2020-10-26
Cina boom. È l’unico Paese già in ripresa. Hanno ragione i complottisti?
Mentre il mondo arranca nei lockdown, Pechino fa registrare un balzo produttivo. E si prepara a lanciare la grande espansione internazionale.C'è un fatto strano in questa pandemia. Lì dove è partito tutto, ormai sembra tornata la normalità. Non si hanno più notizie di contagi, le persone si spostano e vanno in vacanza tranquillamente e, cosa ancora più surreale, l'economia corre. Stiamo parlando della Cina, anzi del miracolo di Pechino. Mentre l'Europa sprofonda nella recessione, oltre la Grande Muraglia si registra una crescita nel terzo trimestre pari al 4,9% rispetto a un anno fa. Un balzo maggiore del 3,2% registrato nel secondo trimestre. Nei primi tre trimestri, il Pil del Paese è salito dello 0,7% su base annua, tornando a crescere dopo la contrazione dell'1,6% nella prima metà dell'anno e il crollo del 6,8% nel primo trimestre.Il Fondo monetario internazionale stima che quella cinese sarà l'unica tra le maggiori economie mondiali a chiudere il 2020 con la ricchezza nazionale in crescita. La maggior parte dei Paesi europei, invece, inclusi quelli economicamente più dinamici nel Nord e nell'Est dell'Ue, non vedranno il ritorno al loro livello di Pil precedente alla crisi nemmeno nel 2021. La Commissione ha rivisto ancora una volta al ribasso le sue stime sulla crescita nel 2020 e 2021. Se ad aprile stimava che quest'anno il Pil dell'intera Ue si sarebbe contratto del 7,4%, adesso si spinge a un -8,3% (che si avvicina al 9% quando si tratta della sola eurozona). Ma si tratta di previsioni già archiviate dall'ondata di contagi di queste settimane e quindi da aggiornare. Per l'Italia la contrazione dell'economia dovrebbe essere del 10,6%.Negli Stati Uniti l'economia si è contratta del 31,4% e subisce anche l'incertezza delle elezioni presidenziali. In Cina invece sembra tornato il sereno. Oltre al segno positivo dell'economia, la produzione industriale ha addirittura avuto un balzo, a settembre del 6,9% su base annua. I cinesi stanno anche diventando più ricchi. Secondo il National bureau of standards degli Stati Uniti, cioè l'istituto centrale di statistica, il reddito disponibile pro capite della Cina è salito del 3,9% (pari a 3.549 dollari) nei primi tre trimestri dell'anno, rispetto allo stesso periodo del 2019. Ed è aumentato dello 0,6% anno su anno. Le rilevazioni dicono che la ricchezza si è diffusa anche nelle campagne. Nelle grandi città l'incremento è stato del 2,8% in termini nominali con un calo dello 0,3% in termini reali, mentre il reddito nelle aree rurali ha fatto registrare un +5,8% in termini nominali e +1,6% in termini reali. L'ottima performance preoccupa l'Europa e gli Stati Uniti. Pechino potrebbe approfittare del vantaggio della ripresa economica per intensificare l'azione di colonizzazione predatoria nei settori nevralgici della tecnologia, delle infrastrutture e della produzione industriale. La pandemia si è inserita nella guerra commerciale partita nel 2015 dall'annuncio del programma Made in China 2025, un piano studiato da Pechino per acquisire la supremazia tecnologica mondiale. Un primato che oggi appartiene agli Stati Uniti e che è a rischio, spiega Giulia Sciorati, ricercatore per l'Osservatorio Asia di Ispi ed esperta di Cina e relazioni internazionali. Il presidente Donald Trump durante il suo mandato ha messo al primo posto l'attacco alle aziende tecnologiche cinesi che usano Internet non solo per acquisire quote di mercato ma - è l'accusa della Casa Bianca - per controllare utenti e clienti. Dopo l'offensiva contro il 5G della Huawei, è arrivato il blocco del social network TikTok (100 milioni di utenti negli Stati Uniti) e di WeChat (3 milioni di utenti attivi in Usa, soprattutto sino-americani che comunicano con i parenti in patria).L'Europa, stretta tra le due potenze, è come il manzoniano vaso di coccio. E lo è ancor di più l'Italia che finora ha avuto una politica ondivaga nei confronti della Cina, di apertura e parziale marcia indietro. Il nostro Paese per posizione geografica è strategico. È al centro dell'area del Mediterraneo, nei cui abissi convergono le reti a fibra ottica che trasportano miliardi di dati sensibili; è il terminale della Via della Seta ed è a livello infrastrutturale, con il sistema dei porti, la via d'accesso all'Europa.Un report di Datenna Bv, società di consulenza olandese, rilanciato dal Wall Street Journal, dice che su 650 investimenti cinesi in Europa dal 2010 a oggi, il 40% vede il coinvolgimento di aziende controllate dal governo di Pechino. L'espansione cinese avviene non solo tramite fusioni, acquisizioni e investimenti diretti, ma anche attraverso controllate e sussidiarie (il 15% degli accordi) che consentono di eludere lo scrutinio sugli investimenti esteri effettuato dalle autorità Ue. Quindi gran parte di questa manovra di espansione rimane sotterranea e sconosciuta a Bruxelles. Negli Stati Uniti invece esiste il Cfius, il comitato di screening degli investimenti del governo americano, che passa al setaccio tutti i movimenti sospetti come acquisizioni, partecipazioni e altre forme di ingresso mascherate in società americane.La Corte europea degli auditori, cioè l'organo che a Bruxelles fa il monitoraggio degli investimenti, in un report ha ammesso di avere informazioni «fuori tempo, frammentate e incomplete» sui movimenti di società cinesi. E ha anche sottolineato che queste spesso, una volta entrate in aziende europee, iniziano la riconversione, dove è possibile, per produrre equipaggiamento militare. La Commissione Ue dice di aver rilevato, tra il 2010 e il 2017, 57 acquisizioni da parte di aziende di Stato cinesi mentre l'olandese Datenna ne conta 160: il triplo. Questo dimostra che lo screening delle autorità europee è poco efficace e il fenomeno dell'invasione cinese è più esteso. Al top degli obiettivi cinesi si colloca l'Italia e Datenna elenca le operazioni più strategiche degli ultimi anni. A cominciare dall'ingresso nel 2012 del colosso di Stato cinese Shandon heavy industry group nel gruppo Ferretti, che ora vuole ricostruire lo scalo ex Belleli del porto di Taranto. Poi l'acquisto della Salov, azienda produttrice di olio, da parte dei cinesi di Bright Food tramite la controllata Yimin, nel 2015; l'investimento di Efort in Evolut, eccellenza della robotica nel bresciano, nel 2016, e dei cinesi di Crcc in Blue Engineering, l'anno dopo. O la partecipazione di PowerChina nella torinese Geodata, società leader nell'ingegneria ambientale, nel 2017.Il porto di Taranto, assieme a Genova, Trieste, Ravenna, Venezia, Palermo e Gioia Tauro, figurava già fra le infrastrutture interessate dalla Silk Road, la nuova Via della seta marittima di Xi Jinping. È un terminale di non secondaria importanza per l'Ue e per la Nato che in quel sito ha infrastrutture militari importanti. L'Italia è anche il crocevia strategico delle reti di cavi sottomarini a fibra ottica che trasportano il 95% delle comunicazioni via Internet del mondo, compresi dati sensibili politici e militari. Pechino non ha fatto mistero di voler affiancare alla Via della Seta commerciale quella digitale. La Commissione europea ha avviato un'indagine sulle importazioni di cavi dalla Cina venduti a basso costo, aumentate del 150% dal 2016 al 2019. Il 20% dei cavi installati lo scorso anno sono di provenienza cinese. È un'altra tappa dell'offensiva commerciale del Dragone. Il Covid sta accelerando l'espansione di Pechino. Sarà un avversario ancora più temibile. E prende corpo un interrogativo: che abbiamo davvero ragione i complottisti? Se quando si verifica un fenomeno inspiegabile bisogna rispondere all'antica domanda «Cui prodest?» (cioè: a chi giova?), gli unici ad avvantaggiarsi del caos generato nel mondo dalla pandemia sono proprio i cinesi.