2019-04-21
Ci sono cinque mine sui cui l’esecutivo rischia di esplodere
Vista la tensione fra le anime della maggioranza, l'agenda dei lavori si fa rovente: autonomie, debito di Roma e Tav. Il governo è nel campo delle mine. La settimana scorsa, intervistando Giancarlo Giorgetti durante un convegno in un albergo romano, di fronte alla platea dell'Agci, gli ho chiesto come cambia la velocità di decisione nel tempo della nuova politica. Giorgetti ha sorriso: «Forse qualcuno non ha ancora capito che i corpi intermedi non esistono più. E nemmeno i partiti di una volta. Ormai la catena è diventata molto stretta: esistono solo il leader e il popolo. Il leader decide, rischia, fa girare la catena, e se ci riesce raccoglie il consenso. Tutto qui. Il resto non esiste». La risposta ha fatto sorridere la sala. Tutti sapevano che da tempo Giorgetti è convinto che l'alleanza sia giunta al capolinea, ma era come se il sottosegretario stesse spiegando, con disarmante semplicità, che anche lui è legato a quella catena. Un ingranaggio prezioso, essenziale, che però segue quello che decide il suo leader. Il fatto è che, ad oggi, Matteo Salvini non ha ancora deciso cosa fare. In questi mesi ha visto girare vorticosamente la catena. Non vuole interrompere questo volano che ha portato la Lega al massimo dei suoi consensi. Ma vede la polemica su Armando Siri come l'avvisaglia di una tempesta che può rompere il circuito. Ecco perché, proprio adesso che la sopravvivenza del governo è appesa a un filo, cambia il campo da gioco, e il calendario del governo diventa un campo minato. Cambia il terreno del confronto, che diventa un campo di battaglia, e lungo la linea di confine che separa i gialli e i verdi ci sono almeno cinque ordigni innescati, seppelliti sotto le sabbie della convivenza belligerante. Cinque mine su cui può saltare il governo guidato da Giuseppe Conte. Primo problema: ad oggi né Matteo Salvini né Luigi di Maio hanno ancora preso la decisione senza ritorno. E il motivo è comprensibile: prima delle europee nessuno dei due pensa che sia utile farlo, perché il primo deve verificare se la sua forza virtuale nei sondaggi si trasforma in voti. E il secondo deve capire se il flusso del reddito di cittadinanza garantirà la rimonta insperata, o se la forte flessione elettorale post 4 marzo è diventata irreversibile. Intanto, per quello che valgono i sondaggi, l'ultima rilevazione di Ipsos per il Corriere della Sera diceva che la Lega aveva raggiunto l'acme con il 37%, mentre il M5s era arrivato al 22,3%. Secondo Nando Pagnoncelli anche il Pd sarebbe inchiodato al 18,7%, solo Salvini confermerebbe la sua crescita (se si esclude Giorgia Meloni che avrebbe raggiunto il 4,6%). Il consenso del governo sarebbe - malgrado tutto! - al 52%, più alto del giorno delle politiche. Tuttavia, con i vincoli di appartenenza allentati, il convoglio può far detonare una di queste mine in qualsiasi momento. Ormai, giocoforza, l'inchiesta sull'eolico diventa in ogni caso un problema: la Lega ha fatto quadrato intorno al suo sottosegretario. Conte ha dato platealmente l'impressione di non volerlo sostenere: ogni esito della lotteria giudiziaria in questo clima può spostare il peso della bilancia da un lato o dall'altro, sia in un senso che in quello opposto. Sotto la traccia del conflitto la Lega teme che cedere sul caso Siri possa significare esporre il governo agli attacchi della magistratura. Il M5s ha paura di perdere la sua identità più antica.È il primo fronte su cui la Lega potrebbe attuare una ritorsione con grande efficacia. Salvini vuole togliere dal testo 12 miliardi che servirebbero a placare il debito di Roma Capitale. Virginia Raggi lo ha capito e lo ha preso in giro con il video delle mollichette di pane e con le battute sulle felpe: un segnale evidente. Il M5s non può accettare né sul piano dei simboli, né su quello della tenuta politica del movimento, che vede in Roma un baluardo. È il modo migliore per colpire l'alleato: ma la mossa potrebbe avrebbe una controindicazione, quella di un costo alto anche in termini elettorali. La crescita di Salvini ormai non può più prescindere dal consenso nella Capitale.Qui la mossa di attacco è nelle mani del M5s. Fermare il progetto del ministro Erika Stefani potrebbe essere una ottima via d'uscita per recuperare potenzialmente su due famiglie di elettori: quelli di sinistra, preoccupati per lo strapotere della Lega, e quelli del Sud, preoccupati per i rischi di collasso dei principi di sussidiarietà, del diradarsi delle risorse a disposizione de Mezzogiorno. Lo strappo avrebbe un effetto esattamente speculare a quello su Roma. A parti inverse altrettanto letale per la Lega, altrettanto pericoloso per il M5s.La polemica sulla Tav è stata congelata ma soltanto differita: per la Lega rompere sull'alta velocità - o su un'altra grande opera simbolicamente rilevante - significherebbe riabbracciare i mitologici ceti produttivi del Nord, e mandare un forte segnale conciliatorio a Confindustria. Il M5s, paradossalmente, recupererebbe il rapporto con il mondo della controinformazione, e - soprattutto - con gli elettori che lo avevano plebiscitato in Val di Susa. Ma due forze che rompono su una questione così marginale rischierebbero poi di pagare un prezzo di credibilità a livello nazionale.È il vero problema dei problemi, la madre d tutte le battaglie. Secondo molti protagonisti potrebbe essere il retroscena che spiega la precipitazione sul caso Siri. Rompere, lasciando saltare il convoglio su una qualsiasi delle mine, come se la fine fosse il frutto di un meccanismo entropico. Questa soluzione potrebbe sollevare sia i gialli sia i blu dal problema delle salvaguardie. E risponderebbe a una delle stelle cardinali di Salvini, che ripete: «Non farò mai quello che ha fatto Berlusconi, non voterò mai misure di rigore». Ma la mossa del Cavaliere che lascia Palazzo Chigi alla minaccia dei tecnici è forse la più rischiosa. Nessuno può determinare un voto anticipato. Nessuno può sapere cosa farà Mattarella in caso di crisi. Nessuno può giurare su quale pressione esterna ci sarà sui partiti. Nessuno ancora sa chi comanderà in Europa e come. Si può andare nel campo minato sparando che salto una mina. Ma anche uscirne felici se non l'hai pestata.
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.