2025-11-17
Pac, Lollobrigida: «Rivedere il pacchetto normativo, risorse per l'agricoltura insufficienti»
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(Totaleu)
Lo ha detto il ministro dell'Agricoltura durante il Consiglio Ue Agrifish in corso a Bruxelles.
Lo ha detto il ministro dell'Agricoltura durante il Consiglio Ue Agrifish in corso a Bruxelles.
In ballo ci sono malcontati 700 miliardi di euro, quasi un terzo del Pil generato dall’agroalimentare, oltre che la salute, eppure l’Europa non protegge i campi. Perciò l’Italia si candida a sentinella della qualità e della salubrità delle merci che arrivano dall’estero. Francesco Lollobrigida annuncia: «Chiederemo che venga assegnata all’Italia l’autorità doganale europea». È la risposta all’allarme lanciato dalla Codiretti nella sua tre giorni di Bologna. Ha ammonito il presidente Ettore Prandini: «Con 97 prodotti alimentari stranieri su 100 che entrano nell’Ue senza alcun controllo, approfittando di porti “colabrodo” come Rotterdam, serve un sistema realmente efficace di controlli alle frontiere per tutelare la salute dei cittadini e difendere le imprese agroalimentari dalla concorrenza sleale che mette a rischio i nostri record».
Immediata la risposta del ministro per la Sovranità alimentare Franceso Lollobrigida: «L’Italia è il Paese che controlla di più e truffa di meno, grazie anche al lavoro straordinario delle nostre forze dell’ordine; per questo chiediamo che la futura Authority europea abbia sede qui, in Italia. E che nei porti del Nord Europa, come Rotterdam, si adottino gli stessi standard di controllo che applichiamo nei nostri porti. Chi ha pensato di ridurre la produzione europea per aumentare le importazioni», ecco la frecciata a Frans Timmermans l’ex vicepresidente della Commissione Ue ideologo del Green deal e mandato a casa proprio dai contadini olandesi, «ha sbagliato i conti, e in molti casi ne ha già pagato le conseguenze. Il governo, in questi anni, ha invertito la rotta e ha messo l’agricoltura al centro». Vero, ma resta il fronte di Bruxelles. Dalle parole di Lollobrigida, Prandini chiede di passare ai fatti in sede europea ricontrattando i dazi Usa, fermando il Mercosur, assicurando reciprocità sulle importazioni. Sostiene il presidente, che ringrazia il ministro per aver dato slancio alla proposta della Coldiretti sulle dogane, «non si possono imporre regole stringenti ai nostri produttori e poi aprire le frontiere a chi produce senza rispettarle. Oggi in Europa solo il 3% dei prodotti importati viene controllato. È inaccettabile, se pensiamo al numero di verifiche che subiscono le nostre aziende e soprattutto non è pensabile che il nostro made in Italy possa essere affossato dalla mancanza del concetto di reciprocità». Vincenzo Gesmundo, segretario generale di Coldiretti, rincara: «Non è pensabile che l’agricoltura più distintiva e più ricca di potenziale subisca attacchi che ne mettono costantemente a rischio il valore; dobbiamo arrivare a un controllo sui prodotti che arrivi al 100%, soprattutto su filiere che sappiamo essere già compromesse all’origine». I cibi e le bevande importati in Italia sono 5 volte più pericolosi dei nostri; nei prodotti importati c’è una presenza di residui chimici irregolari pari al 2,6% rispetto ad appena lo 0,5% di quelli nazionali e considerano quelli extra Ue la percentuale sale al 4,5%. Va anche detto che Parma ospita già l’Efsa, l’autorità europea che vigila sull’agroalimentare. È dunque una questione di salute, ma anche economica. Lo ha messo in evidenza Federico Vecchioni, amministratore delegato di Bf di gran lunga il gruppo agroalimentare più importante d’Italia, quotato in Borsa. «Dieci anni fa», ha scandito Vecchioni, «Coldiretti ha avuto la lungimiranza di affiancare un solido progetto economico al progetto sindacale. È nata Bf con la volontà di creare un campione nazionale che mancava e che ha portato poi alla nascita di Cai-Consorzi Agrari d’Italia. Un’infrastruttura al servizio degli agricoltori per renderli più competitivi e per aiutarli a proteggere il loro reddito e che ha una funzione inscindibile con Coldiretti. Oggi abbiamo il dovere di usare questa nostra esperienza per proteggere gli agricoltori non solo in Italia, ma anche nel mondo, a partire dall’Africa dove siamo protagonisti del Piano Mattei. E lo facciamo senza essere predatori, senza acquistare i terreni, senza importare qui i prodotti che invece servono alla sicurezza alimentare dei Paesi dove operiamo, ma con la capacita anche di attrarre investimenti della finanza verso progetti agricoli».
Tutto questo però sarebbe vano senza una vera protezione dei nostri prodotti che nascono dall’agricoltura più verde del mondo (ha il record di sostenibilità), che ha la maggiore redditività (3.100 euro all’ettaro, il doppio della Francia) e che continua ad attrarre giovani (sono 115.000 i nuovi imprenditori agricoli under 35 con un aumento di occupazione del 18% nel 2025 sui 12,5 milioni di ettari coltivati). Ecco perché Gesmundo nel sostenere le affermazioni di Vecchioni - «con Bf e Cai è stata offerta agli agricoltori una piattaforma di servizio e un gruppo che vale oltre duemila miliardi» - insiste su due punti: Mercosur e dazi Usa. L’accordo col Sudamerica penalizza l’export (abbiamo importato per 2,3 miliardi in più ed esportato solo per 284 milioni con un calo dell’8% quest’anno), mentre quello sui dazi non solo ci toglie mercato, ma avvantaggia i produttori americani che «sono i primi contraffattori del made in Italy per un valore di oltre 40 miliardi» con tutte le nostre esportazioni dal vino (meno 18%) all’olio (meno 62%) in calo e il caso dei formaggi che diventa clamoroso. Agli americani abbiamo venduto meno 12% in compenso la produzione Usa di formaggi italian style - dal Parmesan alla mozzarella - è arrivata a 2,7 miliardi di chili. Ce n’è d’avanzo per occuparsi delle frontiere europee per tutelare la salute e l’economia.
Giù le mani dalla Pac, dai fondi di coesione, dal bilancio comunitario. La maggioranza Ursula boccia senza appello lo schema finanziario proposto da Ursula von der Leyen e Bruxelles si trova oggi al suo punto più basso di credibilità. L’ossessione per il riarmo della baronessa - mai dimenticarsi che fu ministro della Difesa tedesco, peraltro inseguita da una serie di inchieste per si suoi «soliti» opachi rapporti con le industrie e i vertici militari - inteso in larga misura a favorire la Germania che con il cancelliere Friedrich Merz punta sull’industria bellica per rianimare un’economia asfittica causa green deal europeo fa schierare il Parlamento contro la Commissione.
Tra l’altro con un’accusa pesantissima: «Esiste - si legge in una durissima lettera firmata dai vertici dei gruppi -un deficit democratico intrinseco data la mancanza di controllo da parte del Parlamento e degli organi eletti nazionali o regionali». Brutta botta per chi, soprattutto da sinistra, - si vedano le esternazioni di Romano Prodi, lo sgolarsi di Elly Schlein contro Giorgia Meloni accusata di subalternità a regimi come quelli di Viktor Orbàn - vuole spazzare via il voto all’unanimità in seno al Consiglio europeo. Popolari, Socialisti, Renew - la maggioranza Ursula a cui si aggiungono anche i Verdi e l’Efa - rimproverano alla Von der Leyen di farsi beffe del Parlamento. Viene da domandarsi se chi predica l’Europa senza unanimità non abbia in mente una Ue dove domina la «casta» dei burocrati, con gli eletti dal popolo, siano essi ministri dei governi o eurodeputati, ridotti a passacarte. Questa è la prima contestazione che i massimi vertici politici - Manfred Weber per i popolari, Iratxe Garcia per i socialisti, Valerie Hayer per Renew, Terry Reintk e Bas Eickhout per Verdi e sinistra - muovono alla Von der Leyen che va avanti col suo schema di bilancio: accorpamento di politica agricola e fondi di coesione, fondo unico nazionale, esclusione delle regioni dal rapporto con l’Ue, tagli per finanziare il riarmo. L’Italia. con il ministro per la Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, è stato il primo Paese a contestare i tagli ai fondi agricoli, ma soprattutto l’accorpamento con i fondi di coesione che taglia circa il 30% dei soldi per i campi e lo sviluppo delle aree svantaggiate. Malcontati sono circa 180 miliardi di euro e c’è l’incognita Ucraina: se entrasse nell’Ue assorbirebbe da sola 100 miliardi di fondi agricoli. Scrivono gli eurodeputati: «Nel maggio 2025 il Parlamento europeo ha affermato che l’approccio del “piano nazionale unico per Stato membro” come modello di riferimento non dovrebbe costituire la base per la spesa in gestione condivisa dopo il 2027. Questo è purtroppo e chiaramente ciò che la Commissione ha riproposto. Il Parlamento europeo non può accettarlo come base per iniziare le negoziazioni». Siamo al muro contro muro. Per la (fu) maggioranza Ursula sono inaccettabili l’accorpamento e il taglio dei fondi agricoli con il fondo di coesione. Viene rifiutato in toto lo schema secondo cui i finanziamenti vengono assegnati a ogni Stato che dispone di un fondo unico tagliando fuori le Regioni. Scrivono i gruppi parlamentari: «Siamo contrari a un’Unione à la carte, con decisioni nazionali centralizzate che compromettono il valore aggiunto dell’Ue. La proposta attuale non garantisce la copertura per tutte le categorie di regioni europee, porta a una mancanza di prevedibilità e distorce il mercato unico, così come le condizioni di parità nel settore agricolo». Aggiungono: «Sono necessarie politiche autonome in materia di agricoltura e coesione, pesca e marittima, politiche sociali e affari interni, con distinti stanziamenti finanziari disciplinati da regolamenti dedicati, anche per garantire una adeguata responsabilità di bilancio». Durissima è la contestazione sulle violazioni dei valori fondanti dell’Ue: «Le violazioni dello Stato di diritto dovrebbero, come principio, portare a riduzioni automatiche di budget per gli Stati e insistiamo che non ci debba essere alcuna riassegnazione dei fondi dell’Ue sospesi a causa di violazioni dello Stato di diritto».
Infine due punti qualificanti: il massimo rispetto dell’autonomia delle Regioni e la rivendicazione del ruolo del Parlamento. Sul primo punto si afferma: «La politica di coesione non può essere progettata e gestita esclusivamente dai governi centrali nazionali. Il ruolo delle regioni e delle autorità locali deve pertanto essere rafforzato». Sul secondo si rivendica che «Il Parlamento europeo dovrebbe essere coinvolto nell’approvazione e nella modifica dei piani degli Stati membri con un atto delegato, così come nel processo decisionale riguardante tutta la programmazione degli importi di flessibilità e degli adeguamenti ai bisogni in evoluzione o alle nuove priorità». La conclusione? Il 12 novembre la «plenaria» di Strasburgo discute la proposta della Commissione che non ha intenzione di modificarla. L’aria è da ne resterà uno solo, e però ci sarà sempre qualcuno che invoca la forza dell’Europa!
L’Europa a fari spenti verso il disastro. È la sintesi, non certo confortante, della seconda giornata del Forum dell’agricoltura organizzato da Coldiretti in collaborazione con Ambrosetti. Di Bruxelles non si salva nulla: né la politica energetica succube del green, né tanto meno il taglio alla Pac per non dire dell’opzione militare che comprime la vera sicurezza: quella alimentare. Le voci contrarie a questa Ue sono un coro polifonico: vanno da Claudio Desacalzi, amministratore delegato di Eni, a intellettuali di sponde opposte come Luciano Canfora e Marcello Veneziani, da politici come Roberta Metsola ai leader degli agricoltori: il presidente e il segretario generale della Coldiretti Ettore Prandini e Vincenzo Gesmundo. A mettere in mora l’Ue pensa il ministro per l’agricoltura e sovranità alimentare Francesco Lollobrigida che chiarisce: «Non abbiamo condiviso gran parte dell’impostazione di bilancio post 2027 data da Bruxelles. Posso garantire che anche se si arrivasse a una politica agricola su base nazionale il nostro Governo non farebbe mancare alcun sostegno al settore. La Pac però è strategica, deve garantire la sovranità alimentare dell’Europa con un sistema d’incentivi alle imprese agricole, perché garantiscono la custodia del territorio e l’approvvigionamento alimentare di qualità, cose che l’Italia ritiene debbano essere prioritarie». Per carità di partito Lollobrigida ha cercato di assolvere la Commissione su alcune scelte lasciando la parola a Raffaele Fitto - vicepresidente a Bruxelles - che ha provato a smorzare la montante sfiducia. «Mi piace sottolineare», ha detto Raffaele Fitto, «come la proposta della Commissione prevede per l’agricoltura risorse pari a 300 miliardi di euro, analoghe a quelle già presenti nel bilancio. Si tratta di un approccio diverso, ma i 450 miliardi del secondo pilastro che mette insieme coesione, aree rurali e pesca ci sono». Non molto convincente a giudicare dal fatto che la stessa presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola ha ben chiarito: «Sui fondi per l’agricoltura è in atto un dibattito e c’è tempo fino al 2026 per chiarire le posizioni, ma il Parlamento è pronto a dire no se la proposta non sarà adeguata». Di certo non è adeguata la politica energetica. Lo dice a chiare lettere l’amministratore delegato di Eni: «L’Europa ha trasformato la transizione in una bandiera ideologica, spesso scollegata dalla realtà industriale ed economica, e oggi i nodi stanno venendo al pettine». Per Claudio Descalzi è manifesto che la transizione energetica resta un obiettivo fondamentale «ma non può essere sussidiata». L’errore dell’Europa - sostiene Descalzi - è stato «affrontare il tema in modo monodimensionale, puntando quasi esclusivamente sulla riduzione delle emissioni e abbandonando fonti che restano centrali in molti Paesi». L’ad di Eni ricorda che la Germania ha ripreso a usare il carbone che resta ancora per il 35% la fonte mondiale di produzione di elettricità. «La transizione energetica, deve essere complementare e non sostitutiva: occorre tenere conto della domanda attuale, che per l’80% è ancora coperta da fonti fossili e questo vale anche per il trasporto e per nuove attività come l’intelligenza artificiale che assorbe grandi quantità di energia». Immaginare di fare come la Spagna col 100% da rinnovabili espone a dei rischi così come il continuare a trascurare i biocarburanti che sono energia (quasi) pulita è del tutto errato. Una via da percorrere è il nucleare (privo di emissioni e a basso costo) anche se ha tempi lunghi, almeno nei paesi democratici. In Cina fanno prima, ma - avverte Descalzi - la Cina si è anche avvantaggiata della nostra opzione verso l’elettrico visto che ha il monopolio delle terre rare.
Raccontata così Bruxelles appare uno svantaggio. Marcello Veneziani chiarisce: «L’Europa è stata vissuta come un modo per disintegrare le nazioni verso la globalizzazione» e l’effetto è quello che rimarca Luciano Canfora: «Politicamente non conta nulla è succube della priorità armigera della Gran Bretagna ed è solo un baraccone burocratico». Che pesa moltissimo sull’agricoltura. Lo dice Ettore Prandini, presidente di Coldiretti: «Vogliamo la sicurezza alimentare e non possiamo permettere che le risorse vadano a finanziare scelte belliche penalizzando l’agricoltura. Ci vuole in Europa attenzione al cibo e ai giovani e servono politiche energetiche che mettano le imprese al riparo dall’impazzimento dei prezzi». Ue dunque bocciata con un avvertimento che arriva da Vincenzo Gesmundo: «Senza i contadini, in Europa non si governa».
Lo ha dichiarato il ministro dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste a margine della riunione del Consiglio Agricoltura e pesca di Bruxelles.
