2021-01-08
«Il comunismo ha rappresentato la parodia profana dei vecchi miti»
Mircea Eliade (Ulf Andersen/Getty Images)
Pubblicate 4 rare interviste allo studioso romeno: «Gli europei hanno perso il loro complesso di superiorità. Ora non cadano in quello d'inferiorità. Crisi dell'Occidente? Non sono pessimista, credo nel rinnovamento».Comparando miti o elementi di credenze avulsi dalla struttura organizzatrice che conferisce loro un senso, è possibile giungere a conclusioni ingannevoli. Qual è esattamente la portata dell'interpretazione universale dei miti? «Provare a evidenziare i punti di contatto o di somiglianza non implica affatto eliminare le differenze! Anzi, è proprio il contrario, poiché al tempo stesso si vede come, a partire da un tema comune, appaiano sempre nuovi valori e nuovi simbolismi. Prendiamo l'esempio dell'Albero cosmico, mito presente in civiltà molto differenti tra loro. Nel Medio Oriente - in particolare, presso i Babilonesi - si trova un Albero cosmico a sette rami, identificati alle sette sfere planetarie. Ma nel cristianesimo questo Albero cosmico diventa la Croce, autentico “albero di Vita piantato sul Calvario", attraverso il quale si opera la comunicazione con il cielo e la salvezza del mondo. […]»Qual è il vero valore del folklore come elemento ausiliario dello studio delle religioni? «È un ambito appassionante, ancora male esplorato. Finora, è stato fatto solo un inventario sistematico del contenuto di tradizioni e leggende. Ma deve ancora venire lo storico delle religioni che classificherà questa documentazione folklorica secondo le scoperte della propria disciplina. Credo che sarà lo scopo della prossima generazione. Nel corso dei secoli, nel folklore sono state integrate credenze risalenti a epoche molto diverse fra loro. Alcune risalgono al Paleolitico, altre al Neolitico! Vi sono anche elementi di religioni anteriori al cristianesimo, che l'arrivo della nuova fede ha relegato allo spazio infimo dei costumi popolari. Altri ancora, infine, rimandano a eresie come gnosticismo e manicheismo. Tutto ciò corrisponde a lotte d'influenza, durate talvolta interi millenni. Respinta dal giudaismo, la religiosità cosmica esiste sempre. A sua volta il cristianesimo ha ripreso numerose credenze antecedenti. Si trattava di omologare universi religiosi diversi, al fine di uniformare culturalmente l'ecumene. Così, ad esempio, i numerosi eroi e dèi uccisori di draghi della tradizione indoeuropea sono stati identificati con San Giorgio. Analogamente, in Grecia, dopo l'incendio del santuario di Eleusi nel 396, evento che simboleggia la fine del paganesimo, un san Demetrio, sacro patrono dell'agricoltura, prende in modo del tutto naturale il posto della dea Demetra...».Ha scritto che «il mito narra una storia sacra; riferisce un avvenimento che ha avuto luogo nel tempo primordiale». D'altra parte, sostiene che può costituire un mito solo quanto si riallaccia ad «archetipi» (nel senso di modelli esemplari, paradigmatici). Vi sono strutture mitiche moderne? «Credo che il solo esempio moderno che si possa citare è il mito marxista-comunista della fine dei tempi. In modo piuttosto rigoroso la filosofia marxista della storia traspone la concezione giudeo-cristiana di un inizio e una fine della storia assoluti. Vi si ritrova l'idea di una grande “battaglia finale" escatologica, seguita da uno stato paradisiaco (la “società senza classi") e chiamata a ricostituire l'Eden originario. In questo caso, è il proletariato ad assumere il ruolo messianico del Giusto sofferente. L'idea che sia necessario annientare tutto affinché appaia un mondo nuovo non è ovviamente nuova. Il “mito" del comunismo può così essere interpretato come una sorta di parodia profana del mito dell'Età dell'Oro. E il motivo dell'attrazione che esercita risiede probabilmente nel suo aver raccolto il testimone del profetismo millenarista giudeo-cristiano». Nell'intervista con Claude-Henri Rocquet racconta di aver scoperto, in India, l'«uomo neolitico», vale a dire l'importanza del passato più remoto, e il modo in cui può inscriversi nel presente, tramite miti e simboli. Ciò mette in luce l'importanza della memoria collettiva - quella memoria a cui Platone e Cicerone attribuivano un valore spirituale. Oggi le società moderne non la stanno forse perdendo? «In una certa misura, sì. Solo un secolo fa, un contadino romeno, cinese, portoghese o indiano, sapeva che la natura esprimeva il sacro a modo suo. Ma è forse qui che subentra il ricercatore. La storia delle religioni ha una funzione catartica: ci aiuta a vincere le inibizioni che ci impediscono di amare la nostra storia e tutto quanto l'ha preceduta». Nel suo Diario, lei evoca l'idea di una prossima «fine della civiltà occidentale». Ma, al tempo stesso, afferma di avere una «fiducia senza limiti nella potenza creatrice dello spirito». Come stanno le cose, esattamente? «Non sono pessimista, poiché non credo a un determinismo assoluto. Oggi la civiltà occidentale si sta trasformando in modo considerevole. Gli europei hanno perso il proprio complesso di superiorità. Spero che questo non ci faccia cadere, viceversa, in un complesso d'inferiorità. Da un certo punto di vista, al giorno d'oggi la nostra civiltà ha più possibilità di rinnovarsi di quante non ne abbia mai avute prima. E poi, non si esce mai dalla storia. È possibile evadere da essa solo tramite lo spirito». In fin dei conti, è l'«uomo eterno» a trionfare? «Proprio così. Credo che vi siano delle tappe, ma anche una ri-creazione, una eterna ri-creazione».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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