2020-11-25
Chiusura forzata e nessun ristoro. Conte condanna il turismo invernale
Il premier è categorico, le attività sulla neve restano chiuse durante le vacanze. L'allarme degli esercenti: «Senza il Natale perso il 70% della stagione». Ma l'esecutivo non ha previsto alcun sostegno economico.In fumo 100 miliardi di fatturato in un anno: i villeggianti stranieri sono stati 53 milioni in meno e l'80% degli alberghi è ora sbarrato.Lo speciale contiene due articoli.La linea del premier Giuseppe Conte è chiara: salvo clamorosi imprevisti, gli impianti sciistici resteranno chiusi durante le vacanze di Natale. «Nessuno sottovaluta», conferma il presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli, «l'impatto di una chiusura delle attività sciistiche, però i numeri attuali non rendono compatibile una ipotesi di riapertura perché vorrebbe dire esporre tutto il paese a una ripresa della curva epidemica». Anche il ministro della Salute, Roberto Speranza, ripete: «Sulle piste da sci c'è il rischio di aggregazioni e di trasferte da parte dei vacanzieri». La demagogia, la linea rigorista, prende dunque il sopravvento sul buon senso: le Regioni hanno messo a punto delle linee guida che presenteranno al governo e al Comitato tecnico scientifico per riaprire gli impianti in sicurezza, ma i giallorossi non vogliono sentire ragioni. Così, il settore sciistico italiano, si avvia verso un probabile fallimento.Le cifre del disastro sono fornite da Valeria Ghezzi, presidente dell'Associazione nazionale esercenti funiviari (Anef), che riunisce in Italia 1.500 impianti: «Il Natale», spiega la Ghezzi, «pesa un terzo della stagione, però quest'anno, vista la situazione, considerato che non ci saranno gli stranieri e che gli italiani viaggeranno di meno, in ogni caso saltare il Natale e aprire anche solo a metà gennaio vorrebbe dire perdere il 70% della stagione, ammesso che si riesca ad aprire». Gli impianti in Italia comprendono circa 3.200 km di piste, che per il 72% sono dotate di innevamento programmato, che richiede un investimento di oltre 100 milioni di euro. All'inizio della stagione invernale le società degli impianti hanno sostenuto ormai il 70% dei propri costi per aprire in sicurezza. Il giro d'affari è di circa 1,2 miliardi di euro. Se si considerano anche le attività connesse agli impianti, come noleggi, maestri e così via, il fatturato sale a 4 miliardi di euro, che diventano addirittura 7 se si aggiungono alberghi, ristoranti, eventi.Per non parlare delle ricadute disastrose sui lavoratori del settore: «Rassegnarsi a chiudere a Natale», aggiunge la Ghezzi, «è impossibile perché in gioco ci sono 15 mila posti di lavoro diretti e nella filiera ce ne sono 120 mila: ne va della sopravvivenza dei territori di montagna, del tessuto socio economico che tiene la montagna popolata e presidiata»Fin qui i numeri, che segnalano la catastrofe verso la quale sta precipitando uno dei settori trainanti della nostra economia. Poi, c'è un'altra questione, a questo punto ancora più importante, considerato che il governo sembra intenzionato a tirare diritto per la propria strada: quello dei ristori. Nessun tipo di sostegno economico è stato garantito a imprenditori e lavoratori del comparto sciistico, abbandonati a se stessi, con la prospettiva di dover chiudere bottega licenziando i propri dipendenti. «Quello dei ristori», sottolinea il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, «è il nodo più rilevante. Al momento sono previsti solo per chi opera nelle zone rosse. Il provvedimento sulle stazioni sciistiche verrebbe adottato anche per le zone gialle, come il Veneto, dove non sono contemplati i ristori. Oltre al danno, la beffa».Avete letto bene: il governo giallorosso, a dispetto della sua stessa colorazione, non riesce (o finge di non riuscire) nemmeno a rendersi conto che un impianto sciistico chiuso deve soffrire le stesse perdite economiche sia che si trovi un una regione rossa che arancione o gialla.«È incomprensibile», aggiunge l'assessore al Turismo del Veneto, Federico Caner, «l'atteggiamento di chi liquida sbrigativamente la richiesta di riapertura degli impianti e delle piste da sci come un'insensata e imprudente voglia di svago, un capriccio di qualche sconsiderato. Il governo dovrebbe individuare una data per l'avvio della stagione invernale, in modo che le tante aziende di questo vasto settore turistico e sportivo possano farsi trovare pronte e soprattutto abbiano la certezza che la loro attività», aggiunge Caner, «pur con tutti i limiti, le cautele, le attenzioni e la vigilanza per evitare il propagarsi del virus, può continuare. A ciò si dovranno aggiungere ristori per le imprese più penalizzate».Anche dal centrosinistra arrivano sollecitazioni nei confronti del governo: «È importante», evidenzia Andrea Corsini, assessore regionale al Turismo dell'Emilia-Romagna, «che esistano dei protocolli di sicurezza che i gestori degli impianti adotteranno quando sarà possibile tornare a sciare nelle nostre bellissime montagne. Se questo non dovesse succedere perché l'emergenza sanitaria non lo consente, il governo, come ha fatto per altri settori, deve prevedere adeguate compensazioni economiche a tutta la filiera: gestori impianti, maestri di sci, negozi specializzati».«Il turismo invernale», argomenta il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, «è un pezzo fondamentale dell'economia del Piemonte, i gestori degli impianti e i ristoratori nelle vacanze di Natale realizzano metà del loro fatturato annuale. È evidente che se non verrà data la possibilità di riaprire, dovranno essere corrisposti ristori certi e adeguati alle imprese e alle persone danneggiate».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chiusura-forzata-e-nessun-ristoro-conte-condanna-il-turismo-invernale-2649038316.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lo-stop-agli-impianti-di-sci-e-il-colpo-di-grazia-al-settore-gia-allo-stremo" data-post-id="2649038316" data-published-at="1606286231" data-use-pagination="False"> Lo stop agli impianti di sci è il colpo di grazia al settore già allo stremo Nevica sul bagnato. Lo stop annunciato a reti unificate da Giuseppe Conte alle vacanze di Natale sulle piste da sci ha provocato un profluvio di dichiarazioni e d'indignazione. I campioni dello slalom, la presidente degli impianti a fune Valeria Ghezzi, i presidenti delle regioni dell'arco alpino giustamente a dire: vogliamo capire e vogliamo garanzie. La posizione più coerente è probabilmente quella di Luca Zaia, presidente del Veneto peraltro già impegnato nell'organizzazione delle Olimpiadi invernali di Cortina dove dall'8 al 21 febbraio dovrebbero tenersi i mondiali di sci, che dice: se chiude l'Italia deve chiudere il resto d'Europa. Invece la Svizzera ha gli impianti aperti, Austria, Francia, Slovenia e Germania per ora nicchiano. Una sorta di surplace tra i governi. Assai peggio va in Appenino dove la stagione è solitamente più corta e per avere un dato basti dire che l'Abruzzo è quarto nel mercato delle settimane bianche. A conti fatti lo stop dello sci a Natale costa attorno ai 12 miliardi, i posti di lavoro coinvolti direttamente sono 120.000, l'impatto sull'economia della montagna è duro. Ma Natale è solo l'ultimo dei segnali negativi. Il governo ci sta condannando a perdere definitivamente circa 13 punti di Pil e 1,5 milioni di posti di lavoro. L'Italia contabilizza quest'anno cento miliardi di fatturato turistico in meno, tra le città d'arte Venezia, Firenze e Roma da sole hanno perso 8 miliardi di fatturato, più o meno due terzi di quanto vale lo stop agli sci. I turisti stranieri mancati sono stati 53 milioni. Gli alberghi chiusi sono l'80% su un totale di 33.000 strutture. I ristoranti già saltati per aria sono 90.000. Il ministro forse del turismo Dario Franceschini, capodelegazione del Pd al governo, ha pensato solo al bonus vacanze: stanziati 2,4 miliardi, spesi meno di un miliardo. Adesso gli annunciati ristori, invocati anche per tappare il buco della stagione invernale compromessa (le due settimane che vanno dalla viglia di Natale all'Epifania per la montagna d'inverno significano oltre un terzo del fatturato complessivo) servono a evitare la fame degli operatori, ma non salvano il settore. Nei mesi invernali in Italia si registrano in media 56 milioni di presenze di cui il 48% sono di stranieri. Ma sarebbe un errore pensare che sia tutto turismo montano. Anzi. I primi tre mesi dell'anno valgono circa il 13% delle presenze che sono ripartite al 60% tra le città d'arte e al 40% per la neve. Il 52% delle presenze invernali sono 10 milioni di italiani che si spostano. Quest'anno solo un italiano su due ha fatto vacanze e con una perdita di potere di acquisto causa virus cinese del 5,6% e una riduzione del redito medio del 6% la platea dei possibili turisti invernali è ridotta a non più di 4 milioni di italiani. Il vero dramma è l'impossibilità di recuperare fatturato turistico nel post emergenza virus cinese per mancanza di domanda. La crisi del turismo non sta tanto o solo nell'impossibilità dell'offerta, ma nel fatto che la domanda potenziale non si trasforma in domanda effettiva causa mancanza di reddito e che il turismo, considerato nelle società mature un bene primario, nelle opzioni di consumo è bruscamente scivolato in fondo alle priorità. Lo studio Coop su tendenze e consumi 2020 avverte che se il reddito è tornato indietro agli ultimi anni Novanta, la spesa per viaggi è arretrata al livello del 1974, frutto della distruzione della classe media che dichiara nel 38% dei casi di temere di dover far fronte nel 2021 a seri problemi economici e tra questi il 60% teme di dover intaccare i propri risparmi. Le stime su quando il turismo tornerà ai livelli pre virus cinese sono drammatiche. Secondo l'Enit non prima del 2023, secondo Federalberghi bisognerà attendere fino al 2025. Ma quanti dei 33.000 alberghi, dei 300.000 ristornati, delle 20.000 agenzie turistiche saranno rimaste in piedi? Pensare di arginare questa valanga con i decreti ristori è illusorio. Non c'è incertezza sulla discesa libera, è sicuro che siamo in caduta libera!