2025-06-01
Frenata Ue sui cibi artificiali. «Giusti gli allarmi italiani per l’impatto in agricoltura»
Francesco Lollobrigida (Ansa)
Il commissario alla Salute scrive al ministro Francesco Lollobrigida: «Oltre a quello sanitario, bisogna valutare pure le ripercussioni di questi prodotti sull’intero settore. Aiutateci».Italia-carne sintetica 2 a 0 e palla al centro. Visto che ieri sera si è giocata la finale di Champions, si può dire che il ministro per la Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, (Fdi) e con lui l’intero sistema agroalimentare italiano, ha segnato col rigore della scienza e con un’azione di buon senso. Perché 2 a 0? Il primo punto lo aveva «marcato» il 19 marzo scorso la Coldiretti. Aveva fatto sfilare a Parma 20.000 agricoltori e un migliaio di sindaci con la fascia tricolore per chiedere garanzie sui cibi ultra-processati e l’Efsa - è l’Ente europeo per la sicurezza alimentare che ha sede a Parma e che deve dare il giudizio scientifico prodromico ad autorizzare la messa in vendita dei cibi - per la prima volta nella sua ultraventennale storia, aveva firmato un documento congiunto con un’organizzazione agricola impegnandosi a svolgere test clinici e pre-clinici sugli alimenti prodotti in laboratorio. Se l’azione di Ettore Pradini, Vincenzo Gesmundo e Luigi Scordamaglia (rispettivamente presidente e segretario generale di Coldiretti e amministratore delegato di Filiera Italia) era un passo avanti, il risultato politico lo ha ottenuto Francesco Lollobrigida.C’è la lettera ufficiale del commissario europeo alla Salute e al benessere degli animali in cui si dice che l’Italia ha ragione sui cibi ultra-processati: le sue osservazioni scientifiche ed economiche hanno fondamento e costituiscono una valida piattaforma d’indagine da parte dell’Efsa. Quelli che parlano bene direbbero che Olivér Várhelyi - ungherese, già commissario nella precedente eurolegislatura - ha assunto quelle italiane come best practices nell’esaminare la carne e tutti i cibi ottenuti da replicazione cellulare. Nella sua lettera, il commissario alla Salute ricorda che le leggi esistenti «sui nuovi alimenti garantiscono un elevato livello di tutela della salute e degli interessi dei consumatori, in quanto prescrivono che qualsiasi nuovo alimento debba essere sottoposto a una rigorosa valutazione scientifica della sicurezza da parte di Efsa». Ma poi passa a dare ragione all’Italia sulla carne finta.Scrive Várhelyi a Lollobrigida: «Condivido la sua opinione secondo cui lo sviluppo di nuovi alimenti derivati da colture cellulari solleva preoccupazioni che vanno al di là delle considerazioni di sicurezza. È necessaria una riflessione per garantire che l’innovazione rafforzi il settore alimentare europeo e, nel contempo, occorre tenere attentamente conto anche del suo impatto più ampio, con particolare attenzione agli agricoltori e alle comunità rurali». E aggiunge: «Vorrei invitare le autorità italiane a presentare le eventuali osservazioni dei loro esperti nazionali su singoli casi» e giudica «preziosi i suggerimenti dell’Italia nelle future riflessioni sul processo di autorizzazione e sull’impatto di questi nuovi alimenti». Várhelyi si allinea alla posizione del nostro governo perché dice, in sostanza: i test clinici e pre-clinici l’Efsa deve farli, bisogna valutare, ragionando di bistecche sintetiche come di ogni altro cibo prodotto con replicazione cellulare che esclude o limita il ricorso alla materia prima agricola, le conseguenze sull’ambiente rurale e sul reddito degli agricoltori e non c’è alcun via libera semplificato per i cosiddetti nuovi alimenti. A Parma, però, sono già in corso d’istruttoria la domanda della parigina Gourmay, che vuole mettere in commercio paté di fegato da replicazione cellulare, quella di Remlink che vuole vendere latte e formaggi ottenuti da fermentazione di microfunghi nei mega bio-reattori che ha istallato in Danimarca, e quella, in fase più avanzata, che riguarda un integratore alimentare da replicazione cellulare di fibre vegetali. C’è, dietro questa «ricerca», un mondo fatto di multinazionali che vogliono tagliare fuori gli agricoltori dai processi produttivi; si nascondono dietro start-up che producono tessuti da replicazione, da fermentazione, da modificazione genetica di cellule staminali.Uno di questi progetti è quello della statunitense Biomilq, ma c’è già anche un concorrente israeliano, fondata da due ricercatrici, Leila Strickland e Michelle Egger, che usa le cellule mammarie avanzate dalle mastoplastiche - le operazioni estetiche al seno - per produrre latte per i neonati. Sta già bussando all’Efsa. È peraltro significativo che il parere del commissario alla Salute sia arrivato in concomitanza con la Giornata mondiale del latte in cui l’Italia, sottolinea la Coldiretti, ha affermato un altro dei suoi record nell’agroalimentare. Abbiamo la leadership per la biodiversità con ben 57 formaggi a denominazione di origine (Dop e Igp), ai quali si aggiungono i 531 censiti tra i prodotti agroalimentari tradizionali. Secondo l’analisi Coldiretti su dati Ismea, i formaggi generano un valore complessivo alla produzione di 5,5 miliardi di euro. Guidano la top ten delle Dop più vendute, che assegna la leadership al Grana padano davanti al Parmigiano reggiano e comprende anche mozzarella di bufala (4° posto), pecorino romano (5° posto) e gorgonzola (6° posto). La filiera lattiero casearia che i cibi costruiti in laboratorio metterebbero in crisi è fatta da 24.000 stalle bovine e 110.000 allevamenti di pecore e capre che garantiscono una produzione di circa 14 milioni di tonnellate di latte l’anno per un valore complessivo di oltre 19 miliardi di euro, con più di 200.000 persone occupate tra dirette e indotto.Ce n’è d’avanzo per chiedere ogni garanzia sui cibi-Frankenstein su cui anche Várhelyi e l’Ue sembrano aver imboccato la strada della massima cautela.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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