In Europa non c’è praticamente alcun governo, di destra o di sinistra, che parli ancora di accoglienza e integrazione. L’unica nazione a processare un ministro perché blinda le frontiere è però l’Italia, sempre più una Repubblica fondata sui pm.
In Europa non c’è praticamente alcun governo, di destra o di sinistra, che parli ancora di accoglienza e integrazione. L’unica nazione a processare un ministro perché blinda le frontiere è però l’Italia, sempre più una Repubblica fondata sui pm.Dicono che la Danimarca sia il Paese più felice del mondo. Un contributo a questo primato lo danno sicuramente l’accesso gratuito all’istruzione (che garantisce un robusto sussidio a chi studia), l’assistenza sanitaria per tutti, il reddito di sostegno per chi perde il lavoro e un sistema che concede prestiti ai più giovani che vogliono metter su casa. Tuttavia, questo paradiso in terra ha un piccolo neo: la Danimarca è lo stato europeo che ha adottato le misure più severe nei confronti dei migranti. Il governo di Mette Frederiksen, leader dei socialdemocratici, infatti fa di tutto per scoraggiare l’arrivo degli extracomunitari, proponendo di trasferirli su un’isola o all’estero, negando loro la cittadinanza se non dopo 19 anni di residenza nel Paese, rendendo complicati i ricongiungimenti familiari, e favorendo i rimpatri. A un certo punto, il parlamento varò perfino una legge per la confisca dei beni dei profughi, in modo che i richiedenti asilo pagassero l’accoglienza loro riservata e questa non fosse a carico dei contribuenti danesi. Adesso, la premier di sinistra dice che l’Europa deve svegliarsi e decidersi a essere più dura con chi preme alle nostre frontiere. L’intervento arriva dopo che l’Olanda ha chiesto di sospendere i trattati europei in materia di migranti e a seguito del discorso con cui Olaf Scholz ha annunciato un cambio nella politica tedesca di accoglimento degli stranieri (ne ha scritto ieri Paolo Del Debbio), ma a queste prese di posizione si potrebbero aggiungere quelle di Keir Starmer, che appena diventato primo ministro del Regno Unito ha voluto informarsi sull’accordo stretto da Giorgia Meloni con l’Albania per trarne esempio, e quello della Svezia, che ha da poco varato un pacchetto di sostegno alla «remigrazione» degli extracomunitari. Per non parlare poi della Spagna, che a Ceuta e Melilla spara direttamente su chi cerca di attraversare con la forza il confine per entrare nell’enclave alla frontiera con il Marocco. Cioè, in tutta Europa è in atto un giro di vite per bloccare, o quanto meno rallentare, le migrazioni. Nessuno, nemmeno la sinistra tedesca e tanto meno quella danese, parlano più di favorire l’integrazione, creando nuove strutture per l’accoglienza. Tutti, ma proprio tutti, in Europa chiudono le porte agli stranieri. C’è chi le sbarra, come l’Ungheria o la Polonia. Chi vara leggi per rendere gli arrivi più complicati, come la Francia. Chi, come la Germania, che per anni ha usato i migranti per far funzionare le proprie industrie abbassando il costo del lavoro, rivendica il diritto di decidere quali stranieri far entrare e quali rispedire a casa. Dopo anni di ubriacatura sui diritti dei rifugiati (la Danimarca nel 1952 è stata il primo Paese al mondo a ratificare la Convenzione di Ginevra, trattato fondato sui principi della protezione e del non respingimento), l’Europa sembra essersi svegliata e pare intenzionata a fare marcia indietro. Poi però c’è il curioso caso italiano, dove esiste un governo che cerca di fermare l’ondata che ogni anno, approfittando della conformazione del nostro Paese, arriva sulle nostre coste, ma c’è una magistratura che quasi quotidianamente manomette quella diga, con sentenze che rendono inefficaci i decreti e le decisioni ministeriali. Il caso Salvini credo sia esemplificativo. Il processo in corso a Palermo è un unicum nel mondo. Non esiste ministro dell’Interno, in Francia, Germania, Spagna o Inghilterra che sia finito sul banco degli imputati per avere fermato i migranti. Quando molti anni fa, a Parigi, la polizia sfondò i portoni di una chiesa dove si erano asserragliati centinaia di richiedenti asilo che la legge Pasqua aveva dichiarato clandestini, non ci fu un giudice che processò il capo della polizia o il responsabile della sicurezza. Quando, all’inizio del governo Meloni, una nave carica di migranti fu dirottata nel porto di Marsiglia, per indisponibilità dell’Italia ad accogliere altri profughi, appena sbarcati gli stranieri vennero rinchiusi e in gran parte rimpatriati, ma non ci fu magistrato che accusò Gerald Darmanin di aver violato la legge. In Europa, che pure dice di rispettare i diritti umani, i respingimenti degli extracomunitari non si contano e tuttavia in nessun Paese della Ue esiste un caso Salvini. È evidente a chiunque sia dotato di buon senso che l’Italia rappresenta un’anomalia. Ed è altrettanto evidente che se il leader della Lega sarà condannato ancora una volta la nostra non sarà una Repubblica democratica ma una Repubblica giudiziaria, che non è fondata sul lavoro, ma sui pm.
Diego Fusaro (Imagoeconomica)
Il filosofo Diego Fusaro: «Il cibo nutre la pancia ma anche la testa. È in atto una vera e propria guerra contro la nostra identità culinaria».
La filosofia si nutre di pasta e fagioli, meglio se con le cotiche. La filosofia apprezza molto l’ossobuco alla milanese con il ris giald, il riso allo zafferano giallo come l’oro. E i bucatini all’amatriciana? I saltinbocca alla romana? La finocchiona toscana? La filosofia è ghiotta di questa e di quelli. È ghiotta di ogni piatto che ha un passato, una tradizione, un’identità territoriale, una cultura. Lo spiega bene Diego Fusaro, filosofo, docente di storia della filosofia all’Istituto alti studi strategici e politici di Milano, autore del libro La dittatura del sapore: «La filosofia va a nozze con i piatti che si nutrono di cultura e ci aiutano a combattere il dilagante globalismo guidato dalle multinazionali che ci vorrebbero tutti omologati nei gusti, con le stesse abitudini alimentari, con uno stesso piatto unico. Sedersi a tavola in buona compagnia e mangiare i piatti tradizionali del proprio territorio è un atto filosofico, culturale. La filosofia è pensiero e i migliori pensieri nascono a tavola dove si difende ciò che siamo, la nostra identità dalla dittatura del sapore che dopo averci imposto il politicamente corretto vorrebbe imporci il gastronomicamente corretto: larve, insetti, grilli».
Leonardo
Il fondo è pronto a entrare nella divisione aerostrutture della società della difesa. Possibile accordo già dopo l’incontro di settimana prossima tra Meloni e Bin Salman.
La data da segnare con il circoletto rosso nell’agenda finanziaria è quella del 3 dicembre. Quando il presidente del consiglio, Giorgia Meloni, parteciperà al quarantaseiesimo vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), su espressa richiesta del re del Bahrein, Hamad bin Isa Al Khalifa. Una presenza assolutamente non scontata, perché nella Penisola araba sono solitamente parchi con gli inviti. Negli anni hanno fatto qualche eccezione per l’ex premier britannica Theresa May, l’ex presidente francese François Hollande e l’attuale leader cinese Xi Jinping e poco altro.
Emmanuel Macron (Ansa)
Bruxelles apre una procedura sull’Italia per le banche e tace sull’acciaio transalpino.
L’Europa continua a strizzare l’occhio alla Francia, o meglio, a chiuderlo. Questa volta si tratta della nazionalizzazione di ArcelorMittal France, la controllata transalpina del colosso dell’acciaio indiano. La Camera dei deputati francese ha votato la proposta del partito di estrema sinistra La France Insoumise guidato da Jean-Luc Mélenchon. Il provvedimento è stato approvato con il supporto degli altri partiti di sinistra, mentre Rassemblement National ha ritenuto di astenersi. Manca il voto in Senato dove l’approvazione si preannuncia più difficile, visto che destra e centro sono contrari alla nazionalizzazione e possono contare su un numero maggiore di senatori. All’Assemblée Nationale hanno votato a favore 127 deputati contro 41. Il governo è contrario alla proposta di legge, mentre il leader di La France Insoumise, Mélenchon, su X ha commentato: «Una pagina di storia all’Assemblea nazionale».
Maria Rita Parsi (Imagoeconomica)
La celebre psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi: «È mancata la gradualità nell’allontanamento, invece è necessaria Il loro stile di vita non era così contestabile da determinare quanto accaduto. E c’era tanto amore per i figli».
Maria Rita Parsi, celebre psicologa e psicoterapeuta, è stata tra le prime esperte a prendere la parola sulla vicenda della famiglia del bosco.






