2023-12-14
Colpa dei silenzi di Chiesa e politica se ormai sui suicidi decidono i giudici
La fine di Anna sdogana l’eutanasia nel Paese grazie al vuoto di valori e di leggi.È un silenzio di preghiera quello che arriva dalla Chiesa dopo il primo suicidio assistito in Italia. Lo ha lasciato intendere monsignor Enrico Trevisi, vescovo di Trieste, direttamente coinvolto perché l’Anna (pseudonimo scelto da lei) che ha deciso di darsi la morte il 28 novembre scorso, viveva nella città giuliana. «La affido al Signore, lui solo conosce quello che abbiamo nel cuore, le nostre debolezze e le nostre speranze», ha commentato il prelato, scegliendo di concentrarsi sull’umanità che sempre deve accompagnare l’ultimo viaggio senza entrare nel merito di una decisione che, di fatto, sdogana l’eutanasia di Stato nel nostro Paese.Anna era giovane, aveva 55 anni e da 13 era afflitta da sclerosi multipla. Assistita dall’associazione Luca Coscioni, si è incamminata sulla strada del suicidio e ha trovato terreno fertile nel vuoto legislativo in materia, sostituito da una sentenza della Corte Costituzionale del 2019 che (sotto forma di invito al legislatore ad occuparsi del tema) è diventata una sorta di Magna Charta per chi decide di smettere di vivere. La Chiesa in preghiera nasconde ovviamente l’imbarazzo di chi si vede bypassato regolarmente dai blitz di Marco Cappato e dei radicali nell’elaborazione del pensiero collettivo sui temi etici. Sensibile alle problematiche arcobaleno e ancora di più alle sollecitazioni economiche per far navigare la Mare Jonio con al timone Luca Casarini, il Vaticano non trova le parole per affrontare un problema enorme che sta mettendo l’intero sistema con le spalle al muro. L’unico ad alzare la voce è il vescovo di Ventimiglia, Antonio Suetta, che parla di «scelta certamente non libera», individuando il problema «nella cultura di chi porta avanti questo genere di discorsi e nell’assenza di legislazione dello Stato». In realtà il timido silenzio delle tonache è sorprendente perché basterebbe ribadire le parole di Papa Francesco sulla «cultura dello scarto» per riaffermare un solido principio di vita. «Falsa compassione è quella» sottolineò il Pontefice rivolgendosi all’associazione medici cattolici italiani, «che ritiene sia un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono. La compassione evangelica invece è quella che accompagna nel momento del bisogno, cioè quella del Buon Samaritano che vede, ha compassione, si avvicina e offre aiuto concreto». Per poi aggiungere in un altro contesto: «L’eutanasia è un crimine contro la vita perché inguaribile non significa incurabile».Prendiamo atto che non è più il tempo delle battaglie ideali a favore dell’uomo e che neppure i toni ammonitori sono consentiti nell’era del conformismo di massa. Ma prima di Francesco anche Benedetto XVI aveva dato una linea precisa: «Chi ha il senso della dignità umana sa che i fratelli e le sorelle sofferenti vanno rispettati e sostenuti mentre affrontano serie difficoltà legate al loro stato. È anzi giusto che si ricorra pure, quando è necessario, all’utilizzo di cure palliative». E Giovanni Paolo II disse chiaramente, a proposito del suicidio assistito: «Ciò che potrebbe sembrare logico e umano, visto in profondità si presenta assurdo e disumano. Siamo qui di fronte a uno dei sintomi più allarmanti della cultura di morte». C’è un altro silenzio perfino più arrendevole, ed è quello del Parlamento, nella figura decisiva del legislatore. Se l’eutanasia di Stato si è affacciata con il suo volto di morte in Italia, la responsabilità principale è della latitanza della politica, sollecitata invano da quattro anni a produrre un decreto su un argomento così importante e divisivo. Purtroppo nessun partito si è sentito in dovere di riconoscere l’urgenza della materia. Una pigrizia colpevole, con l’inevitabile conseguenza di farsi sostituire dalla magistratura che da qualche anno si propone (fuori dalla Costituzione) non solo di far rispettare le regole, ma di cambiarle a suo piacimento.
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