2022-02-24
«Con Hui contamino Oriente e Occidente»
La stilista e donna d’affari cinese Hui Zhou Zhao: «Ho studiato nel capoluogo lombardo. Il mio marchio mixa culture diverse con attenzione all’artigianalità. Voglio far conoscere il “Guochao”, l’equilibrio tra le antiche tradizioni del mio Paese e le nuove frontiere».Milano ritorna in passerella con 69 sfilate e 109 presentazioni. Brunello Cucinelli: «Arrivano i buyers dall’estero, soprattutto da Russia e Stati Uniti». Lo speciale contiene due articoli.Il nome Hui ha una trentina di significati diversi e alcuni sono dei difficili concetti filosofici. Hui Zhou Zhao, la signora della moda cinese, ha scelto Hui come nome del suo marchio disegnando un logo molto speciale: tre alberi stilizzati che rappresentano in chiave moderna il mitologico albero della vita.Come inizia la sua avventura nel mondo della moda?«Nel 1997 quando, non molto tempo dopo essermi laureata, ho preso la decisione di continuare lungo la strada della moda che era sempre stata la mia passione e ho creato il mio marchio che ha preso vita in una piccola stanza con diverse macchine da cucire. Ufficialmente la mia avventura ha preso il via quando sono stata invitata a partecipare alla settimana della moda di Milano. Dopo il regolare percorso di studi in Cina, mi ero iscritta al master in design e fashion management del Politecnico di Milano. Studiare per due anni in una delle città più eleganti e cosmopolite della terra mi ha fatto capire quale fosse la direzione da dare alla mia vita e alla mia professione, ovvero costruire un marchio cinese dal forte respiro internazionale».Si sente più stilista o imprenditrice?«Entrambe le definizioni si completano. Sono stilista nella misura in cui la mia creatività dà vita a collezioni nelle quali si rispecchiano tanto i miei valori che le mie ispirazioni. Ma d’altro canto sono nello stesso tempo imprenditrice perché sono a capo di un’azienda il cui giro d’affari cresce anno dopo anno e le cui collezioni sono amate e indossate da donne di ogni età e provenienti da ogni latitudine».Come fonde la sua anima orientale con quella occidentale?«Integrazione è per me da sempre uno dei tratti caratteristici della mia cultura artistica: mixo le culture più alte di varie nazionalità secondo il mio design e progetto il mio stile così. Alla stessa maniera attraverso Hui assorbo e integro costantemente la cultura cinese e occidentale nel design di ogni collezione».La moda è sempre più cultura: in che modo entra nei suoi capi?«La mia moda non è solo una questione di stile, ma anche un mezzo di comunicazione culturale e storico dal forte contenuto emotivo. L’origine e la continuazione della moda nasce nella storia dei tempi, avrà sempre nuove modalità grazie alla esplorazione delle persone. Tutto è moda, tutto è cultura!».Cosa può dare la Cina al mondo della moda?«La sua cultura, la sua tradizione, il fascino legato alla sua identità, l’artigianalità eccelsa alla base della sua creatività che a contatto con la cultura occidentale ne viene contaminata creando una speciale fusione di linguaggi diversi».Da un punto di vista tecnologico la Cina è ad altissimi livelli, potrà raggiungerli anche nel comparto della moda?«Assolutamente si. Il decollo economico e tecnologico della Cina contemporanea ha basi molto forti che interessano ogni declinazione culturale, quindi anche la moda. Lo stiamo già vedendo e sono sicura lo vedremo anche di più nel prossimo futuro».Lei si è sempre occupata delle donne, come le aiuta a emanciparsi?«Le donne cinesi di oggi cercano la cultura a casa come all’estero, valutano le differenze e sono mediamente più coraggiose nell’esprimere e difendere la loro voglia di libertà. Con la mia moda aperta all’Occidente io invito le donne a continuare su questa strada, ad allargare lo sguardo, a non fermarsi e a credere tenacemente in loro stesse per poter cambiare le cose».Cosa significa per lei sfilare a Milano?«Ho sempre creduto che le passerelle milanesi fossero perfette per lanciare in Occidente il nuovo trend emerso negli ultimi due anni in Cina, il cosiddetto “Guochao”, che corrisponde grosso modo allo stare in equilibrio tra le antiche tradizioni cinesi e le nuove frontiere del lusso occidentale. In mandarino “Guo” sta per “Paese” e “Chao” si riferisce a “Chao Li” ovvero “una cosa alla moda”. Mentre studiavo per il master biennale al Politecnico di Milano ho deciso che avrei creato Hui, un brand perfettamente “Guochao” e il fatto di averlo fatto e di sfilare oggi durante la fashion week è davvero la realizzazione di un sogno».Nel 2016 ha dato vita alla Hui fund of Shenzhen women and children’s development foundation.«Tutto ciò è un enorme aiuto per le donne, depositarie naturali di queste tradizioni che sono arti e mestieri da rilanciare. E con lo scopo di proteggere e promuovere il patrimonio culturale delle minoranze etniche, in particolare le tecniche artigiane e ancestrali della cultura cinese». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/con-hui-contamino-oriente-e-occidente-2656778454.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="milano-ritorna-in-passerella-con-69-sfilate-e-109-presentazioni" data-post-id="2656778454" data-published-at="1645647888" data-use-pagination="False"> Milano ritorna in passerella con 69 sfilate e 109 presentazioni Ben 190 appuntamenti in calendario: 69 sfilate di cui 60 fisiche e 9 digitali, 109 presentazioni e 12 eventi. La settimana della moda milanese (fino al 28 febbraio) riparte. Uno dei settori più colpiti dalla pandemia segna una ripresa con un rimbalzo del 32% del giro d’affari nei primi nove mesi del 2021 e una crescita del 28% attesa per l’anno. «Sono affascinato da questo momento che vive l’Italia tornata a essere credibile», afferma Brunello Cucinelli, «Siamo manifatturieri, primi per qualità. Non possiamo non immaginare che ci sia un futuro roseo. I buyers dall’estero hanno confermato il loro arrivo, russi, americani, europei, meno gli orientali». È tornata la voglia di vestire bene puntando sulla leggerezza: il vello delle capre del cashmere diventa bomber, i piumini in camoscio, nappe e shearling sono caratterizzati da gonfie imbottiture. I capi artigianali in maglia, Opera, sono veri capi d’alta moda tanto da aver bisogno di 40 ore di lavorazione per essere creati e ricamati di paillettes tono su tono. E la collezione per il 52% è fatta a mano. Sostiene l’Italia anche Fausto Puglisi, direttore creativo di Roberto Cavalli, «orgoglioso di essere italiano» mentre descrive le rose in pelle create dalle sapienti mani di artigiani fiorentini e che finiscono su bondage body. Oppure in ferro e ceramica a ornare gli anfibi o i cuissard. Una collezione da red carpet (ma ci sono anche perfetti capi da giorno come il trench in tessuto inglese, creato in esclusiva per la regina Elisabetta). Abiti da sera interamente ricamati con spacchi inguinali, cappe e chiffon animalier. La musica cambia da Alessandro Dell’Acqua per N°21 dove la sera si mescola con il giorno nel sapiente gioco del designer di unire perfettamente i due momenti della giornata così come il femminile e il maschile. Conquistano i vestiti in sbieco ricoperti di maxi paillettes di diversi colori, champagne, neri e verde militare, così come il nuovo concetto di tailoring con tessuti presi dalla sartoria inglese e lavorati a corsetteria, spalle grandi ma vita segnata. Lunghe gonne a pieghe portate con camicie in popeline a stampa hawaiana spesso ricamate con piccoli strass, bustier super sagomati su pantaloni maschili diventati gonne grazie a profondi tagli sia davanti sia dietro. «Credo che la cosa più importante da recuperare in questi tempi sia il carattere spontaneo della moda», dice Dell’Acqua. Una spontaneità che ritroviamo da Andreadamo, marchio calabrese ma ormai internazionale nella sua espressione di moda presa a prestito dal locale berlinese Panorama bar, inno alla libertà dove ognuno può essere sé stesso e che lo stilista applica alla sua collezione di maglia seconda pelle (nei colori beauty) da portare con maniche in mongolia o giacche doppiate in neoprene. Si ispira invece all’eclissi Calcaterra, collezione concettuale che si muove tra luci e ombre, tra influenze jap e classicità europea resa contemporanea dal rigore di tagli e costruzioni. Il vezzo sono lunghe frange in pelle che escono dalle maniche di giacche e cappotti dalle spalle importanti e avvolgenti. Una moda non effimera, come quella di Cividini, che conferma la sua «evoluzione nella permanenza», che significa non cambiare mai la qualità per uno stile che segue il suo corso. È un omaggio all’artigianalità italiana che finisce nella intramontabile maglieria della maison bergamasca. Una rivelazione Ibrigu, una collezione che è come un manifesto contemporaneo che abbraccia il leit motiv del recupero e del riuso consapevole. La maison, di Salsomaggiore Terme, ha costruito il suo Dna attorno al concetto di riutilizzo di capi vintage, che vengono rielaborati secondo un gusto contemporaneo e lussuoso. E nasce una nuova collaborazione per Max&Co, che presenta una collezione disegnata da Efisio Rocco Marras, direttore creativo di I’M Isola Marras. «Cerchiamo di interagire con le consumatrici», spiega Maria Giulia Prezioso Maramotti, global omnichannel director Max&Co, «Con le collaborazioni ci si apre a nuove esperienze».