2020-09-27
Cina e inchieste, Pompeo setaccia il Vaticano
La Santa Sede fa pulizia ma arriva indebolita all'incontro con il segretario di Stato: al centro delle trattative non solo il rapporto con Pechino ma pure i buchi di bilancio, «osservati speciali» dagli americani che restano i primi finanziatori dell'Obolo.Lo staff del segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, ha avviato i contatti con la controparte vaticana lo scorso giugno. Appena terminato il lockdown lungo la Penisola. Le visite ufficiali sono complicate e delicate. Gli scambi epistolari per gestire la sicurezza sono numerosi e richiedono tempo. In questo caso però il tira e molla è andato avanti a lungo. Anzi molto a lungo finché a inizio mese è arrivata la conferma. Pronti e via. Dieci giorni fa La Verità ha segnalato la notizia dell'arrivo di «Big Mike» e del contestuale tam tam fibrillatorio. Quello stesso giorno il segretario di Stato, Pietro Parolin, parla ai giornalisti annunciando l'idea di rinnovare l'accordo con la Cina, relativamente alle nomina dei vescovi sul territorio del Dragone. La notizia si diffonde ai quattro angoli del mondo e Pompeo pochi giorni dopo risponde. Chiede al Vaticano di non rinnovare l'accordo e di non schierarsi dalla parte di Pechino. «Due anni fa la Santa Sede ha raggiunto un accordo con il partito comunista cinese nella speranza di aiutare i cattolici in Cina. Ma l'abuso del partito sui fedeli è solo peggiorato», ha detto Pompeo. «Il Vaticano metterebbe in pericolo la sua autorità morale se rinnovasse l'accordo. Il Dipartimento di Stato», ha concluso l'ex capo della Cia senza giri di parole, «è una voce forte per la libertà religiosa in Cina e nel mondo. Continueremo a farlo e a essere a fianco dei cattolici cinesi. Chiediamo al Vaticano di unirsi a noi». Tradotto, il braccio destro di Donald Trump fa sapere di prepararsi alla visita e di portare con sé tutto il sostegno della Chiesa americana. Non solo un segnale di forza, ma anche un rimando chiaro alle questioni economiche. Sono i vescovi d'Oltreoceano con le relative fondazioni a rifornire costantemente le casse dell'Obolo di San Pietro. Il messaggio senza fronzoli americano ha trovato una pronta risposta: il siluramento di Angelo Becciu. Non si può non notare una coincidenza. Lo scorso ottobre Pompeo venne a Roma e in quell'occasione incontrò sia il Papa che Parolin. Meno di una settimana prima la stampa italiana diffuse dettagliate notizie dello scandalo di Sloane avenue. Misure cautelari nei confronti di numerosi funzionari laici e di alcuni preti. Coinvolto anche l'allora capo dell'antiriciclaggio, Tommaso Di Ruzza. Impossibile che nel corso di quell'incontro i vertici della Santa Sede non ne abbiano parlato. Ecco che a quasi un anno di distanza si verifica lo stesso schema. Esce la notizia dell'arrivo dell'uomo forte della Casa Bianca ed esplode la notizia bomba. Stavolta a finire nel mirino è addirittura uno dei cardinali più forti d'Oltretevere. Difficile immaginare che sia una coincidenza. La Verità nel corso di questo anno ha seguito con costanza gli sviluppi delle inchieste vaticane, scrivendo dell'entourage di Becciu e delle consulenze legate alle gestioni dei fondi immobiliari, del ruolo degli ex manager Credit Suisse. Ci appare chiaro il lavoro che è maturato in tutti questi mesi. Eppure questa vicenda ha numerosi piani che si intersecano tra di loro. Le lotte interne, le questioni economiche e quelle geopolitiche. Pompeo le porta con sé un po' tutte. Da un lato la defenestrazione di Becciu è arrivata in coincidenza con le evidenze d'indagine, ma dall'altro lato servirà anche a Parolin per mostrarsi davanti alla controparte americana con la veste bianca e senza le macchie di accuse più generiche e rivolte all'intera macchina amministrativa. Aver puntato il dito contro Becciu potrebbe circoscrivere alle supposte malefatte tutti i problemi economici della Chiesa. In realtà, pensare che Pompeo accetti questa versione sebbene sia suffragata da evidenze, significa non comprendere la complessità e la tridimensionalità del momento. Anche di fronte alla pulizia fatta, il braccio destro di Trump, forte del clero americano, farà pesare il supporto alle casse, mai state così pericolanti come in questo momento. Il denaro serve alla Chiesa per essere stabile, per le opere di bene e per espandersi. Messi davanti a un aut aut (Cina o soldi) che cosa decideranno i vertici della Santa Sede? Escludiamo che Pompeo chieda una risposta immediata. Ma dopo le elezioni presidenziali busserà di nuovo alla porta di San Pietro. E se sarà ancora Segretario di Stato tirerà una linea. A quel punto il rischio di uno scisma in Occidente non è uno spauracchio buttato lì tanto per fare. Il pericolo c'è e non si scherza. La frattura con il partito comunista cinese non avrà una soluzione di accomodamento finché il gap tecnologico non sarà colmato. Da parte degli Usa ci vorranno almeno due anni, se nel frattempo i Paesi in giro per il mondo (compreso il Vaticano) ostacoleranno la crescita cinese.