi localizzati nello stomaco e nell’intestino, come mal di pancia, diarrea e vomito, in caso di contatto salivare con sostanze tossiche eventualmente presenti nel legno e di loro conseguente ingerimento. Tornando a fiori e foglie, pensate che perfino applicare sulla pelle foglie e fiori freschi può provocare eritemi e irritazioni di un certo livello. Ricordatevi - lo ripetiamo - che i fiori vanno consumati cotti oppure secchi, mai freschi perché possono condurre a reazioni di intossicazione. Se quindi avete alberi di sambuco a disposizione e raccogliete i fiori da voi, raccoglieteli e poi maneggiateli coi guanti, cuocendoli bene per consumarli subito. Non confondete, poi, il sambuco nero con l’ebbio, il Sambucus ebulus che è una specie tossica e le cui parti non si devono consumare nemmeno previa cottura o essiccazione. Ecco le differenze tra i due, per non rischiare di confonderli: il sambuco è un piccolo albero ma raggiunge altezze importanti, l’ebbio non supera il metro e mezzo. Il sambuco ha infiorescenze in tutta la chioma, l’ebbio solo sulla parte superiore. Il fusto del sambuco è legnoso e ramificato dalla base, quello dell’ebbio è sottile, verde e non ramificato. Le infiorescenze del sambuco sono grandi, con fiori bianchi e sfumature, eventualmente, gialline, quelle dell’ebbio sono pù piccole, ovali più che circolari, con fiori più grandi e dettagli di colore rosa e viola. Le bacche di sambuco sono rivolte verso il basso, le bacche di ebbio sono rivolte verso l’alto e sono presenti solo al centro della pianta.
Ecco #DimmiLaVerità del 21 ottobre 2025. Ospite Fabio Amendolara. L'argomento del giorno è: "Gli ultimi sviluppi del caso di Garlasco".
(Arma dei Carabinieri)
Questa mattina, nei comuni di Gallipoli, Nardò, Galatone, Sannicola , Seclì e presso la Casa Circondariale di Lecce, i Carabinieri del Comando Provinciale di Lecce hanno portato a termine una vasta operazione contro un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti che operava nella zona ionica del Salento. L’intervento ha mobilitato 120 militari, supportati dai comandi territoriali, dal 6° Nucleo Elicotteri di Bari Palese, dallo Squadrone Eliportato Cacciatori «Puglia», dal Nucleo Cinofili di Modugno (Ba), nonché dai militari dell’11° Reggimento «Puglia».
Su disposizione del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lecce, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, sono state eseguite misure cautelari di cui 7 in carcere e 9 ai domiciliari su un totale di 51 indagati. Gli arrestati sono gravemente indiziati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro, con l’aggravante del metodo mafioso.
Tutto è cominciato nel giugno del 2020 con l’arresto in flagranza per spaccio di stupefacenti avvenuto a Galatone di un giovane nato nel 1999. Le successive investigazioni avviate dai militari dell’Arma hanno consentito di individuare l’esistenza di due filoni parallel ed in costante contatto, che si spartivano le due principali aree di spaccio della zona ionica del Salento, suddivise tra Nardò e Gallipoli. Quello che sembrava un’attività apparentemente isolata si è rivelata ben presto la punta dell’iceberg di due strutture criminali ramificate, ben suddivise sui rispettivi territori, capaci di piazzare gradi quantitativi di droga. In particolare, l’organizzazione che operava sull’area di Nardò è risultata caratterizzata da una struttura verticistica in grado di gestire una sistematica attività di spaccio di stupefacenti aggravata dal tipico ricorso alla violenza, in perfetto stile mafioso anche mediante l’utilizzo di armi, finalizzata tanto al recupero dei crediti derivanti dalla cessione di stupefacente, quanto al controllo del territorio ed al conseguente riconoscimento del proprio potere sull’intera piazza neretina.
Sono stati alcuni episodi a destare l’attenzione degli inquirenti. Un caso eclatante è stato quando,dopo un prelievo di denaro presso un bancomat, una vittima era stata avvicinata da alcuni individui armati che, con violenza e minaccia, la costringevano a cedere il controllo della propria auto.
Durante il tragitto, la vittima veniva colpita con schiaffi e minacciata con una pistola puntata alla gamba destra e al volto, fino a essere portata in un luogo isolato, dove i malviventi la derubavano di una somma in contanti di 350 euro e delle chiavi dell’auto.
Uno degli aggressori esplodeva successivamente due colpi d’arma da fuoco in direzione della macchina, uno dei quali colpiva lo sportello dal lato del conducente.
In un'altra circostanza invece, nei pressi di un bar di Nardò, una vittima era stata aggredita da uno dei sodali in modo violento, colpendola più volte con una violenza inaudita e sproporzionata anche dopo che la stessa era caduta al suolo con calci e pugni al volto, abbandonandolo per terra e causandogli la deformazione e lo sfregio permanente del viso.
Per mesi i Carabinieri hanno seguito le tracce delle due strutture criminose, intrecciando intercettazioni, pedinamenti, osservazioni discrete e perfino ricognizioni aeree. Un lavoro paziente che ha svelato un traffico continuo di cocaina, eroina, marijuana e hashish, smerciati non solo nei centri abitati ma anche nelle località marine più frequentate della zona.
Nell’organizzazione, un ruolo di primo piano è stato rivestito anche dalle donne di famiglia. Alcune avevano ruoli centrali, come referenti sia per il rifornimento dei pusher sia per lo spaccio al dettaglio. Altre gestivano lo spaccio e lo stoccaggio della droga, controllavano gli approvvigionamenti e le consegne, alcune avvenute anche alla presenza del figlio minore di una di loro. Spesso utilizzavano automobili di terzi soggetti estranei alla compagine criminale con il compito di “apripista”, agevolando così lo spostamento dello stupefacente.
Un’altra donna vicina al capo gestiva per conto suo i contatti telefonici, organizzava gli incontri con le altre figure di spicco dell’organizzazione e svolgeva, di fatto, il ruolo di “telefonista”. In tali circostanze, adottava cautele particolari al fine di eludere il controllo delle forze dell’ordine, come l’utilizzo di chat dedicate create su piattaforme multimediali di difficile intercettazione (WhatsApp e Telegram).
Nell’azione delle due strutture è stato determinante l’uso della tecnologia e l’ampio ricorso ai sistemi di messaggistica istantanea da parte dei fruitori finali, che contattavano i loro pusher di riferimento per ordinare le dosi. In alcuni casi gli stessi pusher, per assicurarsi della qualità del prodotto ceduto, ricontattavano i clienti per acquisire una “recensione” sullo stupefacente e quindi fidelizzare il cliente.
La droga, chiamata in codice con diversi appellativi che ricordavano cibi o bevande (come ad es. “birra” o “pane fatto in casa”), veniva prelevata da nascondigli sicuri e preparata in piccole dosi prima di essere smerciata ai pusher per la diffusione sul territorio. Un sistema collaudato che ha permesso alle due frange di accumulare ingenti profitti nel Salento ionico, fino all’intervento di oggi.
Il bilancio complessivo dell’operazione è eloquente: dieci arresti in flagranza, il sequestro di quantitativi di cocaina, eroina, hashish e marijuana, che avrebbero potuto inondare il territorio con quasi 5.000 dosi da piazzare al dettaglio.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha ritenuto gravi gli elementi investigativi acquisiti dai Carabinieri della Compagnia di Gallipoli, ha condiviso l’impostazione accusatoria della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, emettendo dunque l’ordinanza di custodia cautelare a cui il Comando Provinciale Carabinieri di Lecce ha dato esecuzione nella mattinata di oggi.
Continua a leggereRiduci