2025-10-02
Claudio Del Monaco: «Alla lirica italiana d’oggi manca la tecnica»
Claudio Del Monaco (Ansa)
Il figlio di Mario, leggendario tenore: «La sua voce “copriva” la Callas, e a lei dava fastidio. Pavarotti gli chiedeva consigli I maestri di canto insegnano la musica, ma non il metodo. E così per il repertorio spinto siamo costretti a chiamare russi e bulgari».Enciclopedie di prestigio, come l’italiana Treccani e la francese Larousse, hanno dedicato una voce a Mario Del Monaco e, tra i vari libri sulla sua vita, quello di Elisabetta Romagnolo, Monumentum aere perennius, edito da Azzali nel 2002, è il più completo, 931 pagine. Tuttavia, l’enciclopedia vivente del leggendario tenore toscano è il figlio, Claudio Del Monaco, che ha diretto il Teatro nazionale di Belgrado. Oggi è maestro di canto e ultimo depositario della tecnica vocale del padre, quella che l’ha fatto grande nel mondo e rischia di andare perduta, un’azione esercitata con straordinaria passione anche dal suo collega e amico Einar Jason Russo. Nel 1981, per la tv, Enzo Biagi si recò nella villa di Lancenigo (Treviso) per intervistare il padre di Claudio, che disse: «Molti pensano abbia avuto il successo facile. Invece ho costruito il mio trionfo giorno per giorno, lottando contro grandi difficoltà». La sua dieta? Bistecca e insalata. Una delle trasmissioni Rai, a lui dedicate, titolò: «Da Caruso a Gigli, da Gigli a Del Monaco, da Del Monaco a Dio». I grandi della terra, dalla regina madre d’Inghilterra al capo dell’ex Urss Nikita Krusciov vollero conoscerlo. Hirohito, 124° imperatore del Giappone, per protocollo, non poteva uscire dal suo palazzo e pagò l’orchestra di Tokyo per sentire l’Otello interpretato dal tenore - nella sua carriera lo recitò 427 volte - davanti a lui e alla sua corte. La rivalità di Maria Callas nei suoi confronti? Celebre. Claudio, oggi custodisci e trasmetti la tecnica vocale di tuo padre. «Ho una scuola di canto e desidero parlare di due allievi che m’interessano molto, uno è un giovane tenore, Alessandro Moccia, che si è fatto da solo ascoltando i dischi di Mario, e poi Daniela D’Arminio, nome d’arte di mia moglie, soprano, che ha 4 lauree, organo, pianoforte, direzione d’orchestra e direzione di coro, una wagneriana completa e oggi non ce ne sono più. Nel concerto che ha fatto all’ambasciata russa in onore di Mario Del Monaco ha avuto un grande successo». Chi sono stati i tre più grandi tenori della storia del melodramma italiano?«Enrico Caruso, Beniamino Gigli, Mario Del Monaco. L’Enciclopedia Treccani parla di tutti e tre. Caruso (1873-1921, ndr), napoletano verace, cantò a Napoli e fu contestato. Si arrabbiò, s’imbarcò su una nave e negli Stati Uniti diventò una star. Gigli (1890-1957, ndr) aveva un falsetto che nessuno aveva. Il suo maestro di canto gli aveva insegnato come emettere i suoni e altrettanto accadde per Mario Del Monaco (1915-1982, ndr), il quale però ebbe problema. Quando vinse il concorso di canto a Roma, con mia madre, anche lei soprano - allora erano fidanzati - gli dissero “no, Mario, non va bene, deve stare con noi a studiare”. Lo fece ma perse quella voce potenziale che gli aveva insegnato il suo maestro di Pesaro, Arturo Melotti». E allora che successe? «Mia madre, incavolata, lo riportò a Pesaro da Melotti, che gli disse “mi hai tradito nella tecnica vocale e, se continui a cambiarla, finirai per perdere la voce”. Lo fece aspettare sei mesi per punizione. Debuttò a Cagli, nelle Marche, nel 1939, nella Cavalleria rusticana. Da lì, a Milano, fece un’audizione e dopo un si-bemolle straordinario lo mandarono a cantare in tutti i teatri di Sicilia. Da lì iniziò la sua carriera».Questa tecnica insegnatagli da Melotti che fine ha fatto? «Oggi la tecnica foniatrica rischia di andare perduta per sempre. Caruso, Gigli, Del Monaco hanno studiato con maestri di canto che gli insegnarono la foniatria. Ho avuto allievi anche da Svizzera e Germania a studiare con me. Mio padre diceva di usare il diaframma e non cantare di gola. “Si canta usando il diaframma, non affaticare la gola”. Oggi può succedere che si canti con il microfono? Non lo dico io, ma lo riferisce qualche spettatore. All’epoca di mio padre e della Tebaldi si sarebbero rifiutati di salire sul palcoscenico».Perché l’Italia, il Paese più musicale del mondo, non ha più sfornato talenti del calibro di Caruso, Gigli, Del Monaco? «Rispondo con una domanda. Perché in Italia, per il repertorio spinto, vengono a cantare russi e bulgari? Perché cantano con una tecnica simile a quella di Mario Del Monaco. I maestri di canto insegnano la musica, ma la tecnica di canto? Dove sono oggi i bassi come Giulio Neri e Cesare Siepi? Dove sono i baritoni come Aldo Protti ed Ettore Bastianini? Dove sono i tenori come Franco Bonisolli, Lando Bartolini, Carlo Bergonzi, Giuseppe Di Stefano? Dove sono i soprani come Rosanna Carteri, Giovanna Casolla, Katia Ricciarelli? Dove sono i mezzo soprani come Giulietta Simionato? Gastone Limarilli è stato l’unico allievo di mio padre che, seguendo la sua tecnica, ha fatto oltre 2.000 recite senza stecche. Franco Corelli ha dichiarato che Mario “è stato il maestro di tutti noi”. Inoltre, nelle sue interpretazioni, le parole si capivano benissimo».Sul versante maschile non abbiamo ancora citato un nome, Luciano Pavarotti… «Intorno al 1975, da Parigi tornai nella villa dove abitava papà. Pavarotti stava salendo su una Mercedes. Mio padre mi disse: “Luciano mi chiedeva consigli”. Gli rispose: “Lei ha una voce importante, ma non vada su un repertorio lirico spinto, come lo Chénier, canti il suo repertorio, come La figlia del reggimento, La Tosca”. Infatti Pavarotti, bella voce italiana, non ha mai fatto l’Otello, l’Aida sì. Poi divenne un fenomeno mediatico». E la più grande voce femminile?«Renata Tebaldi (1922-2004, ndr), irraggiungibile, come Mario Del Monaco, due colossi. Hanno cantato insieme per circa 30 anni e registrato per la Decca circa 20 opere. A fine carriera viveva a San Marino. Un giorno la chiamai, “buongiorno, parlo con il monumento vivente che si chiama Renata Tebaldi?”. Mi rispose: “Claudio, sei un gentiluomo come tuo padre”. Mi fece la dedica in una foto che purtroppo è sparita». Apriamo il capitolo Maria Callas. Tutti sanno del suo antagonismo non solo nei confronti della Tebaldi, ma anche di tuo padre. «Alla Scala di Milano, dopo la Norma, dietro le quinte, lei dichiarò: “Se qualcuno fosse un cavaliere mi farebbe uscire da sola”. Mio padre le ha rispose: “Io sono commendatore e da sola non esci”. Allora inveì contro di lui e voleva graffiarlo».Nell’intervista con Biagi, Del Monaco sostenne: «Voleva ringraziare il pubblico da sola, s’inginocchiava, buttava i capelli in avanti come Milva, faceva tutto uno spettacolo nello spettacolo, riscuoteva applausi fantastici, ma volevo uscire anch’io».«Nel 1951 al teatro di Città del Messico, nell’Aida, con Callas e Del Monaco, il sovrintendente aveva messo un cartello: “Canterà Mario Del Monaco, il più grande tenore del mondo”. A lei la cosa dette fastidio. Tornato a Milano, mio padre disse che, in Messico, la Callas aveva fatto una bella Aida. Ma lei continuò a inveire contro di lui. Questo perché la potenza vocale, bronzea, di tenore baritonale e gli acuti strepitosi coprivano la voce della Callas».Sempre con Biagi, in punta di fioretto, aggiunse: «La Tebaldi era la regina della Scala fino al 1952-53. Quando diventò una diva la Tebaldi giustamente si offese. La voce della Tebaldi è unica e bisogna aspettare mezzo secolo perché ne venga fuori un’altra. La Callas, donna elegante, raffinata, aveva grandissimi appoggi, era favorita dalla Rizzoli e dal Corriere della Sera». «La voce della Callas aveva 36 colori, un po’ stridula, nelle registrazioni sonore non veniva bene, ma era una grande artista sul palcoscenico. Aveva i contatti. Meneghini (Giovanni Battista Meneghini, marito del soprano, imprenditore nato a Ronco all’Adige, Verona, il 23 ottobre 1895, ndr) era amico della Rizzoli. Papà andò a trovarlo a Sirmione, prima che morisse, vide la foto della Callas che teneva sul pianoforte e gli disse: “Non è più ritornata”. Su Tebaldi-Callas, Sergio Segalini, su Opéra International, scrisse: “L’angelo era la Tebaldi, il diavolo era la Callas”». Con il rispetto dovuto a Maria Callas che poi si mise con Aristotele Onassis e a fine carriera fece film con Pier Paolo Pasolini, entrambi morti prima di lei, nel 1975, le circostanze della sua morte, avvenuta il 16 settembre 1977, restano poco chiare. Non fu sottoposta ad autopsia e fu cremata. Tu, all’epoca, vivevi a Parigi. «Avevo un albergo, Hotel de Berne, nell’8° arrondissement. Andavo a teatro con il capo di divisione della polizia finanziaria, che amava la lirica. Quando la Callas fu trovata morta mi chiamò. Aveva saputo dai suoi colleghi della polizia giudiziaria che la sua governante l’aveva trovata esanime nell’appartamento che le acquistò Onassis, al 36 di av. Georges Mandel, vicino a Place du Trocadéro. Io abitavo nella stessa strada. Pare avesse assunto barbiturici». Tua madre era un soprano e rinunciò alla lirica per amore del marito. «Rina Filippini, era soprano. Il 60% della carriera di Mario è dovuto alla Rina, che aveva un orecchio musicale straordinario. Me lo dichiarò il direttore d’orchestra Lamberto Gardelli». Ti capita di sognare Mario? «Mi manca tanto. Feci 12 anni in collegio a Losanna e vedevo mio padre e mia madre due volte all’anno. La sua tecnica era una magia».
Beppe Sala (Imagoeconomica)