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2018-06-06
Come direttore del Tesoro Casaleggio vuole un uomo di Mediobanca
ANSA
Il premier Giuseppe Conte è in partenza per il Canada dove è atteso per il G7. Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, raccontano sia già del tutto concentrato sui due dossier caldi: quello relativo al Def e alla Finanziaria 2019 e quello tutto europeo che riguarda la futura road map dell'unione bancaria. In questo vuoto di potere a occuparsi delle nomine delle partecipate pubbliche e di figure chiave al Tesoro sono gli uomini di riferimento di Lega e 5 stelle. Con la differenza che il Carroccio è impegnato a organizzare la macchina dei ministeri e confrontare le figure necessarie a chiudere le seconde file del governo. I grillini si stanno dimostrando più interessati alle poltrone delle partecipate e al vertice del Tesoro. Vincenzo La Via, direttore generale del dicastero dell'Economia, ha fatto le valigie ormai il mese scorso e la vacatio è coperta per legge fino alla fine di giugno. Ma i 5 stelle vogliono approfittare di questi giorni di insediamento per portare a casa più nomi possibile. E a stringere sul Tesoro a quanto risulta alla Verità è lo stesso Davide Casaleggio che ieri avrebbe formalizzato al premier Conte la volontà di vedere su quella poltrona il manager di Mediobanca, Antonio Guglielmi, già responsabile di Mediobanca securities e ora capo dell'equity market per l'Italia. Tra i corridoi del Mef sono in molti già a storcere il naso. Guglielmi è considerato fuori dagli schemi e soprattutto tutti ricordano un report a sua firma che fece rizzare le orecchie ai mercati. Era il gennaio del 2017 quando Gugliemi diffuse un documento per quantificare costi e benefici dell'uscita dall'euro per l'Italia. Il report aveva il difetto di prestare il fianco a interpretazioni un po' distorte. Tanto che gli euroscettici sintetizzarono il documento in un solo messaggio: uscire dalla moneta unica porterebbe un beneficio di 8 miliardi. La faccenda era molto più complicata. In ogni caso appena depositato il polverone, Guglielmi - non sappiamo se sia stata solo coincidenza - è stato trasferito d'incarico. Ora quello studio potrebbe invece essere inserito nel curriculum a pieno titolo. E su questo il Colle non ha competenze, perché la nomina del dg del Tesoro spetta esclusivamente al presidente del Consiglio. Da qui si misurerà il potere di Casaleggio, così come si prenderanno le misure della politica economica pubblica dalle nomine in Cdp.
Ieri il presidente Claudio Costamagna ha fatto sapere che non si presenterà per il secondo mandato all'assemblea del 20 giugno. Una decisione che induce Giuseppe Guzzetti, presidente dell'associazione delle fondazioni (Acri), azioniste di minoranza ma che esprimono il presidente, a ricordare che «nei prossimi giorni le fondazioni si riuniranno e decideranno chi indicare». Parole formali. In realtà Costamagna non godeva più dell'appoggio di Guzzetti che da dieci giorni punta su Massimo Tononi, già al vertice di Mps.
Nella maggioranza di governo infatti specie il M5s ha più volte esplicitamente evocato per la Cdp un ruolo fondamentale e più incisivo nella politica economica del governo gialloblù, non sempre aderente alle norme europee e allo stesso statuto del gruppo. In ballo c'è poi anche la carica di ad la cui scelta spetta al Tesoro e quindi al neo ministro Giovanni Tria. I nomi che circolano sono quelli dell'ex ad di Poste, Massimo Sarmi e di Dario Scannapieco, vicepresidente della Bei ed esperto di finanza pubblica, proprio quella che negli ultimi due anni la Cdp ha perso per strada. Oltre alla soluzione interna nella persona di Fabrizio Palermo, attuale direttore finanziario di Cdp, s'avanza anche il nome di Flavio Valeri, attuale numero uno di Deutsche bank Italia, più apprezzato dai 5 stelle che dalle fondazioni. Non è da escludere che il nome dell'ad uscirà dopo domani dall'assemblea annuale dell'Acri, l'associazione delle fondazioni bancaria. A Parma infatti oltre a Guzzetti saranno presenti anche Giancarlo Giorgetti per la Lega e Stefano Buffagni per i 5 stelle. Perché alla fine le nomine che contano si fanno sempre attorno al focolare dell'Acri.
Costamagna approdò tre anni fa su indicazione dell'allora premier Matteo Renzi dopo un acceso confronto con le fondazioni, che avrebbero preferito la riconferma di Franco Bassanini facendo leva sul loro diritto di indicare il presidente. Uno scontro che si risolse dopo una mediazione al congresso Acri di Lucca con il passo indietro di Bassanini, a cui venne assegnato un ruolo di consigliere a Palazzo Chigi che riguardava anche i compiti della Cassa.
Fino al mese scorso Costamagna era convinto di rimanere in corsa per Cdp dopo aver approvato l'ingresso in Tim, applaudito in maniera bipartisan, che ha conseguito il ribaltone contro i francesi di Vivendi. Ora si apre una nuova stagione.
Stesso discorso, anche se partita diversa vale per la Rai. Il cda scade il 30 giugno. Si sono fatti avanti addirittura in 236. Spiccano Giovanni Minoli, Michele Santoro, Milena Gabanelli, Carlo Freccero e Franco Siddi. Si sono fatte avanti anche le associazioni dei consumatori, quelle guidata da Carlo Rienzi e Massimiliano Dona. Una sorta di arrembaggio che durerà qualche giorno.
Claudio Antonelli
L’assalto alla diligenza dei burocrati per rimanere ai vertici del Palazzo
Nel governo del cambiamento potrebbero non cambiare i nomi di diversi capi di gabinetto nei ministeri. Roberto Garofoli è in odore di riconferma a capo di gabinetto del ministero dell'Economia e delle finanze, dove è approdato dopo aver fatto il segretario generale a Palazzo Chigi durante il governo di Enrico Letta. Gli affari di Garofoli, che è stato nominato circa un anno fa presidente di sezione della Corte dei conti, sono finiti al centro di un'inchiesta di questo giornale. Abbiamo raccontato che i suoi corsi propedeutici al superamento dell'esame da magistrato erano sino a poco tempo fa un ricco business gestito da società riconducibili alla moglie e su cui il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa nei mesi scorsi ha avviato alcuni accertamenti.
Rimanendo a via XX settembre, mentre tutti gli altri portavoce del governo Renzi hanno fatto gli scatoloni, chi ha ancora sei mesi di contratto blindato è il portavoce di Pier Carlo Padoan, Roberto Basso che per avere un incarico che reggesse alle intemperie governative, si è fatto nominare a ottobre 2015 per tre anni direttore della comunicazione istituzionale del Mef, rimuovendo la dirigente interna Patrizia Nardi a cui è stato assegnato un incarico di studio. Tutto questo con il via libera del già citato Garofoli, che non ha avuto nulla da obiettare rispetto a questa iniziativa sui generis. Anzi, Basso è stato anche nominato presidente di Consip, la centrale di acquisti della pubblica amministrazione.
Al Mef si dice che sia agitata per lo spoils system Fabrizia Lapecorella, direttore generale del dipartimento delle finanze. Nominata da Giulio Tremonti nel 2008, ha stabilito un record: a differenza degli altri direttori generali del Mef e direttori delle agenzie fiscali, è stata nominata per quattro mandati di seguito. Lapecorella spera di essere confermata e di arrivare indenne al 2020, rimanendo in sella per il dodicesimo anno.
Al super ministero del Lavoro e dello sviluppo economico guidato da Luigi Di Maio, il capo politico del Movimento 5 stelle, che ha fatto della battaglia all'establishment la propria bandiera, sembra che arriverà - anzi ritornerà - come capo di gabinetto proprio un uomo che quel potere rappresenta. Si tratta di Vito Cozzoli, che nelle scorse settimane è stato in corsa anche per la presidenza della Figc, già capo di gabinetto del Mise con Federica Guidi, costretta a dimettersi per l'affare Tempa rossa. Cozzoli è attualmente consigliere capo della sicurezza di Montecitorio e prima dell'incarico con la Guidi è stato per otto anni capo dell'Avvocatura di Montecitorio, dopo essere stato promosso a luglio del 2005 a consigliere capo servizio da Pier Ferdinando Casini (qualche mese prima della fine del suo mandato come presidente della Camera), a cui aveva curato la segreteria dell'ufficio di presidenza della Camera dei deputati dal 2003.
Casini è molto amico di Cozzoli: era anche tra gli invitati al suo secondo matrimonio, e, quindi, non sorprende che abbia subito preso le sue difese in risposta al tweet al veleno di Carlo Calenda che salutava il ritorno di Cozzoli al Mise come l'opposto del cambiamento sbandierato da Di Maio.
Cozzoli, che ha abitato a lungo in affitto in un immobile ai Parioli dell'Enasarco a prezzi calmierati, figurava tra gli invitati al ricevimento organizzato dall'allora membro della Cosea, Francesca Immacolata Chaouqui per assistere in terrazza alla beatificazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, andato di traverso a papa Bergoglio.
Numerosissimi gli incarichi extra parlamentari di Cozzoli, tra cui quelli di presidente della commissione di secondo grado per le licenze Uefa presso la Figc e di Amerigo, associazione specializzata negli scambi culturali tra giovani italiani e americani; è pure docente di diritto pubblico a Bari (è originario di Molfetta) e diritto industriale alla Link campus, l'università prediletta dalla classe dirigente grillina.
Tra i papabili per diventare segretario generale di Palazzo Chigi si fanno i nomi di Vincenzo Fortunato, potente capo di gabinetto al ministero dell'Economia guidato da Giulio Tremonti, ma anche alle Infrastrutture dell'ex ministro Antonio Di Pietro, e quello del consigliere di Stato Carlo Deodato, già al fianco (prima come capo dell'ufficio legislativo e poi come capo di gabinetto) dell'ex ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta e vicino al nuovo ministro dell'Economia Giovanni Tria.
Invece non si sa ancora chi arriverà al ministero delle Politiche agricole. Per il passaggio di consegne il neo ministro Gian Marco Centinaio non ha trovato ad accoglierlo né il predecessore Maurizio Martina, né il suo ex capo di gabinetto Ferdinando Ferrara (grande amico dei coniugi D'Alema), premiato nel frattempo con la nomina a capo del dipartimento politiche di coesione alla presidenza del Consiglio dei ministri. L'unico rimasto a presidiare il bidone sembra che ieri fosse il segretario particolare di Martina, Gianluca De Cristofaro, ufficiale in aspettativa della Guardia di finanza. L'epifania di Centinaio era prevista per le 11 e a riceverlo c'erano un picchetto di carabinieri della Forestale, alcuni ufficiali della Guardia costiera e i due capi dipartimento superstiti (uno dei quali, ex fedelissimo di Martina e Ferrara, è stato avvistato recentemente a un convegno sull'agricoltura dei 5 stelle). Ma al suo arrivo, anziché passare in rassegna le truppe, Centinaio con le sue due assistenti si è infilato in tutta fretta nel ministero dove i direttori generali e gli altri massimi dirigenti hanno atteso invano una convocazione immediata per fare la conoscenza del nuovo principale. Centinaio, ai cerimoniosi salamelecchi, ha preferito la visita della biblioteca storica, suscitando malumore e qualche timore. Infine a destare scalpore è stata la scelta del neo ministro di mangiare nella mensa con gli altri dipendenti.
Almeno in questo caso un piccolo cambiamento si è registrato.
Giacomo Amadori
Anna Maria Fiore
Il Colle benedice la linea di Guzzetti
Giovedì e venerdì si celebrerà l'annuale consesso delle fondazioni bancarie. A presiedere i lavori sarà per l'ultima volta Giuseppe Guzzetti. Dopo 22 anni di potere indiscusso, la primavera del 2019 lascerà la sua creatura nelle mani di un delfino. Che al momento non è stato ancora nominato. Prima bisogna sistemare alcune partite fondamentali per la finanza cattolica e al tempo stesso alcune nomine nelle partecipate di Stato, quelle che realmente contano. A partire da Cdp, dove Guzzetti immagina nel ruolo di presidente Massimo Tononi, il giovane manager di Goldman Sachs e di Mps di area strettamente prodiana. Grande professionista dedito solitamente al silenzio.
Sembra, intanto, strategica la scelta fatta da Guzzetti di allargare la squadra dei vicepresidenti di cui fanno già parte, oltre a Matteo Melley, Francesco Profumo che presiede la Compagnia di San Paolo, il presidente della Cassa di risparmio di Bolzano, Gerhard Brandstätter, e l'avvocato Umberto Tombari, presidente della fondazione Cr Firenze. Il professionista della legge ha ospitato nel suo studio Maria Elena Boschi e Francesco Bonifazi e per anni ha mosso le sue scelte con l'occhio attento alle mosse di Matteo Renzi. La scelta di aderire all'Acri non va vista però come un ingresso di renziani nel sancta santorum della finanza cattolica, semmai il contrario. È Tombari che evidentemente si riposiziona in vista degli assetti futuri del Paese. E per comprendere quanto l'Acri sia un perno importante per gli equilibri di potere basta informarsi sugli ospiti di onore attesi a Parma. In prima fila si conta la presenza di Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica, che salvo imprevisti ha dato la sua disponibilità. Poi ci sarà Giancarlo Giorgetti, numero due del Carroccio e gli organizzatori hanno invitato anche Stefano Buffagni, il consiglieri di Luigi Di Maio per nomine e partecipate. Non risulta confermata la sua presenza, ma Guzzetti si aspetta che ci sia. Anche perché l'idea sarebbe quella di riunire i due rappresentanti dei partiti di governo per chiudere il cerchio delle nomine. Al di là della mera operazione di riempimento tasselli, Guzzetti sa bene che le operazioni più grandi vanno al di là delle competenze dei due partiti. Riguarderanno la grande partita tra Tim e Mediaset, la banda ultra larga e persino il futuro di Generali e di Mediobanca. Ecco perché la presenza di Mattarella appare come la benedizione di un grande progetto di un equilibrio di poteri che ci porta indietro nel tempo, quando a governare l'Italia era Beniamino Andreatta. I discepoli hanno preso poi strade diverse ma mai parallele. Basti pensare allo stesso Guzzetti, a Giovanni Bazoli e a Romano Prodi. Nome sempre presente. Lo scontro profondo tra Mattarella e Paolo Savona per il ruolo di ministro dell'Economia coinvolge il discepolo di Andreatta per eccellenza. Per capire i dissidi bisogna tornare agli anni Novanta quando Savona aveva incarichi di governo e Prodi avrebbe poi dato la sua impronta all'Iri.
Studiando il riordino delle partecipazioni statali, soprattutto dell'Iri, ente gravato da debiti enormi, «Savona (d'intesa con Carlo Azeglio Ciampi) aveva concordato una sorta di “accordo globale con la Francia"», riportava ItaliaOggi in un interessante articolo. «All'epoca, l'asse franco-tedesco non esisteva ancora, il Muro di Berlino era caduto da soli quattro anni e la Germania era lontana dal diventare la prima potenza europea. Per questo, su input di Ciampi, Savona intavolò delle trattative con il governo francese per verificare se fosse interessato alle privatizzazioni di alcune imprese di Stato, così da ridurre il debito Iri, e di riflesso quello dello Stato». Il 2 febbraio 1994 fu redatto un memorandum di accordo che riguardava quasi tutti i settori della politica industriale. Prodi seguiva disegni diversi e la storia ci insegna che Ciampi e Savona uscirono sconfitti da quella battaglia. Il mondo della finanza cattolica non accetterebbe nemmeno oggi di sedersi al fianco di Savona e Mattarella lo sa molto bene.
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L'eminenza grigia del M5s spinge al Mef l'analista Antonio Guglielmi. Claudio Costamagna lascia Cdp, al suo posto Massimo Tononi. Per la Rai si candidano Michele Santoro e Carlo Freccero.Come capo di gabinetto di Luigi Di Maio si parla di Vito Cozzoli: molto amico di Pier Ferdinando Casini, aveva già avuto questo ruolo con la Federica Guidi. Possibile la riconferma di Roberto Garofoli e di Fabrizia Lapecorella. Si vocifera di Antonio Di Pietro alle Infrastrutture.Sergio Mattarella andrà all'assemblea delle fondazioni bancarie, l'ultima prima del cambio di vertice. Attesi anche Stefano Buffagni e Giorgetti per armonizzare la nomine.Lo speciale contiene tre articoli. Il premier Giuseppe Conte è in partenza per il Canada dove è atteso per il G7. Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, raccontano sia già del tutto concentrato sui due dossier caldi: quello relativo al Def e alla Finanziaria 2019 e quello tutto europeo che riguarda la futura road map dell'unione bancaria. In questo vuoto di potere a occuparsi delle nomine delle partecipate pubbliche e di figure chiave al Tesoro sono gli uomini di riferimento di Lega e 5 stelle. Con la differenza che il Carroccio è impegnato a organizzare la macchina dei ministeri e confrontare le figure necessarie a chiudere le seconde file del governo. I grillini si stanno dimostrando più interessati alle poltrone delle partecipate e al vertice del Tesoro. Vincenzo La Via, direttore generale del dicastero dell'Economia, ha fatto le valigie ormai il mese scorso e la vacatio è coperta per legge fino alla fine di giugno. Ma i 5 stelle vogliono approfittare di questi giorni di insediamento per portare a casa più nomi possibile. E a stringere sul Tesoro a quanto risulta alla Verità è lo stesso Davide Casaleggio che ieri avrebbe formalizzato al premier Conte la volontà di vedere su quella poltrona il manager di Mediobanca, Antonio Guglielmi, già responsabile di Mediobanca securities e ora capo dell'equity market per l'Italia. Tra i corridoi del Mef sono in molti già a storcere il naso. Guglielmi è considerato fuori dagli schemi e soprattutto tutti ricordano un report a sua firma che fece rizzare le orecchie ai mercati. Era il gennaio del 2017 quando Gugliemi diffuse un documento per quantificare costi e benefici dell'uscita dall'euro per l'Italia. Il report aveva il difetto di prestare il fianco a interpretazioni un po' distorte. Tanto che gli euroscettici sintetizzarono il documento in un solo messaggio: uscire dalla moneta unica porterebbe un beneficio di 8 miliardi. La faccenda era molto più complicata. In ogni caso appena depositato il polverone, Guglielmi - non sappiamo se sia stata solo coincidenza - è stato trasferito d'incarico. Ora quello studio potrebbe invece essere inserito nel curriculum a pieno titolo. E su questo il Colle non ha competenze, perché la nomina del dg del Tesoro spetta esclusivamente al presidente del Consiglio. Da qui si misurerà il potere di Casaleggio, così come si prenderanno le misure della politica economica pubblica dalle nomine in Cdp. Ieri il presidente Claudio Costamagna ha fatto sapere che non si presenterà per il secondo mandato all'assemblea del 20 giugno. Una decisione che induce Giuseppe Guzzetti, presidente dell'associazione delle fondazioni (Acri), azioniste di minoranza ma che esprimono il presidente, a ricordare che «nei prossimi giorni le fondazioni si riuniranno e decideranno chi indicare». Parole formali. In realtà Costamagna non godeva più dell'appoggio di Guzzetti che da dieci giorni punta su Massimo Tononi, già al vertice di Mps.Nella maggioranza di governo infatti specie il M5s ha più volte esplicitamente evocato per la Cdp un ruolo fondamentale e più incisivo nella politica economica del governo gialloblù, non sempre aderente alle norme europee e allo stesso statuto del gruppo. In ballo c'è poi anche la carica di ad la cui scelta spetta al Tesoro e quindi al neo ministro Giovanni Tria. I nomi che circolano sono quelli dell'ex ad di Poste, Massimo Sarmi e di Dario Scannapieco, vicepresidente della Bei ed esperto di finanza pubblica, proprio quella che negli ultimi due anni la Cdp ha perso per strada. Oltre alla soluzione interna nella persona di Fabrizio Palermo, attuale direttore finanziario di Cdp, s'avanza anche il nome di Flavio Valeri, attuale numero uno di Deutsche bank Italia, più apprezzato dai 5 stelle che dalle fondazioni. Non è da escludere che il nome dell'ad uscirà dopo domani dall'assemblea annuale dell'Acri, l'associazione delle fondazioni bancaria. A Parma infatti oltre a Guzzetti saranno presenti anche Giancarlo Giorgetti per la Lega e Stefano Buffagni per i 5 stelle. Perché alla fine le nomine che contano si fanno sempre attorno al focolare dell'Acri. Costamagna approdò tre anni fa su indicazione dell'allora premier Matteo Renzi dopo un acceso confronto con le fondazioni, che avrebbero preferito la riconferma di Franco Bassanini facendo leva sul loro diritto di indicare il presidente. Uno scontro che si risolse dopo una mediazione al congresso Acri di Lucca con il passo indietro di Bassanini, a cui venne assegnato un ruolo di consigliere a Palazzo Chigi che riguardava anche i compiti della Cassa.Fino al mese scorso Costamagna era convinto di rimanere in corsa per Cdp dopo aver approvato l'ingresso in Tim, applaudito in maniera bipartisan, che ha conseguito il ribaltone contro i francesi di Vivendi. Ora si apre una nuova stagione. Stesso discorso, anche se partita diversa vale per la Rai. Il cda scade il 30 giugno. Si sono fatti avanti addirittura in 236. Spiccano Giovanni Minoli, Michele Santoro, Milena Gabanelli, Carlo Freccero e Franco Siddi. Si sono fatte avanti anche le associazioni dei consumatori, quelle guidata da Carlo Rienzi e Massimiliano Dona. 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Gli affari di Garofoli, che è stato nominato circa un anno fa presidente di sezione della Corte dei conti, sono finiti al centro di un'inchiesta di questo giornale. Abbiamo raccontato che i suoi corsi propedeutici al superamento dell'esame da magistrato erano sino a poco tempo fa un ricco business gestito da società riconducibili alla moglie e su cui il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa nei mesi scorsi ha avviato alcuni accertamenti. Rimanendo a via XX settembre, mentre tutti gli altri portavoce del governo Renzi hanno fatto gli scatoloni, chi ha ancora sei mesi di contratto blindato è il portavoce di Pier Carlo Padoan, Roberto Basso che per avere un incarico che reggesse alle intemperie governative, si è fatto nominare a ottobre 2015 per tre anni direttore della comunicazione istituzionale del Mef, rimuovendo la dirigente interna Patrizia Nardi a cui è stato assegnato un incarico di studio. Tutto questo con il via libera del già citato Garofoli, che non ha avuto nulla da obiettare rispetto a questa iniziativa sui generis. Anzi, Basso è stato anche nominato presidente di Consip, la centrale di acquisti della pubblica amministrazione. Al Mef si dice che sia agitata per lo spoils system Fabrizia Lapecorella, direttore generale del dipartimento delle finanze. Nominata da Giulio Tremonti nel 2008, ha stabilito un record: a differenza degli altri direttori generali del Mef e direttori delle agenzie fiscali, è stata nominata per quattro mandati di seguito. Lapecorella spera di essere confermata e di arrivare indenne al 2020, rimanendo in sella per il dodicesimo anno. Al super ministero del Lavoro e dello sviluppo economico guidato da Luigi Di Maio, il capo politico del Movimento 5 stelle, che ha fatto della battaglia all'establishment la propria bandiera, sembra che arriverà - anzi ritornerà - come capo di gabinetto proprio un uomo che quel potere rappresenta. Si tratta di Vito Cozzoli, che nelle scorse settimane è stato in corsa anche per la presidenza della Figc, già capo di gabinetto del Mise con Federica Guidi, costretta a dimettersi per l'affare Tempa rossa. Cozzoli è attualmente consigliere capo della sicurezza di Montecitorio e prima dell'incarico con la Guidi è stato per otto anni capo dell'Avvocatura di Montecitorio, dopo essere stato promosso a luglio del 2005 a consigliere capo servizio da Pier Ferdinando Casini (qualche mese prima della fine del suo mandato come presidente della Camera), a cui aveva curato la segreteria dell'ufficio di presidenza della Camera dei deputati dal 2003. Casini è molto amico di Cozzoli: era anche tra gli invitati al suo secondo matrimonio, e, quindi, non sorprende che abbia subito preso le sue difese in risposta al tweet al veleno di Carlo Calenda che salutava il ritorno di Cozzoli al Mise come l'opposto del cambiamento sbandierato da Di Maio. Cozzoli, che ha abitato a lungo in affitto in un immobile ai Parioli dell'Enasarco a prezzi calmierati, figurava tra gli invitati al ricevimento organizzato dall'allora membro della Cosea, Francesca Immacolata Chaouqui per assistere in terrazza alla beatificazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, andato di traverso a papa Bergoglio. Numerosissimi gli incarichi extra parlamentari di Cozzoli, tra cui quelli di presidente della commissione di secondo grado per le licenze Uefa presso la Figc e di Amerigo, associazione specializzata negli scambi culturali tra giovani italiani e americani; è pure docente di diritto pubblico a Bari (è originario di Molfetta) e diritto industriale alla Link campus, l'università prediletta dalla classe dirigente grillina. Tra i papabili per diventare segretario generale di Palazzo Chigi si fanno i nomi di Vincenzo Fortunato, potente capo di gabinetto al ministero dell'Economia guidato da Giulio Tremonti, ma anche alle Infrastrutture dell'ex ministro Antonio Di Pietro, e quello del consigliere di Stato Carlo Deodato, già al fianco (prima come capo dell'ufficio legislativo e poi come capo di gabinetto) dell'ex ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta e vicino al nuovo ministro dell'Economia Giovanni Tria. Invece non si sa ancora chi arriverà al ministero delle Politiche agricole. Per il passaggio di consegne il neo ministro Gian Marco Centinaio non ha trovato ad accoglierlo né il predecessore Maurizio Martina, né il suo ex capo di gabinetto Ferdinando Ferrara (grande amico dei coniugi D'Alema), premiato nel frattempo con la nomina a capo del dipartimento politiche di coesione alla presidenza del Consiglio dei ministri. L'unico rimasto a presidiare il bidone sembra che ieri fosse il segretario particolare di Martina, Gianluca De Cristofaro, ufficiale in aspettativa della Guardia di finanza. L'epifania di Centinaio era prevista per le 11 e a riceverlo c'erano un picchetto di carabinieri della Forestale, alcuni ufficiali della Guardia costiera e i due capi dipartimento superstiti (uno dei quali, ex fedelissimo di Martina e Ferrara, è stato avvistato recentemente a un convegno sull'agricoltura dei 5 stelle). Ma al suo arrivo, anziché passare in rassegna le truppe, Centinaio con le sue due assistenti si è infilato in tutta fretta nel ministero dove i direttori generali e gli altri massimi dirigenti hanno atteso invano una convocazione immediata per fare la conoscenza del nuovo principale. Centinaio, ai cerimoniosi salamelecchi, ha preferito la visita della biblioteca storica, suscitando malumore e qualche timore. Infine a destare scalpore è stata la scelta del neo ministro di mangiare nella mensa con gli altri dipendenti. Almeno in questo caso un piccolo cambiamento si è registrato.Giacomo AmadoriAnna Maria Fiore <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/come-direttore-del-tesoro-casaleggio-vuole-un-uomo-di-mediobanca-2575464902.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-colle-benedice-la-linea-di-guzzetti" data-post-id="2575464902" data-published-at="1766135761" data-use-pagination="False"> Il Colle benedice la linea di Guzzetti Giovedì e venerdì si celebrerà l'annuale consesso delle fondazioni bancarie. A presiedere i lavori sarà per l'ultima volta Giuseppe Guzzetti. Dopo 22 anni di potere indiscusso, la primavera del 2019 lascerà la sua creatura nelle mani di un delfino. Che al momento non è stato ancora nominato. Prima bisogna sistemare alcune partite fondamentali per la finanza cattolica e al tempo stesso alcune nomine nelle partecipate di Stato, quelle che realmente contano. A partire da Cdp, dove Guzzetti immagina nel ruolo di presidente Massimo Tononi, il giovane manager di Goldman Sachs e di Mps di area strettamente prodiana. Grande professionista dedito solitamente al silenzio. Sembra, intanto, strategica la scelta fatta da Guzzetti di allargare la squadra dei vicepresidenti di cui fanno già parte, oltre a Matteo Melley, Francesco Profumo che presiede la Compagnia di San Paolo, il presidente della Cassa di risparmio di Bolzano, Gerhard Brandstätter, e l'avvocato Umberto Tombari, presidente della fondazione Cr Firenze. Il professionista della legge ha ospitato nel suo studio Maria Elena Boschi e Francesco Bonifazi e per anni ha mosso le sue scelte con l'occhio attento alle mosse di Matteo Renzi. La scelta di aderire all'Acri non va vista però come un ingresso di renziani nel sancta santorum della finanza cattolica, semmai il contrario. È Tombari che evidentemente si riposiziona in vista degli assetti futuri del Paese. E per comprendere quanto l'Acri sia un perno importante per gli equilibri di potere basta informarsi sugli ospiti di onore attesi a Parma. In prima fila si conta la presenza di Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica, che salvo imprevisti ha dato la sua disponibilità. Poi ci sarà Giancarlo Giorgetti, numero due del Carroccio e gli organizzatori hanno invitato anche Stefano Buffagni, il consiglieri di Luigi Di Maio per nomine e partecipate. Non risulta confermata la sua presenza, ma Guzzetti si aspetta che ci sia. Anche perché l'idea sarebbe quella di riunire i due rappresentanti dei partiti di governo per chiudere il cerchio delle nomine. Al di là della mera operazione di riempimento tasselli, Guzzetti sa bene che le operazioni più grandi vanno al di là delle competenze dei due partiti. Riguarderanno la grande partita tra Tim e Mediaset, la banda ultra larga e persino il futuro di Generali e di Mediobanca. Ecco perché la presenza di Mattarella appare come la benedizione di un grande progetto di un equilibrio di poteri che ci porta indietro nel tempo, quando a governare l'Italia era Beniamino Andreatta. I discepoli hanno preso poi strade diverse ma mai parallele. Basti pensare allo stesso Guzzetti, a Giovanni Bazoli e a Romano Prodi. Nome sempre presente. Lo scontro profondo tra Mattarella e Paolo Savona per il ruolo di ministro dell'Economia coinvolge il discepolo di Andreatta per eccellenza. Per capire i dissidi bisogna tornare agli anni Novanta quando Savona aveva incarichi di governo e Prodi avrebbe poi dato la sua impronta all'Iri. Studiando il riordino delle partecipazioni statali, soprattutto dell'Iri, ente gravato da debiti enormi, «Savona (d'intesa con Carlo Azeglio Ciampi) aveva concordato una sorta di “accordo globale con la Francia"», riportava ItaliaOggi in un interessante articolo. «All'epoca, l'asse franco-tedesco non esisteva ancora, il Muro di Berlino era caduto da soli quattro anni e la Germania era lontana dal diventare la prima potenza europea. Per questo, su input di Ciampi, Savona intavolò delle trattative con il governo francese per verificare se fosse interessato alle privatizzazioni di alcune imprese di Stato, così da ridurre il debito Iri, e di riflesso quello dello Stato». Il 2 febbraio 1994 fu redatto un memorandum di accordo che riguardava quasi tutti i settori della politica industriale. Prodi seguiva disegni diversi e la storia ci insegna che Ciampi e Savona uscirono sconfitti da quella battaglia. Il mondo della finanza cattolica non accetterebbe nemmeno oggi di sedersi al fianco di Savona e Mattarella lo sa molto bene.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 19 dicembre con Flaminia Camilletti
Alberto Stasi (Ansa)
Ieri, nell’aula del tribunale di Pavia, quell’ombra è stata cancellata dall’incidente probatorio. «È stato chiarito definitivamente che Stasi è escluso». Lo dice senza giri di parole all’uscita dal palazzo di giustizia Giada Bocellari, difensore con Antonio De Rensis di Stasi. «Tenete conto», ha spiegato Bocellari, «che noi partivamo da una perizia del professor Francesco De Stefano (il genetista che nel 2014 firmò la perizia nel processo d’appello bis, ndr) che diceva che il Dna era tutto degradato e che Stasi non poteva essere escluso da quelle tracce». È il primo elemento giudiziario della giornata di ieri. La stessa Bocellari, però, mette anche un freno a ogni lettura forzata: «Non è che Andrea Sempio verrà condannato per il Dna. Non verrà mai forse neanche rinviato a giudizio solo per il Dna». Gli elementi ricavati dall’incidente probatorio, spiega, sono «un dato processuale, una prova che dovrà poi essere valutata e questo lo potrà fare innanzitutto la Procura quando dovrà decidere, alla fine delle indagini, cosa fare». Dentro l’aula, però, la tensione non è stata solo scientifica. È stata anche simbolica. Perché Stasi era presente. Seduto, in silenzio. E la sua presenza ha innescato uno scontro.
«È venuto perché questa era una giornata importante», spiega ancora Bocellari, aggiungendo: «Tenete conto che sono undici anni che noi parliamo di questo Dna e finalmente abbiamo assunto un risultato nel contraddittorio». Una scelta rivendicata senza tentennamenti: «Tenete conto anche del fatto che lui ha sempre partecipato al suo processo, è sempre stato presente alle udienze e quindi questo era un momento in cui esserci, nel massimo rispetto anche dell’autorità giudiziaria che oggi sta procedendo nei confronti di un altro soggetto». E quel soggetto è Sempio. Indagato. Ma assente. Una scelta opposta, spiegata dai suoi legali. «In ogni caso non avrebbe potuto parlare», chiarisce Angela Taccia, che spiega: «Il Dna non è consolidato, non c’è alcuna certezza contro Sempio. Il software usato non è completo, anzi è molto scarno, non si può arrivare a nessun punto fermo». Lo stesso tono lo usa Liborio Cataliotti, l’altro difensore di Sempio. «Confesso che non mi aspettavo oggi la presenza di Stasi. Però non mi sono opposto, perché si è trattato di una presenza, sia pur passiva, di chi è interessato all’espletamento della prova. Non mi sembrava potessero esserci controindicazioni alla sua presenza». Se per la difesa di Sempio la presenza di Stasi è neutra, sul fronte della famiglia Poggi il clima è diverso. L’avvocato Gian Luigi Tizzoni premette: «Vedere Stasi non mi ha fatto nessun effetto, non ho motivi per provare qualsiasi tipo di emozione». Ma la linea processuale è chiara. Durante l’udienza i legali dei Poggi (rappresentati anche dall’avvocato Francesco Compagna) hanno chiesto che Stasi uscisse dall’aula perché «non è né la persona offesa né l’indagato». Richiesta respinta dal gip Daniela Garlaschelli come «irrilevante e tardiva», perché giunta «a sei mesi di distanza dall’inizio dell’incidente probatorio». Stasi è stato quindi ammesso come «terzo interessato». Ma l’avvocato Compagna tiene il punto: «Credo che di processuale ci sia poco in questa vicenda, è un enorme spettacolo mediatico». E attacca sul merito: «La verità è che le unghie sono prive di significato, visto che la vittima non si è difesa e giocare su un dato che non è scientifico è una follia».
La perita Denise Albani, ricorda Compagna, «ha ribadito che non si può dire come, dove e quando quella traccia è stata trasferita e quindi non ha valore». Deve essersi sentito un terzo interessato anche il difensore dell’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti (indagato a Brescia per un’ipotesi di corruzione in atti giudiziari riferita all’archiviazione della posizione di Sempio nel 2017). L’avvocato Domenico Aiello, infatti, ha alzato il livello dello scontro: «Non mi risulta che esista la figura della parte processuale del “terzo interessato”. Si è palesato in aula a Pavia il titolare effettivo del subappalto di manodopera nel cantiere della revisione». E insiste: «Sarei curioso di capire se sia soddisfatto e in quale veste sarà registrato al verbale di udienza, se spettatore abusivo o talent scout od osservatore interessato. Ancora una grave violazione del Codice di procedura penale. Spero non si sostituisca un candidato innocente con un altro sfortunato innocente e a spese di un sicuro innocente».
Ma mentre le polemiche rimbalzano fuori dall’aula, dentro il dato resta tecnico. E su quel dato, paradossalmente, tutti escono soddisfatti. «Dal nostro punto di vista abbiamo ottenuto risposte che riteniamo molto ma molto soddisfacenti sulla posizione di Sempio», dice Cataliotti. Taccia conferma: «Siamo molto soddisfatti di com’è andata oggi». La difesa di Sempio ribadisce che il dato è neutro, parziale, non decisivo. La difesa di Stasi incassa l’esclusione definitiva del Dna. E alla fine l’incidente probatorio ha fatto la sua parte. Ha prodotto una prova. Ha chiarito un equivoco storico. E ha lasciato ognuno con il proprio argomento in mano. Fuori dall’aula, però, il processo mediatico si è concentrato tutto sulla presenza di Stasi e sull’assenza di Sempio, come se l’innocenza o la colpevolezza di qualcuno fosse misurabile a colpi di apparizioni sceniche.
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