
La cronaca è dominata da appelli alla bontà, a livello sociale cerchiamo di bandire ogni tipo di violenza Ma, da «Creed» a «Punisher» passando per «John Wick», rubano la scena gli eroi che picchiano con gusto. Sono anni che ce la mettiamo tutta per nascondere la violenza sotto al tappeto. L'abbiamo di fatto bandita dal discorso pubblico: è possibile nominarla solo per condannarla senza se e senza ma. L'Occidente, in blocco, rifiuta l'idea che la violenza faccia parte dell'essere umano. Si prodiga in ogni modo possibile per allontanarla da sé. Persino quando mandiamo i militari a morire dall'altra parte del mondo parliamo di «missione di pace». Ogni riferimento all'aggressività, alla forza e al contatto fisico è proibito. Anche per questo motivo il principio maschile oggi è tanto osteggiato: perché viene associato alla violenza, ovvero al grande rimosso del nostro tempo. In realtà, la violenza non è affatto scomparsa. Non ne discutiamo, fingiamo per quanto possibile di non vederla, eppure rispunta ovunque. Magari in forma sublimata, o magari in qualche luogo tanto lontano da non farci sentire chiamati in causa. Eppure è lì, poco visibile ma estremamente diffusa. Il fatto è questo: nascondere la verità della violenza, fingere che non faccia parte dell'essere umano significa soltanto renderla più incontrollabile e più estrema. Lo ha spiegato bene, qualche anno fa, lo studioso americano Jonathan Gottschall, in un bel libro intitolato Il professore sul ring. Perché gli uomini combattono e a noi piace guardarli (Bollati Boringhieri). A suo dire, «più una società mette in mostra la propria violenza in contesti regolati, meno la violenza tracima poi davvero nelle strade. Il combattimento, insomma, è una strategia vincente, che ha consentito alla nostra specie di prosperare, stabilire le sue inevitabili gerarchie e minimizzare i rischi di uno scontro reale».È, più o meno, lo stesso concetto che Chuck Palahniuk esprimeva in Fight club, romanzo capace di rovistare nella cattiva coscienza occidentale. In quel libro, la violenza riesplodeva nell'ombra, nei combattimenti clandestini organizzati da giovani uomini la cui furia repressa sfociava poi in un delirante piano terroristico. Certo, era solo una ruvida fiction. Eppure coglieva nel segno. La violenza rimossa, a ben guardare, rispunta anche ai giorni nostri, per lo meno sugli schermi dei cinema e delle televisioni. Riguadagna la scena, forse proprio perché in momenti di grande confusione c'è bisogno di catartiche esplosioni di rabbia e aggressività immaginarie. Prendendola sul ridere, potremmo dire che, contro il logorio della vita moderna, non resta che roteare i pugni. Un'attività che, esercitata dal vero, non piace a molti. Però, a quanto pare, sono in parecchi ad apprezzare lo spettacolo, seduti al sicuro sulle poltroncine. Nell'ultimo fine settimana, come ha notato Marco Giusti su Dagospia, a sbancare i botteghini italiani è stato un film in cui di cazzotti ce ne sono in abbondanza. Si tratta di Creed II, ennesimo capitolo della saga di Rocky Balboa con Sylvester Stallone nei panni del pugile italoamericano e il giovane Michael B. Jordan nel ruolo di Adonis Creed, il figlio del celebre Apollo. Per l'occasione è stato riesumato pure Dolph Lundgren, noto ai più come Ivan Drago, montagna di muscoli di origine sovietica (nella nuova pellicola lo vediamo in veste di allenatore di suo figlio Viktor). Solo qualche anno fa un film del genere sarebbe stato accolto da pernacchie, invece ora funziona eccome (nel nostro Paese ha incassato 3,7 milioni di euro). Per altro è in buonissima e sanguinaria compagnia. L'ultraviolenza e i suoi adepti stanno ritornando alla grande. Dagli anni Novanta in poi giustizieri, vigilantes e picchiatori di periferia erano caduti in disgrazia. Gli spruzzi di sangue e le botte da orbi tutt'al più se li poteva permettere Quentin Tarantino, non prima di averli risciacquati nell'ironia postmoderna. Pure i supereroi in calzamaglia hanno messo un limite alle sberle per concentrarsi sui tormenti psicologici. Ma il vento è cambiato eccome. A maggio uscirà il terzo capitolo della saga di John Wick, assassino spietato interpretato dal redivivo Keanu Reeves. Il titolo del nuovo episodio è Parabellum, giusto per chiarire subito che si tratta di materiale per palati fini. Poco prima, in aprile, arriverà anche l'ultima stagione di Game of Thrones, una serie che negli anni non ci ha risparmiato torture, carneficine e squartamenti, sempre però temperati da trame ricercate e intrecci coinvolgenti. Decisamente più semplice e diretta, invece, è un'altra serie di successo: The Punisher, di cui è ora disponibile su Netflix la seconda stagione. Qui siamo dalle parti di John Wick: sparatorie, ossa che si spezzano, nasi che sprizzano sangue. Del resto il protagonista Frank Castle è uno che, nel dubbio, mena assai. Un po' come fa Bruce Willis nel remake de Il giustiziere della notte, ora in arrivo su Sky. Della stessa pasta è pure il killer Duncan Vizla del film Polar (fresco di uscita sempre su Netflix), interpretato dallo straordinario Mads Mikkelsen. È un assassino che vorrebbe godersi la meritata pensione, ma deve vedersela con il suo datore di lavoro che preferisce ammazzarlo piuttosto che versargli il ricco assegno di quiescenza. In pratica, una versione piuttosto brutale del dibattito su quota 100. Almeno sullo schermo, ogni ragione è buona per sfogare la rabbia e dispensare mazzate. E forse è decisamente meglio così. Dopo tutto, come dice Frank Castle: «Incazzato è sempre meglio che impaurito».
Ansa
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Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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