2021-02-13
Programmata per Chigi e il Colle, la Cartabia si ferma alla Giustizia
Marta Cartabia (Getty Images)
L'ex presidente della Consulta è stata imposta da Sergio Mattarella. Come quando fu nominata alla Corte, insorgono ancora le associazioni Lgbt. Senza motivo: è cattolica ma sui temi etici ha cambiato linea da Giorgio Napolitano in poi.Marta Cartabia forse se l'era immaginata diversa, la sua ascesa in politica. Si è dovuta «accontentare» di diventare Guardasigilli nel governo Draghi, quando il Draghi della situazione poteva essere lei. Il suo progetto originario prevedeva, dopo l'uscita dalla Corte costituzionale, un passaggio preliminare alla Bocconi (puntualmente anticipato dalla Verità). Poi, lei, ammirata da Matteo Renzi, avrebbe atteso l'ineluttabile implosione del Conte bis e la chiamata, da parte di Sergio Mattarella, a guidare un governo di unità nazionale. Il capo dello Stato, che pure stima la giurista lombarda, vista la situazione, le ha preferito un uomo di più elevata statura internazionale e di maggiore esperienza economica e finanziaria. Infine, la Cartabia avrebbe coronato il sogno di entrare al Quirinale, prima donna della storia repubblicana (cosa che potrebbe ancora accadere). Lo stesso «tetto di cristallo» che dichiarò di aver infranto con l'elezione a capo della Consulta.Neppure la rincorsa al ministero della Giustizia è stata priva di ostacoli. La professoressa pare abbia avuto una concorrente insidiosa, già in quel ruolo con Mario Monti: l'attuale presidente della Luiss, Paola Severino. A sfavore di quest'ultima deve aver giocato la legge che porta il suo nome e che danneggiò Silvio Berlusconi. Già nella primavera del 2018 la Cartabia si era messa a disposizione di Mattarella, che allora doveva sbrogliare la matassa post elettorale. Al suo posto, il Colle sacrificò Carlo Cottarelli. Lei aveva definito «inappropriato» attribuirle «l'intendimento di scendere nell'agone politico». Ma quando aveva criticato la gestione della pandemia via dpcm, da parte di Giuseppe Conte, i pentastellati avevano reagito stizziti: «Si scordi il Quirinale». Insomma, le sue aspirazioni non erano un mistero. Il suo punto di forza? Farsi largo tra le maglie dell'establishment con una serie di giravolte: era partita con lo stigma dell'integralista cattolica, è finita ad avallare la rivoluzionaria sentenza-ultimatum della Consulta sul caso Cappato. Formatasi con Valerio Onida, agli albori, la ciellina Cartabia era vicina alle posizioni di Mary Ann Glendon, docente di Harvard e poi ambasciatrice Usa presso la Santa Sede. Una cattolica conservatrice, che nel 2009 si rifiutò di ritirare un'onorificenza in un'università dell'Indiana perché alla cerimonia era stato invitato l'abortista Barack Obama. Il nostro nuovo Guardasigilli approdò poi a New York, sotto l'egida del professor Joseph H.H. Weiler, ebreo osservante, ma difensore del crocifisso nel processo intentato contro l'Italia alla Corte europea dei diritti dell'uomo. E, soprattutto, amico di Giorgio Napolitano. Così, la studiosa impresse una svolta alla carriera - e alle sue posizioni ideologiche. Con l'ex presidente della Repubblica, la Cartabia si incontrò al Meeting di Comunione e liberazione del 2011. Dodici giorni dopo, re Giorgio, al quale serviva un giudice costituzionale in quota cattolica, chiamò la protetta di Weiler. E successe allora come ora. Ieri, infatti, quando è iniziata a circolare l'indiscrezione della nomina della Cartabia al dicastero di via Arenula, il portavoce del Partito gay, Fabrizio Marrazzo, è salito sulle barricate: «La Cartabia ha affermato che si deve differenziare la famiglia da altre forme di convivenza e non permettere il matrimonio omosessuale. Sarà in grado di tutelarci?». Anche dopo l'incarico alla Consulta, le associazioni Lgbt scomunicarono la giurista. In fondo, tre anni prima, il neo ministro si era schierata contro la sentenza della Cassazione su Eluana Englaro. Nel 2009 aveva criticato «l'individualismo di cui si nutre la tutela dei diritti in Europa». E quando lo Stato di New York liberalizzò le unioni gay, puntò il dito sulla «pretesa di falsi diritti», che aveva messo alla berlina in un saggio «weileriano» del 2010, The age of «new rights». Le ansie degli attivisti, tuttavia, erano e sono esagerate. Un suo collega di sinistra commentò: dell'affiliazione culturale della Cartabia, alla Consulta, «nessuno se ne accorge». Anzi, negli anni lei ha tentato di scrollarsi di dosso l'etichetta di esponente organico di Cl. Pian piano, si è «convertita» alla filosofia del giudice legislatore, delle corti che dovrebbero svolgere «una funzione dinamizzante dell'ordinamento attraverso l'interpretazione sempre nuova dei principi costituzionali». Un'idea che fa inorridire un altro giudice cattolico della Consulta, Nicolò Zanon, che in un recente articolo ha scritto che la Corte dovrebbe stabilire cosa c'è davvero nella Costituzione, «non già quel che oggi ci piacerebbe che essa dicesse, sulla base di improbabili letture “dinamiche"». D'altro canto, la professoressa «non organica» all'organizzazione fondata da don Luigi Giussani (suo marito ne era però tesoriere), nel 2010 partecipò con una testimonianza all'Assemblea internazionale dei responsabili di Comunione e liberazione. Il brano denunciava il «mondo dopo Gesù, senza Gesù» (quello in cui Marco Cappato accompagna i paraplegici a suicidarsi in Svizzera), e vi era contenuta una frase a suo modo profetica, in epigrafe al racconto del suo anno americano: «La mia vita», scrisse la Cartabia, «mi pone di fronte a una sfida continua, incessante e sempre nuova: affrontare tutto a partire dalla logica del potere (delle mie pianificazioni, strategie e alleanze) o partire dal riconoscimento che un Altro opera veramente nella storia, nella mia storia personale, così come in quella del mondo». Il ministro ha avuto tempo di fare la sua scelta.
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