2019-05-09
Chiesto l’ergastolo per Oseghale: stuprò e smembrò Pamela
Per il procuratore «il nigeriano usò la ragazza come strumento sessuale». Poi la uccise mentre era cosciente e la fece a pezzi.Ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi e, nel caso la pena fosse scontata, espulsione dal Paese. Innocent Oseghale ascolta impassibile la richiesta che Giovanni Giorgio, procuratore capo di Macerata, rivolge alla corte di assise riunita per la terz'ultima volta nelpalazzo di Giustizia della città marchigiana, dove si sta celebrando il processo per l'omicidio di Pamela Mastropietro, diciottenne romana, avvenuto il 30 gennaio 2018 e il cui corpo in 24 pezzi venne trovato il giorno dopo in due trolley abbandonati in una strada di periferia, a Casette Verdini. Pamela, sostiene l'accusa, è morta per dissanguamento dopo essere stata violentata e colpita al fegato con due coltellate mortali. La sentenza pronunciata il 22 maggio. L'accusa è di omicidio volontario, occultamento e vilipendio di cadavere, violenza sessuale. Oseghale si è fatto tradurre la richiesta di pena, ma lo stesso procuratore ha sbottato: «È un'equilibrista della menzogna, parla e capisce l'italiano». Da questo processo emergerà con tutta probabilità una parziale verità sull'atroce fine di Pamela, ma gli interrogativi restano tanti, non soddisfatti neppure dalle requisitorie del pm di aula, Stefania Ciccioli, e del procuratore Giorgio. È come se trovare in fretta un unico colpevole servisse a tacitare l'indignazione per l'atroce fine di Pamela Mastropietro, evitando di gettare ombre sulla possibile presenza della mafia nigeriana. Il procuratore ha più volte affermato che Oseghale è mentitore seriale perché ha tirato dentro il delitto Desmond Lucky che non c'entra nulla (la denuncia per calunnia però non si è vista) e che ha accusato ingiustamente gli agenti penitenziari di Ancona. Le sue bugie, smontate una a una dall'accusa, non meritano che gli si concedano le attenuanti generiche. Anzi ci sono circostanze aggravanti come la violenza sessuale e il vilipendio di cadavere. Nella ricostruzione dell'accusa emergono particolari raccapriccianti e anche alcune contraddizioni. Il pm Giorgio fonda gran parte delle sue accuse sulla testimonianza di Vincenzo Marino, l'ex collaboratore di giustizia che ha consentito di dare durissimi colpi alla 'ndrangheta, ma privo di protezione (la famiglia è stata pesantemente minacciata), e non ha fatto nulla per proteggere il teste. E ancora: dove e come Oseghale abbia imparato a sezionare così un cadavere non è dato saperlo. E, del pari, perché non è stata acquisita la testimonianza di Antonio Di Sabato, compagno di cella di Oseghale, che di fatto conferma le affermazioni di Marino, ma che è stato giudicato dal procuratore inattendibile? La Procura va incontro al verdetto fondando le sue accuse su due pilastri: le perizie necroscopiche e tossicologiche, la testimonianza di Marino. Sulla scorta di questo ha ricostruito cosa è accaduto nell'appartamento di via Spalato a Macerata il 30 gennaio 2018. Giovanni Giorgio è convinto che Oseghale abbia fatto tutto da solo. Dalla requisitoria emerge che Pamela è morta per dissanguamento. Oseghale avrebbe drogato Pamela, abusato di lei, l'avrebbe poi chiusa in casa. Quando è tornato ha trovato la ragazza sveglia che gli si è avventata addosso, ha minacciato di scappare e di andare a denunciare. A quel punto Oseghale le ha sferrato un calcio poi l'ha trafitta con una prima coltellata al fegato. Pamela è svenuta e il nigeriano l'ha finita. Ha sezionato il cadavere asportando la cute nei punti dove il coltello era penetrato nel corpo di Pamela, ha spostato il fegato eliminando il diaframma per cancellare ogni traccia, così come ha fatto scuoiando le parti intime. Infine ha lavato tutto con la varichina. A spiegare questo macabro comportamento il procuratore Giovanni Giorgio espone questa tesi: «Per Oseghale, Pamela era un mero oggetto sessuale, non gliene fregava nulla che la ragazza restasse incinta, ha avuto con lei rapporti non protetti e ha chiamato gli amici per dire se volevano approfittare». A corroborare la tesi accusatoria ci sono le parole di Marino, degno di fede ma non di protezione. Marino ha raccontato di aver saputo da Oseghale che Pamela aveva tanti nei sul seno e sulla schiena, che Pamela ha graffiato sul collo il nigeriano e in effetti sotto le unghie è stato trovato Dna di Oseghale. In mattinata la difesa ha chiesto e ottenuto dal presidente del tribunale, Roberto Evangelista, di fare altri accertamenti nell'appartamento di via Spalato dove è avvenuto il delitto (analoga richiesta era stata negata con opposizione della Procura alla parte civile) e la battaglia sulle perizie si annuncia tutt'altro che vinta dalla Procura, anche se Stefania Ciccioli ha ribadito: «Ci sono prove univoche che l'overdose è da escludere e le coltellate sono vitali e Pamela è stata attinta quando era in vita e cosciente». La mamma di Pamela, Alessandra Verni, e il padre, Stefano Mastropietro, hanno assistito in silenzio. Lo zio di Pamela, Marco Valerio Verni, l'avvocato della parte civile, dopo le richieste del pm ha concesso solo uno stringato commento: «È stato chiesto il massimo della pena, siamo soddisfatti». Poi ha preparato la sua relazione che cerca di fare luce sui tanti interrogativi lasciati appesi. Perché usando le parole di Giovanni Giorgio, che in udienza ha citato Gianfranco Carofiglio, «l'investigatore deve immaginare come sono andati i fatti e costruire una storia con tutti gli elementi in possesso, in questo modo l'investigatore è un costruttore di storie». Che però possono prestarsi ad altre interpretazioni ad esempio quella che sta tentando di elevare Noemi, la povera bambina ferita a Napoli in una sparatoria di Camorra, e che lotta tra la vita e la morte, a un'alternativa (politica) all'orrore di Macerata. Ma forse, per dirla col procuratore, quella di Pamela è un'altra storia.